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Il cuore del suono
Renzo Cresti, Il cuore del suono, Feeria edizioni, Panzano in Chianti, Firenze, 2001
 
 
 
Fame d'uomo.
 
Il vero Musicista dedica al suo operare tutte le sue energie, i momenti migliori della giornata e le ore notturne, quando tutto intorno si fa silenzio e fra lui e la sua opera si può instaurare una profonda simpatia.
 
Entra nello studio in punta di piedi, per non svegliare le partiture che dormono. Si avvicina a uno spartito e questo sembra dotato all'improvviso di parola, sono parole d'amore: gli dice, "guardami, toccami, stendi su di me le note color caffè, disponile a caso e vedrai la forma di un volto umano, perché tu sai trovare l'immagine nascosta dell'essenza di ogni uomo".
 
Nella vera musica, l'uomo non viene imitato, ma rivive nel suo fondamento, è un volto afferrato, dal più profondo dei possibili.
 
Lavorando, il Musicista si accorge che le altre partiture, piano piano e in silenzio, si svegliano e lo osservano amorevolmente, quelle partiture, fatte di chicchi di caffè, quei righi musicali hanno fame d'uomo.
 
Una partitura gli sussurra: "fermati, sei così bello!" E il musicista si ferma, per un attimo, in quell'attimo assoluto si congiunge alla Bellezza. E' un attimo felice e feroce, solo in quell'istante è possibile sposare la Bellezza, poi essa va (perdendosi nel Tempo).
 
Quante volte il Musicista sogna la Bellezza! Quando il Musicista si sveglia con questi pensieri è per lui come un rinascere, perché queste sono le sue richieste alla verità.
 
Il Musicista, la Bellezza tende a berla, a bersela tutta d'un fiato, come il suo calice agognato, il suo incanto. Non usa l'intelligenza che discerne, ma una segreta pulsione che apre abissi. Abissi nel cuore della Bellezza, che ha un cuore quieto e un corpo mobile. Il cuore manda un suono, è il suono arcaico, il ritmo primordiale del quale il Musicista è custode.
 
Urgenze interiori.
 
Lo studio del Musicista è piccolo, volutamente, perché l'essere-musicista non ha bisogno di molto spazio esterno, in quanto è l'uomo a prevalere, col suo infinito interiore, che risale da un niente e che ha solo bisogno di una penna, di un foglio pentagrammato, di silenzio.
 
Il Musicista stende i suoi lavori sul pavimento, per modestia e perché al suolo si trova il livello germinativo, dal quale sorgerà qualcosa di futuro. Sente dentro di sé un istinto femmineo, che gli permette d'intuire che il lavoro artistico non dev'essere forzato da azioni esterne, di nessun tipo, ma necessita di una lunga meditazione, una specie di incubamento e decantazione, che ne favorisca il lievitare, il procedere e l'accrescersi; solo da questo silenzio e da questa instabilità, come un fiore, nasce l'opera d'arte, non come idea o progetto, ma come urgenza interiore, come ricerca naturale, così come il girasole cerca e impazzisce alla luce!
 
Nella musica dev’essere esplicita la purezza del proprio esserci. Compito del Musicista non è quello di illuminare le perizie tecniche, ma di inoltrarsi verso il volto notturno del reale. La sua opera sarà un'evocazione di pulsioni nascoste e una liberazione delle potenzialità segrete dell'io. Non l’io singolare che porta all’egoismo, ma l’io plurale, formato da tanti volti.
 
Il suono redime le colpe della cultura.
 
La musica non condivide niente dei giochi di potere che si svolgono fra gli "artisti", degli interessi commerciali delle case discografiche, delle ambizioni degli accademici, dei favori della critica, della stupida mondanità che rinchiude i falsi artisti in una gabbia dorata. Allora, più che di "musica" (concetto troppo legato alle incrostazioni teoretiche), sarà più giusto parlare di "suono" (che sta prima delle codificazioni culturali). Scrivere è un atto d'amore, è sognarsi di una pianura immensa e alzarsi in volo, perdere i confini del proprio corpo e smarrirsi negli occhi delle stelle. Non inseguendo sdolcinate romanticherie, ma cercando di captare ciò che sta oltre le cose.
 
Nelle ore della meditazione, il Musicista scopre che scrivere è ferirsi al cuore, dando vita a un'immagine tratteggiata col sangue. E' scavare, con mani sanguinanti, fino al centro della terra, è instaurare una simbiosi fra la materia e il proprio inconscio. Le figure musicali vengono realizzate scalfendo la pagina bianca, non sono immagini che si liberano dalla materia, ma vi si imprimono.
 
Lo studio-chiostro.
 
Lo studio diventa una specie di chiostro cistercense, dove il lavoro viene inteso come un processo di edificazione. La vita tumultuosa, le donne e il vino, il vagabondaggio esistenziale, tutto si placa, nello spazio senza tempo del chiostro.
 
Le tensioni si purificano per diventare un inesauribile serbatoio di energia artistica. Il Musicista si sente bene nel suo studio-chiostro, in compagnia dei suoni e del silenzio, è come riconoscere il mondo a portata di mano. E' anche il suo modo di trasfigurare le esperienze della vita in un atto liberatorio, forse è anche la sua maniera di pregare.
 
Lo studio è un tappeto di preghiera. Qualunque sia la preghiera, anche quella senza un dio.
 
