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Sulle difficoltà del fare musica oggi, interviste (parte quinta)

Interviste a musicisti, di varia provenienza, che descrivono il loro variegato rapporto con il suono e con la società. Le interviste sono parziali, per vederle nella loro versione integrale leggi Renzo Cresti, Fare musica oggi, Del Bucchia, Viareggio 2011.



Guido Masini, Saverio Rapezzi, Marco Simoni, Valter Veroni



Guido Masini

Compositore, arrangiatore, direttore di coro. Dopo il conseguimento del  diploma di Musica corale e direzione di coro presso il conservatorio “Cherubini” di Firenze e del diploma di composizione presso l’istituto “Boccherini” di Lucca, si è specializzato con Molinari, Lawrence-King, Neri, Graden, Gentilucci e Pezzati sia sul fronte della musica antica e barocca sia su quello della musica contemporanea. Nel 2002 ha conseguito il diploma di Kapellmeister presso il Centro di formazione corale di Vicenza con i maestri Acciai, Rampi, Scattolin, Spremulli, Gessi, Mazzuccato, Piana. Nel 2007 ha conseguito il diploma di biennio di specializzazione in  tecnologie sonore presso il “Boccherini” di Lucca. Nel 1994 ha fondato l’ensemble vocale specializzato in musica antica “La Frottola”. Attualmente è direttore dei cori Daltrocanto di Massa e Cozzile (PT) e Punto e accapo, specializzato in musica swing e  pop, di Lucca. Compone per formazioni dal duo all'orchestra, colonne sonore, musiche  di scena dal 1988. Dal 1987 ricopre incarichi di docenza in scuole civiche e superiori del territorio di Lucca.
 
- Cosa ne pensi dell'indirizzo che ha preso la musica negli ultimi anni dopo la scomparsa dei grandi maestri (Berio, Maderna, Nono e altri compositori importanti)? Sono questi modelli ancora validi oggi? E lo sono stati per te durante la tua formazione?
Nel periodo che va da Darmstadt agli anni '70 c’era abbastanza omogeneità nella musica come nella cultura in genere, pur con le differenti cifre stilistiche: l’impegno politico come la ricerca di sonorità nuove, sia materiche che eteree; lo strutturalismo estremo come la ricerca dei limiti tecnici degli strumenti classici, il fascino delle sonorità elettroniche caratterizzavano tutta la musica contemporanea. Per contro si può affermare che molti musicisti pur bravi erano rimasti fuori dal giro perché la loro estetica e il loro stile non aderiva a determinati canoni; Sciarrino stesso, per fare un esempio, inizialmente subì questo destino, componendo in una dorata solitudine e conoscendo il successo in Francia molto prima che in Italia. Ho vissuto quel periodo storico di riflesso quando ormai era al termine, quindi non mi appartiene, anche se lo conosco piuttosto bene: mi ricordo quando, ancora adolescente, andavo ad ascoltare concerti di “musica contemporanea” pur non comprendendola ancora in pieno; mi immergevo così in Berio e Maderna, Cage e Philip Glass passando dall’ascolto dei vinili dei Pink Floyd e dei Beatles, in una necessità di musica che non aveva né voleva confini. Oggi non mi sembra corretto parlare di un indirizzo unico per la musica: al contrario, il momento attuale mi sembra ricco di indirizzi interessanti, anche se estremamente eterogenei: ciò che accomuna la realtà compositiva oggi mi sembra il rifiuto di quel passato dei Grandi e la necessità di un rapporto col pubblico che ai Grandi tutto sommato non interessava. Da qui la ricerca e il recupero di stilemi più consonanti o comunque più “comunicativi” rispetto agli autori che citi. Naturalmente non é possibile ignorare autori come Berio, Stokhausen o Ligeti, solo per citarne alcuni. Gli autori della seconda metà del ‘900 hanno lasciato un segno importante, nel bene e nel male: possiamo seguirne le orme o no, ma non è possibile bypassarli. Le tecniche compositive oggi sono estremamente varie e attingono da minimalismo, jazz, ex musica contemporanea e musica etnica in una tavolozza variopinta molto affascinante; ma la contaminazione, diretta conseguenza della globalizzazione, in realtà non è affatto garanzia di novità né di qualità; anzi, accade spesso che nella contaminazione si perde il significato delle musiche originali, come nella musica etnica legata a funzioni extra-musicali e a tempi assolutamente non adatti al commercio. Per comunicare bisogna avere qualcosa da comunicare; non é sufficiente il linguaggio! Il limite della musica di oggi forse sta nella mancanza di una filosofia, di un’idea, politica o morale; una spiritualità forte manca nel mondo occidentale e in questo il terzo mondo, che ci piaccia o no, ci sta dando lezioni, a partire dall'Islam. Rispetto al periodo di Berio, Nono o Maderna, oggi c’è una maggiore libertà espressiva e il web offre possibilità divulgative mai conosciute dall'homo sapiens; ma questa grande libertà, questo oceano di possibilità rischia di divenire paralizzante se non c’è la forza delle idee a monte; quella forza che costituiva il fascino (o il limite?) della musica del secolo scorso. Ancora una volta, la musica si riconferma specchio fedele della società.
