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Pianoforte nostro contemporaneo
Il pianoforte nella produzione artistica dei compositori italiani



Ripercorrere la storia del pianoforte significherebbe analizzare i meccanismi linguistici e sociali dal tardo Settecento a oggi, in quanto questo strumento si è posto e si pone come strumento principale con il quale si deve fare comunque i conti. Ho affrontato questa tematica in vari saggi sulla rivista "Piano time", in particolare nel numero del febbraio 1983, in cui scrivevo del pianoforte ottocentesco e novecentesco. Nel saggio che segue si accenna al rapporto con il pianoforte di alcuni dei grandi compositori italiani.

La composizione pianistica non occupa una posizione preminente nella produzione di Goffredo Petrassi, ma le pagine pianistiche indicano comunque il percorso stilistico del Maestro, dalla provenienza di origine caselliana, come nella Siciliana e marcia per pianoforte a quattro mani del 1930, all'adozione prediletta della scrittura polifonica, come nella Toccata del 1933, o, infine, l'esplicazione della tendenza alla stilizzazione in Oh, les beaux jours!, tre piccoli pezzi del 1941-42, poi modificati e ampliati nel 1976. Al 1946 risale il Divertimento scarlattiano e, in questi anni, Petrassi compone anche una serie di liriche per canto e pianoforte; dopo il 1944 si assiste a un rallentamento della scrittura pianistica, a quell'anno risalgono le Quattro invenzioni pianistiche che risultano un brano importante, sorta di magazzino segreto pieno di scintille che accenderanno anche le ultime opere. Il pianoforte appare poi in una breve composizione del 1950, Petite pièce; quindi più nulla, se si eccettuano pezzi di occasione come Romanzetta per flauto e pianoforte del 1980.

Luigi Dallapiccola appartiene alla numerosa serie di compositori-pianisti, ma mentre questo strumento lo riguarda molto sia dal punto di vista didattico (fu insegnante di pianoforte complementare al Conservatorio di Firenze dal 1934 al 1967) sia come esecutore (specie in due con Sandro Materassi), lo interessa assai meno come autore. Infatti, se si escludono le giovanili Fiuri de Tapo e Caligo del 1926, occorre attendere il 1935 per trovare un'opera pianistica, Musica per tre pianoforti, che ricorre al modo percussivo di suonare il pianoforte, un uso che proviene non tanto da Bartok e Stravinskij quanto da Mussorgsky. Il suono è inteso come unità autonoma, il discorso polifonico - neomodale con inserimenti cromatici - deve essere spazializzato, piazzando i tre strumenti a distanza l'uno dall'altro. Nel 1939 Dallapiccola compone il Piccolo concerto per Mueriel Couvreux che presenta il discorso solista-orchestra da camera in modo piacevole, tutto giocato su una dialettica ritmico-timbrica originalissima. Troviamo ancora Sonatina canonica sui Capricci di Paganini del 1943 e il Quaderno musicale di Annalibera del 1952, una dolce serie dodecafonica strutturata sul nome di Bach e ricca di preziosità timbriche.

La produzione pianista di Bruno Bettinelli, come i tre Concerti per pianoforte, i due Concerti per due pianoforti etc. costituisce il cardine del linguaggio del Maestro milanese, mettendo ben in risalto l'asciutto e vigoroso discorso contrappuntistico, costruito su un totale cromatico non vincolato a schemi precostituiti e ricolto anche a ricerche timbriche.

Altrettanto sporadica è l'attenzione di Bruno Maderna per il pianoforte, interesse che si esaurisce nel Concerto per due pianoforti del 1948, nelle Variazioni sul nome di Bach, ancora per due pianoforti del 1949, e nel Concerto per pianoforte del 1959: i primi due brani sono di apprendistato, il terzo invece è assai complesso, tecnicamente molto impervio, un'antologia di modalità particolari, come il percuotere la cassa dello strumento, sbattere il coperchio, esecuzioni direttamente sulle corde, cluster etc., in una furia sonora selvaggia che sconfina nel bruitisme (una tubolenza rumorosa rara in Maderna).

Pianista come Dallapiccola è Camillo Togni (allievo di Benedetti Michelangeli) il quale dedica al proprio strumento le Sei serenate giovanili e la serie dei Quattro capricci (1954, '56, '57 e '69) oltre ad altri brani con voce (come Helia di Trakl e Guerlande de blois), i pezzi sono sempre timbricamente illuminati da una scrittura aerea e preziosa.

Da sottolineare le straodinarie Sonate tritematiche che Luciano Chailly scrisse rimeditando la lezione di Hindemith. Per pianoforte hanno scritto anche brani interessanti Francesco Pennisi, Gaetano Giani Luporini, Dario Maggi e molti altri, fra cui il pianista di musica totale Giorgio Gaslini, musicista border line fra jazz, classica e world music.

