"Le ragioni di Torrefranca" e "La ricezione del melodramma nei compositori italiani del Novecento"
Dopo il lontano lavoro, che risale alla fine degli anni '90, sulla corrispondenza fra Puccini e Adami, e dopo il fortunato libro Puccini e il Postmoderno (2008, tradotto in inglese e giapponese), Cresti torna al Maestro lucchese con due corposi saggi. Il primo riguarda il famigerato libro di Fausto Torrefranca Giacomo Puccini e l'opera internazionale, di cui Cresti cura la ristampa anastatica e la contestualizzazione. Il secondo concerne La ricezione del melodramma e di Puccini nei compositori italiani del Novecento, ricezione assai difficoltosa fino al secondo dopoguerra e poi, via via, più accondiscendente.Il famigerato saggio di Fausto Torrefranca è molto citato, ma poco letto, misconosciuto come il suo importante autore. ‘Famigerato’ perché si procurò la fama di essere fazioso nella sua polemica contro Giacomo Puccini. Cattiva fama non tanto nel momento in cui venne pubblicato, in quanto molte tesi esposte dal musicologo erano condivise nel mondo della musicologia e della composizione di allora, quanto più avanti, quando il clima culturale che lo aveva visto nascere cambiò, nella seconda parte del Novecento. ‘Misconosciuto’ perché furono pochi coloro che lo lessero con attenzione, soprattutto dopo alcuni anni dalla sua stampa e ancora oggi lo si conosce prevalentemente per sentito dire. Doveroso quindi riproporlo, sia perché al suo apparire causò un intenso dibattito ed è bene capirne le ragioni, sia perché tocca problematiche estetiche e sociali che vanno al di là di Puccini, sia perché certune considerazioni sono state apprezzate nei decenni scorsi e alcune possono essere riconsiderate anche oggi. È bene contestualizzarlo ed è bene conoscere il suo Autore, eminente figura della musicologia della prima parte del Novecento.
Ripubblicare il libro di Torrefranca non significa condividerne le affermazioni, ma fornire un contributo a un dibattito su alcuni temi importanti della musicologia e della composizione novecentesca, le quali, fino al secondo dopoguerra del Novecento, erano impegnate in una rivalutazione della musica strumentale e della cosiddetta ‘musica antica’,[1] si pensi ai musicisti della Generazione dell’Ottanta. In particolare il mondo della composizione, italiana ed europea, considerava il Melodramma tradizionale un genere obsoleto da un punto di vista formale e troppo legato al sentimentalismo romantico da quello espressivo. Non fu un caso che pochi fra i compositori di punta del secondo Novecento ricorsero alla forma melodrammatica, seppur rivista e aggiornata, la maggioranza, anche al di là delle avanguardie, se scrisse musica per il teatro fu in maniera del tutto differente, sia nelle motivazioni sia nelle finalità.
Torrefranca non era solo nella critica al melodramma, in buona compagnia con altri musicologi e compositori, come la gran parte di quelli che appartenevano alla cosiddetta Generazione dell'Ottanta, più interessati alla rivalutazione della musica strumentale pre-ottocentesca che a continuare l'esperienza melodrammatica che, con il Verismo e il Crepuscolarismo, era considerata invecchaita male, piccolo borghese, stucchevole nei toni gridati o sentimentali.
La critica negativa al melodramma e di conseguenza a Puccini perdurò almeno fino agli anni Sessanta. Con il 1958, anniversario della nascita del Maestro di Lucca, iniziarono varie iniziative di carattere musicologiche e di avvicinamento di grandi direttori e registi alle opere pucciniane.
La vera svolta nella ricezione del melodramma e di Puccini avvenne col passaggio al Postmoderno, dagli anni Ottanta in avanti, l'opera teatrale di stampa tradizionale iniziò a essere riconsiderata in termini positivi. Alcuni compositori la rivalutarono e Puccini divenne una superstar!
Le ragioni di Torrefranca, Puccini e il melodramma italiano del XIX e XX secolo
con un saggio introduttivo di Renzo Cresti, Fausto Torrefranca, il suo tempo e il nostro
e con riproduzione anastatica del libro del 1912 di Torrefranca Giacomo Puccini e l'opera internazionale
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[1] S’intendeva con il termine generico di ‘musica antica’ tutta quella precedente al Classicismo tardo settecentesco, musica che non era di repertorio.