- Cosa ne pensi delle nuove coordinate culturali che si vanno delineando in Italia e all’estero? E delle contaminazioni tra generi? Credi che ti sia possibile inquadrare la tua produzione in una corrente precisa?
L’Italia soffre di un ritardo culturale atavico e probabilmente oggi perseguito  coscientemente dalla nostra classe dirigente, a tutti i livelli; mi rifiuto di credere che i nostri governanti siano così inetti e incapaci ed é proprio per questo che certe scelte in campo culturale ed educativo sono estremamente gravi. Ci si riempie la bocca di paroloni sull’Italia patria di musica e musicisti e sembra si faccia di tutto perché questi fuggano all’estero per vivere, come accade regolarmente dal 1700 ad oggi. In Italia non si investe nella scuola e nella cultura e se ne raccolgono i frutti! Malgrado questo ci sono persone che lavorano ad altissimi livelli, con creatività e idee. Le nuove coordinate culturali risentono ancora molto del debito verso i grandi maestri del passato; nel resto del mondo ci sono realtà molto più interessanti (paesi scandinavi, Giappone, USA o Canada) e la differenza tra musica colta, pop, elettronica e jazz si sta veramente assottigliando. Per quanto mi riguarda, non mi considero un artista, ma piuttosto un artigiano della musica: cerco di fare bene il mio lavoro, pur consapevole dei miei limiti. La musica continua a piacermi e appassionarmi, malgrado le difficoltà della vita del musicista; improvviso al piano, arrangio per coro e per i vari ensemble musicali che mi capitano, scrivo per immagini o su testi: c’è tanto da imparare e conoscere! Nella musica che scrivo uso tecniche diverse, ma raramente scrivo per un bisogno interiore: ho bisogno di stimoli esterni, non mi basta una melodia pur interessante o un procedimento particolare; quindi se scrivo per le immagini, cerco modalità espressive e tecniche che aiutino le immagini; se faccio arrangiamenti, cerco il modo migliore affinché questi arrangiamenti funzionino tecnicamente e dal punto di vista sonoro ed espressivo; se scrivo su un testo, voglio sottolineare i significati delle parole; può sembrare banale, ma non lo è affatto! É un modo umile di porsi nei confronti della musica: mi metto a suo servizio e spero di farlo nel migliore dei modi.
- Come ti situi nel rapporto tra comunicazione e ricerca, tra espressione e indagine tecnica/sperimentale/compositiva?
