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Lettera aperta alla SIMC
Lucca, 25 aprile 2020
Alla cortese attenzione del M° Andrea Talmelli,
Presidente della Società Italiana di Musica Contemporanea
 
 
Lettera aperta
 
Come Socio Onorario della SIMC, in questo importante giorno del 25 aprile, anniversario della Liberazione, sento l'esigenza di inviarti una mia riflessione sulla musica, nella speranza che sia anche una liberazione da questo maledetto virus che ci attanaglia.
Ti ringrazio per l’attenzione e ti prego di porgere i miei saluti a tutti gli iscritti SIMC. Un abbraccio, Renzo
 
 
Perché scrivere musica in tempi di dolore e di miseria? Perché intonare suoni o soffiare in un tubo o strofinare corde o percuotere tasti o cantare, seppur, sotto il salice piangente? Alle fronde dei salici le cetre erano appese, ci dice Salvatore Quasimodo: “E come potevamo noi cantare […] fra i morti abbandonati nelle piazze.” E come fare musica quando si potrebbe utilizzare il nostro tempo per aiutare i bisognosi, i medici, gli infermieri, sostenere il volontariato per portare aiuto ai sofferenti. E come scrivere una poesia dopo Auschwitz? Si chiese Theodor W. Adorno nel 1949. Ma è proprio per queste ragioni, per alleviare sofferenze e fornire una  luce di speranza, che occorre fare musica, riprendere la cetra e continuare a scrivere poesie.

La musica – l’opera d’arte – è il dono della luce, è la radura che si apre nel bosco oscuro, nell’oscurità che ci circonda. La luce è già presente ma non la vediamo fin che il fitto groviglio non si apre alla vista. Oscurità e luce convivono, l’una è impensabile senza l’altra. Nella radura avvenivano le misteriose danze legate ai riti arcaici, perché è solo lì che l’Aperto si fa chiarore, esce dalle tenebre ed emana un’energia luminosa. In quel luogo e in quel tempo, felice e feroce, soggiorna l’opera d’arte.

Martin Heidegger, nel suo saggio del 1936, dal titolo esplicito, L’origine dell’opera d’arte, intende il termine Lichtung come radura, termine che condivide la stessa origine di Licht, luce, e di Leicht, leggero come l’aria. Dunque, nella radura avviene “L’aprimento dell’ente in ciò che esso è e nel come è” – scrive Heidegger – “nell’opera d’arte è in opera l’evento della verità”. Ma cos’è questa verità?

La verità non viene manifestata dal soggetto – come credono quegli artisti che vogliono esprimersi! – ma appartiene al noi ed è sovra-personale. È “in opera nell’opera” ossia è in questo farsi che l’oggetto raccoglie la sua verità. Non si tratta di “epifania del materiale”, come scrisse Mario Bortolotto in Fase seconda, ma di vivere la materia come sostanza, come contingenza che dona senso. È nel compiersi dell’opera che (ac)cadono le energie dell’esserci, è l’Ereignis, l’evento che precipita da un contesto pre-compreso.

La verità è dunque sempre legata al contesto, nessun idealismo né metafisica. In epoca di post-truth, la verità è un gioco di specchi, non risolve ma pone punti interrogativi, in un continuo riposizionamento delle prospettive. In greco il bello è orion, non è assoluto né astratto, ma temporale e contingente. È determinato dal momento e dal contesto, dalle situazioni storiche e dalle condizioni sociali, dalle dinamiche culturali e dal contesto artistico per ciò che ci riguarda. Sono dunque questi riferimenti che determinano “l’evento della verità”. È l’esserci (Dasein) che configura l’essere e non il contrario. Ed è l’esserci a manifestarsi come luce nella radura.

È nel noi che l’evento artistico comunica la sua verità, che è sempre parziale e collettiva. È nel noi che si può configurare l’etica, la quale rimanda a un concetto di dimora, di soggiorno, di radicamento e di valori che donano senso. L’estetica, se vuol mantenere il suo alto profilo, non può che basarsi sull’umanità dell’etica, contraendosi in e(ste)tica.

In questo presente tormentato, se l’e(ste)tica ha un valore non può che cor-rispondere alla solidarietà e alla tolleranza, all’altruismo e alla fratellanza, evitando ciò che già Georg Wilhelm Hegel accusava nella sua Estetica (guarda caso problemi di etica svolti nell’Estetica: “Si vive in uno stato di guerra permanente e i singoli cercano rifugio in una privata fetta di cielo.” Ecco, è proprio questo individualismo che blocca l’avvento, perché non vi è alcun esodo, né viaggio, né pellegrinaggio (“pellegrini di bellezza”, così Papa Giovanni Paolo II, chiamò gli artisti, 1999). Ognuno vive nel proprio egocentrismo e la sua arte non apre all’accoglienza dell’esserci ma si fa cattiva, etimologicamente ‘prigioniera di sé’.

L’annosa ricerca del bello, tipica del pensiero classico, si sposa con il brutto, che altro non è che l’altra faccia della medaglia. Al brutto viene ascritta, dalle anime belle, molta musica contemporanea la quale va ringraziata e rispettata per aver saputo assumere su di sé il brutto della nostra epoca, di essersi sentita co-responsabile alla disarmonia del mondo, di aver assunto su di sé gli aspetti drammatici e nell’averci comunicato il deforme e lo sgradevole, così tristemente visibile al presente. Un atteggiamento di grande forza etica, in fondo, bellu(m) e bonus vanno a braccetto da sempre, quindi bellezza e bontà sono inscindibilmente legati. Il vecchio cane Argos è bello perché, dopo tanti anni, riconosce il padrone.

Allora, soprattutto nell’oggi doloroso, gli artisti e quindi i musicisti hanno l’alto compito di affrontare ‘la fatica del pensiero’ (Hegel), un pensiero plurale, abbeverato dall’esserci. Hanno la responsabilità di pensare a un’arte che, al di là dell’individualismo e delle convenienze personali, cerchi di porsi nella radura, dove la luce sopravanza l’oscurità. Hanno la possibilità, loro fortunati, di cogliere “quell’aprimento dell’ente in ciò che esso è e nel come è”, una possibilità di futuro.

Come il vecchio cane Argos, sapremo riconoscere il bello attraverso un atto sincero di amore corrisposto. Al di là della sapienza costruttiva, in quanto la tecnica è condizione necessaria ma non sufficiente per far vibrare di vita la musica. Al di là della funzione e ludica e della piacevolezza, sapremo identificare l’oggetto che svela l’esistente. Sapremo accogliere la pienezza di vita di cui c’è tanto bisogno. Ringraziandovi.


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Renzo Cresti - sito ufficiale