Il gusto per la ricerca timbrica, per l'evocazione di atmosfere fiabesche e sonorità ruscellanti, lo si trova in Niccolò Castiglioni, il quale inizia in ambito strutturalista con Cangianti, dove il frammento della polverizzazione della scrittura post-weberniana si addensa in grappoli sonori che si formano in ambiti frequenziali molto ristretti, col risultato di creare effetti timbrici particolari. La produzione pianistica di Castiglioni si sposta poi su un piano più libero e inventivo, approdando aun fraseggio flessuoso e fantasioso, un po' naif, si ascolti Come io passo l'estate, in cui si apprezza la vitalità giocosa e un pizzico di nostalgia romantica, propria della poetica del Maestro milanese.

A differenza di Castiglioni, che prima di affrontare il pianoforte lascia decantare la tecnica compositiva in brani orchestrali, Aldo Clementi lo affronta subito e in tutti i brani fino al 1957 (dal giovanile Preludio del 1944 fino a Composizione n. 1 del 1957).

La figura di Franco Donatoni esplica, attraverso il suo iter stilistico, la sostanziale differenza di approccio al pianoforte fra gli anni Sessnata, quelli del decomponieren, e gli anni che vanno dalla metà degli anni Settanta in avanti. Black and White del 1968 porta il sottotitolo "esecizio per le 10 dita" e, in effetti, il pezzo si riduce a un puro scaturire dei suoni da un automatismo manuale che esclude ogni invenzione personale, mentre Rima del 1983 si riallaccia alla serie dei brani solistici iniziata nel 1977 (con Algo per chitarra) e si basa su una ricercata scrittura di disinvolta flessuosità, mantenendosi sempre su toni di sgargiante agilità e di delicata leggerezza, riscopendo l'invenzione.

Agli anni Cinquanta risalgono le composizioni pianistiche di Franco Evangelisti, come 4! (quattro fattoriale, per violino e pianoforte, del 1955), brano prettamente seriale ma dove la datità del suono sopravanza il dominio dell'intervallo, lo stesso concetto di suono come (f)atto fisico si riscontra in Proiezioni sonore per pianoforte del 1956, strutturato secondo 12 gruppi di note distribuite su tutta l'estensione della tastiera, giocando sull'opposizione di registri acuti o gravi e sulle successione si altezze determinate e cluster; interessante l'uso del pedale che svolge una funzione percussiva.

La prima produzione di Luciano Berio si affida spesso al pianoforte, che si inserisce in formazioni varie (da Pastorale del 1937 alle Cinque variazioni del 1952), alcuni anni di assenza precedono Tempi concertati per due pianoforti, del 1958, lavoro di ben altra levatura rispetto ai precedenti, composto per quattro gruppi di strumenti sui quali i due pianoforti hanno un risalto preciso, a mo' di forma concertante. Ancora da citare la Sequenza IV (fra le meno riuscite della straordinaria serie) del 1966, Erdenklavier del 1970 e Concerto per due pianoforti e orchestra del 1973, dove si conferma la prassi dell'uso simultaneo di pluralità di tecniche compositive diverse, in un'enunciazione multipla dei significati.

Solo un pezzo di rilievo compone Luigi Nono per il pianoforte, ma assai caratteristico e importante per la svolta stilistica della sua produzione, Sofferte onde serene del 1977, il brano è costituito da gruppi di suoni dovuti a strutture armoniche dotate di una loro staticità; questo materiale di base, con un processo germinale e analitico, si dilata e si intensifica, sovrapposto a una registrazione pianistica precedente, un nastro non contra-stante né contra-punto ma con-fuso con l'esecuzione dal vivo, infatti, più che sul pianoforte l'attenzione di Nono si concentra sul sound che scaturisce dall'abbinamento dello strumento dal vivo con quello registrato.

Compagno di strada del Nono anni Sessanta, Armando Gentilucci scrive per pianoforte in maniera costante, anche se spesso inserito in formazioni cameristiche. Il 1962 è anno prolifico con Tre espressioni corali, Tre poesie di Quasimodo e Concerto, quindi altri lavori rilevanti, come Iter del 1969 e Crescendo per violino e pianoforte del 1971. Alla fine degli anni Settanta e inizio del decennio successivo la produzione pianistica si intensifica, si possono citare: Nel suono I e II (1979), Una traccia sommessamente per violino e pianoforte (1981), Pour un rag-time englouti e Memoria di un gondellied (entrambi del 1982).