La ricerca sonora mi affascina e credo che sia un momento fondamentale dell’esperienza di un compositore; la ricerca deve essere libera da esigenze di pubblico e di spettacolo (a meno che non sia la ricerca di comunicazione!). In quest’ottica, non è necessario presentare i propri lavori di ricerca ad un pubblico, ma questi possono restare anche in un cassetto. Nei lavori destinati al pubblico ne resterà comunque traccia. Mi interessa un tipo di ricerca che vede la partecipazione attiva del pubblico, anche con materiale sonoro inusuale: il mio progetto Ocaidoz per coro, immagini e live electronics – tesi di laurea al biennio di specializzazione in tecnologie sonore – andava in questa direzione e credo che, prima o poi lo presenterò al pubblico. Malgrado le sperimentazioni del secolo scorso, il rapporto pubblico-esecutori nel concerto è rimasto cristallizzato nel modello ottocentesco; ciò rappresenta un grosso limite di base nel processo di produzione-fruizione della musica. Anche nella musica pop-rock il muro comunicativo tra artista e pubblico, che pure non era così netto negli anni ‘60-‘70, è diventato oggi quasi insormontabile. In questo senso altre forme di fruizione più partecipata sarebbero auspicabili: a livello popolare il karaoke non mi piace particolarmente, ma è un modo di rompere questo muro; bisognerebbe tornare alla fruizione-produzione collettiva delle feste popolari, in cui la danza era tutt’uno con la musica e i cantastorie facevano vivere i loro racconti in musica in un rapporto ravvicinato e intimo con gli ascoltatori. Non voglio sembrare un nostalgico dei tempi che furono, ogni epoca ha le sue modalità espressive, ma credo che una riflessione in tal senso possa essere interessante e produttiva. Su internet esistono jam session on line e modi interattivi di composizione che segnano un modo nuovo di rapportarsi al fare musica e ascoltarla; non so se questo sarà il futuro, ma il mondo sta cambiando a una velocità pazzesca e non possiamo ignorarlo!
- Se e in che modo la tua attività di direttore di coro ha aiutato e/o influenzato l'aspetto compositivo?
Tutto in un musicista influenza la propria creatività: dalla lettura di un romanzo all’osservazione della natura, dalle esperienze personali ad un suono particolarmente interessante. La mia attività di direttore di coro mi aiuta nel tenere i contatti con la realtà: arrangiare per un coro amatoriale significa tenere presenti i limiti tecnici, espressivi, dinamici e riuscire a fare musica ugualmente non sempre è facile. In  realtà questo accade anche con i professionisti: può capitare di chiedere esecuzioni ai limiti delle possibilità e poi lamentarsi del risultato accusando gli esecutori. Il risultato è sempre il frutto di una serie di fattori tra cui le note forse non sono neanche il più importante!
- Come si inserisce l’aspetto della didattica e dell’insegnamento nel quadro della tua attività?
Insegno dal 1987. Questo fatto, di per sé, la dice lunga su quanto sia importante per me, e non solo dal punto di vista economico. Posso affermare tranquillamente che si impara moltissimo dagli allievi e da un insegnamento ragionato e problematico; spero che la riforma dei conservatori in atto porti ad un reale miglioramento della situazione didattica italiana, ferma a programmi di almeno 50 anni fa (!) e sia così di stimolo agli stessi insegnanti che spesso, dovendo adeguarsi a programmi ammuffiti, rischiano essi stessi la muffa (e parlo anche per me).
- Che rapporto hai, a livello compositivo e organizzativo, con il territorio in cui vivi? È stato per te fonte di ispirazione? Ti è stato di aiuto nel fornirti i mezzi per poterti esprimere al meglio?
 Il territorio di Lucca mi è quasi estraneo a livello compositivo e organizzativo: ho un coro a Montecatini dal 1996 e questa piccola distanza è stata sufficiente a far si che Lucca ignorasse la mia attività; molti pensavano che non scrivessi neanche più. In realtà non ho mai curato molto le relazioni pubbliche e oggi più che mai questo è un grave difetto: cercherò di fare meglio nel futuro, anche se dovrò forzare un po' la mia natura.
- Progetti futuri?
Come ho già detto, voglio vivere questa città e le sue realtà in prima persona, perché credo che ci siano grandi potenzialità che non sono sfruttate: realtà molto più piccole di Lucca hanno attività culturali di rilievo nazionale e internazionale e non è solo una questione di finanziamenti! Da noi purtroppo il campanilismo domina a tutti i livelli, al punto che le associazioni invece di costruire insieme si fanno la guerra per spartirsi i sempre meno finanziamenti di fondazioni ed enti pubblici. Già a livello regionale c’è una maggior disponibilità alla collaborazione e questa è l’unica via per sopravvivere e costruire cose importanti.