In questo ambiente che trasuda amore, le partiture nascono così, proprio come devono nascere. La musica si mostra nella sua maniera sorgiva. I gesti non sono movimenti che trasportano un elemento verso un altro elemento o verso un altro luogo, ma dell'elemento realizzano il suo aver luogo, il suo esser così.
 
Non bisogna cercare artificiosamente l'originalità, non si deve fare sempre in maniera diversa da ciò ch'è stato fatto, si deve fare meglio (nel senso di cercare di avvicinarsi sempre più al cuore dell'arte). La ricerca costante della novità è un troppo e un troppo poco insieme, è un accanimento tecnico che di per sé vale poco, se non è sostanziato dalla vita stessa, un assillo formalistico che non rivela né l'uomo né il suo universo.
 
Il bisogno di arte si fa tanto più forte, quanto più piatta e convenzionale è la situazione generale della cultura, nei periodi in cui, per eccesso dell'egoismo e del calcolo, l'accumulo dei materiali della vita esteriore supera il grado di assimilarli alle leggi interiori della natura umana.
 
Nell'antica filosofia indiana il fuoco e le sue differenti e cangianti forme hanno ricevuto cinquanta nomi differenti: la musica è fuoco!
 
In chi pratica la musica agisce qualcosa di sconosciuto, qualcosa che rende l'attività anche passività, e più il Musicista si concentra sull'oggetto e più questo diventa vasto e misterioso. In fondo l'artista compie un viaggio in terre sconosciute, un'avventura. Fra il fare e l'opera si crea una sorta di vertigine, l'agire si compone di rivelazioni fulminee, di cadute, diseguaglianze, differenze, di amore e morte, è un errare alla scoperta di tutto ciò ch'è stato rimosso, scartato nel dopo infanzia.
 
L'eroe e il viandante.
 
Anche gli angeli decaduti conservano, nella loro bruttezza, l'originaria grandezza e il fascino della bellezza perduta. Solo i puri d’animo possono affrontare il viaggio a ritroso per recuperare l’originaria bellezza; come Sigfrido, chi compie questo terribile viaggio è un eroe.
 
Gli eroi non sono coloro che combattono con il mitra in mano, ma coloro che amano con tutto se stessi gli altri uomini, eroi perché questo atto d’amore è difficile e duro; l’arte è il loro mitra che vuole svegliare gli impuri di cuore e mettersi al servizio della collettivtà.
 
Il vero Musicista è un eroe: il suo agire ha come tempo l'attimo, sostituisce la storia col mito, i concetti con gli archetipi. Il suo agire è un' ossessione, l’ossessione del mistero che lui e la sua arte sono, l’ossessione della bellezza. Il vero Musicista è un viandante, alla ricerca del non-ancora-presente, segue tracce segrete, è fiducioso. La speranza stessa è un andare, anche in assenza di certezze. Andare nel labirinto. Viaggiare con la speranza, perché la via d'uscita non è nelle cose, ma nel suo cuore.
 
La musica non corre dietro ai bisogni, piuttosto alle anime incantate e ai cuori infiammati. Il suono è un'estasi e in tal senso le civiltà orientali hanno molto da insegnarci. E' il canto che si ascolta nel silenzio. E' la vita stessa, quando la vita svela il suo vero volto.
 
L'estasi è una sospensione dell'esperienza ordinaria. S'apparenta al dolore, quando l'uomo soffre sospende i fatti volgari e va oltre: solo i suoni che nascono da profondità orribili sanno essere vera testimonianza.
 
Come l’eroe e il viandante, il Musicista vive un’esperienza sospesa, fuori dal tempo comune. E’ in grado di indovinare ciò che sarà il tempo dell'eternità, quando ogni successione sarà scomparsa e tutto diverrà simultaneo. Con questo senso religioso il Musicista prepara i suoni e paragona il suo lavoro a ciò che i cristiani chiamano "gloria".
 
Il genio della solitudine creativa.
 
Si tratta della purezza del suono interiore che mai potrebbe compromettersi con la cultura dominante (monetarizzata, massificata, egoistica…), accettando solo l’essenzialità di una vera cultura antropologica, dove l’uomo ascolta l’uomo.
 
Attraverso la pratica dell'ascolto si svolge un pensiero ch'è conoscenza, non solo arte o poesia in senso comune, ma pensiero che guarda nell'abisso dei possibili.
 
Da qualche parte, il Musicista ha letto che il "linguaggio" della musica è un linguaggio sui generis, una sorta di utopia del linguaggio vero e proprio, si presenta come possibilità autentica, come vocazione e destino. Se è una vocazione o un destino, deve allora compiersi in un contesto pre-compreso e questo contesto non può che essere il mondo dei suoni, il loro mondo, che sta a monte dell'organizzazione in linguaggio. Il mondo dei suoni è un Es, l'essere nascosto dell'essere che appare.
 
Quando, per ore e ore, il Musicista tiene la penna in mano, ha la certezza che la musica non è solo un pensiero sui suoni, che si rivolge ai suoni e considera qual'è il modo migliore per organizzarli, un pensiero organizzato in suoni, ma sente che l'anima di un brano non risiede nella sua struttura, ma nella qualità del suono stesso, ovvero nel rispetto che l'autore ha nei confronti delle ragioni del suono, della sua natura, della sua vita ed energia.
 
E' la Musica che va a lui, se lo ritiene degno, come l'alba va verso il suo giorno. E’ l’artista che appartiene all’opera e non l’opera all’artista.
 
E’ protetto da un Genio: è il Genio della solitudine creativa.



A Carmelo Mezzasalama




 
 



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