Sylvano Bussotti è fra i compositori italiani quello in cui l'esperienza pianistica si esplica al meglio, in un rapporto compiuto con la vita e lo stile del Maestro fiorentino. Dal 1947 al 1952, Bussotti compone ben 14 brani per pianoforte solo o in duo (specie con la voce, come nella Canzone di Bacco e Arianna e in Tre canti). Nella parte centrale degli anni Cinquanta si ha un rallentamento, non causato dall'abbandono dello strumento prediletto ma da un rilassamento di tutta la produzione, per una ripresa in grande stile nel 1959 con il capolavoro Five pieces for David Tudor che utilizzano sia la notazione tradizionale sia il disegno, in un tracciato di linee, il pianista è libero di abbandonarsi a un'imporvvisazione guidata, sollecitata da un sistema complesso di induzioni ovvero stimoli visivi. Dello stesso 1959 è Per tre, mentre Pour clavier appartiene al 1961; al 1967 risale Tableaux vivants per due pianoforti, cartone preliminare al lavoro teatrale La Passion selon Sade, nel quale è stato inglobato: la gestualità è affidata ai due interpreti che si scambiano spesso lo strumento, devono colpire il coperchio, usare bacchette sulle corde etc., in una simbologia della coppia seguendone la curva amore, catarsi e morte. La più breve fra le composizioni, Foglio d'album del 1970, nasce da una serie di auto citazioni. L'esigenza pittografica precorre il foglio, ne anticipa i tratti espressivi e ne determina il senso complessivo, come anche in Novelletta, omaggio alle capacità miminche di Giancarlo Cardini che tante volte ha interpretato il brano risultandone una sorta di co-autore. Alcuni brani, tecnicamente facili ma dalla poetica personalissima, sono interpretati spesso dallo stesso Bussotti.

L'idea del suono viene cifrata nello spazio grafico, fra l'ante grafico e il post sonoro si instaurano relazioni molteplici e cangianti, come anche nel gioco ironico di Paolo Castaldi, il quale ricorre spesso al pianoforte, conservando tratti cageani e dadaistici, ottenuti inserendo su alcuni passi musicali, presi a caso dalla tradizione o inventati, un'infinità di citazioni, anch'esse tratte casualmente da giornali, libri etc., che dovrebbero spiegare le mnodalità di esecizione ma che si rivelano del tutto assurde. Esamplare il pezzo pianistico Moll del 1964.

Vicino all'impostazione della body art è l'artista e musicista fiorentino Giuseppe Chiari, rappresentante del filone artistico dell'enviroment e dell'happening (una raccolta di azioni musicali, specie pianistiche, è stampata nell'antologia Musica senza contrappunto del 1969). Legato a un'impostazione simile è il pianoforte di Daniele Lombardi.

La produzione pianista di Davide Anzaghi coincide con un'aura di soave diatonismo che però scaturisce da un rigido controllo delle altezze, come negli otto preludi-variazioni di Revenants (1981) e in Segni e suoni (1983), presagio di una nuova stagione inventiva.

La prima opera inclusa nel catalogo ufficiale di Salvatore Sciarrino è la Sonata per due pianoforti del 1966, scritta a soli 19 anni: gli elementi iniziali sono sottoposti a continue variazioni, una vera cosmogonia sonora in movimento. In Prélude per pianoforte del 1970, Sciarrino ricorre a una scrittura indeterminata, le ottave dello strumento vengono infatti indicate da singole linee orizzontali che fungono da approssimativo punto di riferimento per le altezze delle note. Alcuni brani, come De la nuite (1971) e Studio da concerto (1976) si rifanno a Ravel e a Skriabin, contribuendo ad alimentare quella che sarà l'imminente tendenza neo.-romantica. La virtuosità della scrittura pulviscolare, ricca di effetti timbrici, in una mutevole fosforescenza sonora, e il magico gioco di riflessi speculari di microvariazioni della trama sonora, costituiscono due degli aspetti più signficativi dello stile di Sciarrino che tende a passare da una trama timbrica molto rarefatta (come in Berceuse) a un intreccio più chiaro e determinabile; la seconda Sonata per pianoforte dimostra il passaggio da una sonorità in stato volatile a una sonorità più decisa, anche se la poetica del silenzio, inteso come involucro della musica, rimane sia in questo che nei lavori successivi.

La riutilizzazione di modalità tecniche e interpretative di tipo neo-romantico ha favorito il ritoreno, in pompa magna, del pianoforte, strumento principe di tutta la tradizione ottocentesca; l'interesse verso il pianoforte trova, infatti, conferma in tutti i compositori che si riconoscono della tendenza neo-romantica ma anche, in generale, in tutti gli autori nati dagli anni Cinquanta in avanti (alcuni di questi compositori sono pianisti come Fedele, Lucchetti, Laganà, Mosca, Solbiati, testoni e altri).



Da Renzo Cresti, Pianoforte nostro contemporaneo, tre furono i saggi che portano questo titolo, di cui qui vi è una sintesi, pubblicati sulla Rivista "Piano Time" nn. 18, 20 e 21, Roma 1984.



http://www.muspe.unibo.it/index.php?id=95

http://www.milanomusica.org/archivio/autori_PaoloCastaldi.html

http://www.salvatoresciarrino.eu/






Renzo Cresti - sito ufficiale