(Beatrice Venezi)

Saverio Rapezzi
Compositore specializzato nel campo della musica per film, TV e multimedialità, Rapezzi è diplomato in composizione e chitarra classica. Le sue competenze spaziano dalla musica per il cinema tradizionale, d’animazione e muto, alla musica per la pubblicità e la televisione, musiche per il teatro, presentazioni multimediali e mostre d’arte, oltre alla musica da concerto. Si é perfezionato in composizione con Corghi all’Accademia Filarmonica di Bologna e nel ramo della musica per il cinema con rinomati compositori quali Morricone, Bacalov, Drasnin, Sharp, Riessler ed altri, ottenendo inoltre l’ambitissimo Film Scoring Certificate dell’Università della California di Los Angeles (UCLA). Nel 2005 ha vinto il primo premio all’International Music Competition di Cortemilia con la sua Sonata per clarinetto e pianoforte. Dal 2010 collabora con il compositore Siliotto e con il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Il suo repertorio di composizioni per concerto e per il cinema comprende oggi oltre un centinaio di brani, dotati di caratteristica personalità, originalità ed espressività, pur senza limitazioni di genere e forma. Come chitarrista, Rapezzi ha compiuto studi con artisti di alto livello quali Cucchi, Ponce, Diaz e altri. Ha ottenuto premi in numerosi concorsi musicali ed ha una fervente e multiforme attività come concertista solista o in ensemble da camera, esibendosi per stagioni concertistiche di rilievo in Italia, Europa e Stati Uniti.
 
Un pianoforte, il computer, tastiere elettroniche. Carta da musica. Tanta carta da musica. Pentagrammi sparsi tutti intorno come se fossero scivolati giù dalle pareti. L’arredo dello studio è il medesimo, anche quando la casa è diversa; differente la città, il Paese: Brentwood – Westside, presso Hollywood, California. Incontriamo qui Rapezzi, che non perde di vista la sua destinazione: comporre. E se si trova a Hollywood, non c’è nemmeno da svelare un fatto già lampante di suo, Saverio ha intrapreso la strada che porta a dare corpo musicale ai grandi racconti del cinema, con la perseveranza di adesione ad un progetto che si è progressivamente conformato alla più duttile espressione del suo talento. Il perfezionamento e lo studio post diploma lo conducono fino in California, nei meandri dell’industria cinematografica più grande del mondo, dove compone confrontandosi con le riflessioni di estetica ma anche la praticabilità di soluzioni proprie all’industria cinematografica. Un’officina di lavoro interessante per Saverio che, forte della cultura da performer chitarrista, trama nelle sue creazioni gli equilibri di volumi orchestrali con la raffinata consapevolezza di un decoratore del legno: gioca di intarsi, inclinazioni armoniche che non brandiscono l’ascoltatore ma l’accompagnano con intelligenza nel carisma del brano. Si riconosce a partire dalla stesura dello score la pienezza della sua tempra europea che, a nostro avviso, coglie dalla lezione dei francesi – Debussy, Ravel, Messiaen soprattutto – la fiche che gli permette di azzardare in fatto di eleganza e agilità timbrica. L’abilità di orchestratore e la padronanza delle sperimentazioni atonali più amabili, in una filigrana di autorevole bellezza impressiva, corrispondono Saverio nel suo operare sinfonico e cinematografico, mai disgiunto dal continuo interrogarsi su alcuni punti fondamentali del comporre oggi.
- Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
Laddove ogni corrente stilistica meglio rappresenta per un compositore un mezzo di espressione adeguato al proprio sentire e comunicare, la musica è capace di trarne sempre un qualche beneficio, e uno spunto per evolversi. Non trovo che sia così quando la ricerca del nuovo, che può facilmente muoversi tra gli estremi di una sperimentazione selvaggia e l’eccessiva semplificazione, coincidono soltanto con un deliberato rifiuto. Detto questo, le difficoltà del comporre oggi non credo stiano tanto in una scelta di campo, quanto nell’effettivo raggiungimento degli obiettivi che un compositore si propone. Che sia quello di aprire orizzonti artistici innovativi o di espandere quelli già scoperti, non si può mai evitare di dover fare i conti con una qualche forma di consenso o, al limite, di esposizione. Il che, almeno ai nostri giorni, finisce per condizionare non poco le scelte dei compositori, spingendoli in direzione di gusti ‘critici’ (in tutti i sensi), o verso uno almeno dei tanti pubblici possibili. E possibilmente entrambi.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Ho l’impressione che la fase di transizione in cui fluttuiamo ormai da decenni non sia ancora finita, e non stia ancora puntando verso qualcosa di ben definito. Ci sono ancora secondo me realtà veramente interessanti in ogni ambiente musicale, ma forse ancora soffocate dall’imperare di condotte troppo superficiali o effimere. Finché queste ultime sono semplicemente goffe o modeste imitazioni di modelli guida, esse contribuiscono positivamente a un chiaro delineamento di valori, ma quando sono dettate da logiche opportunistiche o di puro (auto)compiacimento, l’effetto è esattamente opposto. Trovo emblematici sotto questo profilo ad esempio i casi, sempre più frequenti, in cui certa musica non sceglie di imitare o attualizzare i suoi modelli, ma più facilmente li usa, magari spacciandoli alle nuove generazioni con vesti provvisorie di modernità, o anche quelli in cui una musica che non ha il coraggio di proporsi – con sana semplicità –  per quello che è, cerca collocazioni per se stessa che la facciano associare a qualcosa di più alto, nonostante i contenuti. Ecco che allora non sappiamo più quale distinzione fare, nelle tendenze musicali odierne, per individuare una o più direzioni chiare. Trovo stranamente ironica la circostanza per cui la definizione “musica colta” oggi ci appare in qualche modo irrispettosa e pervasa di presunzione: eppure, in fondo, penso che oggi potrebbe tornarci di nuovo utile, aiutandoci in qualche modo a superare ogni schema precostituito.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Non sono ovviamente un esperto in questo settore, perciò mi limito semplicemente a fare un paio di modeste riflessioni personali, dettate dall’osservazione. Non finiremo mai di rilevare – e ciononostante continuando a stupirsene – quanto il valore attribuito da una società alla propria cultura sia determinante per il suo sviluppo e per l’immagine che offre di sé al resto del mondo. Ciò finisce per influire direttamente sulle scelte politiche (in senso lato) e di conseguenza su quelle economiche. Per alcuni questo è un dato scontato; per altri, che non riescono a concepire un ‘prodotto’ se non come qualcosa che si può pesare su una bilancia, risulterà soltanto una sterile speculazione metafisica. Nei contesti in cui questi ultimi prevalgono, per numero o per il peso del loro potere, le difficoltà di organizzazione sono notevolmente maggiori. Sia chiaro, non sto cercando di evocare l’immagine di governanti illuminati, collezionisti d’arte o mecenati, che si intrattengono con gli amici cantando madrigali. Talvolta è sufficiente la mera convinzione, in coloro che gestiscono le risorse, che le persone in genere ricercano il piacere, in una forma o nell’altra, e sono tranquillamente disposte a pagare per quello. Ecco: una di quelle forme é la fruizione della musica.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
La mia personale indagine compositiva risiede totalmente nella ricerca di comunicazione. La principale intenzione artistica che perseguo è quella di creare, attraverso il pensiero musicale, un flusso il più possibile reciproco tra l’esecutore, il suo strumento e il pubblico, che non sia soltanto uno spostamento d’aria comunque organizzato e in una sola direzione. Cedendo alla semplificazione, non ho alcun timore quindi a schierarmi dalla parte dell’espressione, sebbene sempre nel totale rispetto per l’altro possibile estremo, o per tutte le sfumature che stanno in mezzo. Credo fermamente, però, che quando finalmente riusciremo (o meglio, torneremo) a superare la gabbia di questa dicotomia che ci siamo appositamente creati, avremo qualche opportunità in più di vedere i possibili sentieri da battere, e di muoversi in condizioni di maggior comprensione e sostegno dall’esterno.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Nutro grande ammirazione per le esperienze compositive che sono state compiute nel cuore del novecento, e ritengo che esse siano state assolutamente necessarie e insostituibili, nonché inevitabili. Tuttavia, quasi nessuna di esse rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per la mia attività. Per la natura del mio personale percorso – e mi rendo perfettamente conto di ciò che sto affermando – la ricerca di un punto di continuità con la storia musicale fa un salto a quasi un secolo fa, al momento in cui, di fatto, nel processo creativo artistico si é iniziato a perdere interesse per il contatto umano. I possibili modelli compositivi oggi sono estremamente differenziati, e non credo siano importanti tanto gli stili o i generi di riferimento, quanto la solidità e la professionalità che ne stanno alla base. Il riferimento ideale che consiglierei a un giovane sarebbe quindi quello che in termini stilistici rispecchia il suo peculiare sentire musicale, ma fondato sempre e comunque su una reale consapevolezza e conoscenza dei mezzi a disposizione, che egli potrà gestire a suo piacimento per il risultato che desidera ottenere.
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
È sicuramente possibile insegnare la composizione almeno nella stessa misura in cui lo è insegnare l’architettura. Ci sono nozioni, tecniche e soluzioni che permettono ai brani di stare in piedi così come avviene, analogamente, per un edificio – il che chiaramente non garantisce affatto la gradevolezza o (tanto meno) l’originalità del risultato. I dubbi che nascono in merito alla reale necessità o utilità dello studio della composizione nascono spesso a causa della comune confusione tra il concetto del comporre e quello ben più evanescente del creare, che si rivela ancor più devastante nei casi in cui a cadervi sia l’insegnante stesso.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Entrambi gli approcci hanno i loro pro e contro, con alti rischi di fallimento per entrambi (benché per ragioni diverse) quando isolati l’uno dall’altro. La situazione ideale, secondo me, sarebbe quella in cui il percorso scolastico – che dovrebbe provvedere principalmente alla velocità del processo, essendo idealmente strutturato, progressivo e soprattutto provato – concede ampio spazio all’iniziativa individuale e, anzi, cercando costantemente di promuoverla e stimolarla. Sono sicuro che molti condivideranno questa considerazione; mi chiedo però quanti siano veramente in grado di metterla in pratica con adeguata onestà intellettuale.
- Sulle difficoltà nel rapporto fra la cultura (musicale) locale e quella nazionale (e internazionale). Pensi di aver risentito della cultura della zona in cui vivi? Hai avuto influenze dirette o indirette a livello di zone geografico-culturali nazionali? E le esperienze internazionali come le poni?
Non sono molti gli aspetti che mi fanno sentire veramente orgoglioso della mia provenienza geografica: tra quei pochi, però, la formazione musicale vi figura certamente. Ho avuto modo di osservare e vivere direttamente l’ambiente musicale di Los Angeles le cui caratteristiche che per prime colpiscono il nostro comune sentire sono la dinamicità, la freschezza e l’estrema produttività. In un contesto così vivace non è difficile individuare dei veri talenti che hanno reale possibilità di essere valorizzati e di mettere a frutto le proprie capacità, ma ci si rende subito conto anche di quanto gli aspetti sociali e comunicazionali siano determinanti nel raggiungimento di tali obiettivi. Infatti, proprio per questo, è cosa molto comune, là, incontrare compositori di grande successo che contano quasi esclusivamente sulla propria esperienza professionale (e sulle doti imprenditoriali), potendo invece vantare ben poca preparazione musicale. Così, accade che un compositore di tradizione europea – quale assolutamente mi riconosco – che mai desidera prescindere da una conoscenza non superficiale della musica e dell’arte in genere, sia quasi sempre considerato con grande rispetto e sincera ammirazione, sebbene sempre consapevole del rischio di poter essere ignorato dall’industria nel momento in cui non sappia promuovere il proprio operato, e cioè: essere sempre al passo con la tecnologia, saper ottimizzare le risorse produttive e compiere adeguata azione di marketing per la musica che produce. La lezione che ne traggo è perciò assai scontata, ma altrettanto concreta: a) la nostra cultura musicale sembra essere tuttora ai massimi livelli sulla scena mondiale, e su questo dobbiamo continuare a contare, mai rinunciando all’estrema fatica richiesta dal peso degli studi; b) il successo della nostra arte non è dettato soltanto dal pensiero e da ciò che la carta infine racconta, ma da un sacco di altri fattori con cui essi devono necessariamente relazionarsi, tra cui la qualità e la rapidità dei processi produttivi, la visibilità del nostro operato e, perchè no, una certa immediatezza del messaggio, che nei casi migliori nasconderà tra i righi una profondità inaspettata.
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Credo che la divisione tra generi sia una convenzione che accettiamo non tanto per fare musica, quanto per poterne parlare. Non a caso, davvero raramente si incontrano compositori desiderosi di vedere la propria musica inquadrata in qualche descrizione sommaria. Questo taglierebbe la testa al toro (nessun genere = nessuna contaminazione possibile), senonché il gioco dei generi risulta estremamente utile al commercio, o comunque alla diffusione della musica stessa. E allora i compositori si ritrovano a farci i conti, volontariamente, o loro malgrado. In sostanza, comunque, ritengo sempre valido il concetto secondo il quale l’espressione artistica – quando tale può definirsi – è in grado di mantenere alto il suo valore e rivendicare la propria originalità all’interno o all’esterno di qualsiasi recinto, o al limite in maniera trasversale.
- Progetti in corso?
La mia attuale attività di compositore è rivolta principalmente alla musica per film, anche se non ho mai interrotto quella tradizionale. Dopo aver recentemente realizzato le musiche per due film prodotti a Los Angeles e lavorato come orchestratore, music programmer e assistente in altre grosse produzioni cinematografiche in USA e in Italia, ho in programma nuove collaborazioni di questo genere che mi impegneranno in futuro. Sto portando avanti inoltre un progetto di un corso dedicato alla composizione di musica per film che realizzerò nel 2011 insieme ad altri professionisti del settore, del tutto innovativo per il panorama italiano, dove condividerò la mia esperienza hollywoodiana con coloro che desiderano mettere a frutto il proprio talento compositivo lavorando nel cinema e in televisione.
(Debora Pioli)
 
Marco Simoni
Studia prima al conservatorio di La Spezia e poi al conservatorio di Milano, con diplomandosi in composizione nel 2003. In seguito si specializza in musica elettronica presso la Civica Scuola di Musica di Milano. Nel 1999 si laurea in ingegneria elettronica presso l’università di Pisa. Collabora con diverse associazioni culturali, musicali e teatrali. Le sue musiche sono state eseguite in concerti, rassegne, festival in Italia e all’estero.
 
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Una volta le barriere tra i generi musicali erano piuttosto alte, e i mondi musicali nettamente separati. Oggi invece da questo punto di vista la situazione è molto più fluida: c’è contaminazione dei generi, ed è sempre più frequente vedere musicisti che si occupano di generi differenti. Penso che questa situazione, che agli occhi di certi puristi può sembrare “sconveniente”, possa invece costituire un buon laboratorio per la musica del futuro. A patto, naturalmente, di saper discernere e giudicare il materiale che si ha davanti. Personalmente la cosa che più mi interessa e mi muove è la ricerca della bellezza, ovunque essa sia e qualunque etichetta essa possa avere. Si, credo proprio che per andare verso il futuro della musica occorra ripartire da un’antica parola che descrive il cuore del problema: bellezza. Perché ciò che interessa, in fondo, è proprio la bellezza: è una prima elementare evidenza, che viene prima del rigore stilistico. Pensiamo, ad esempio, a quando guardiamo un paesaggio che ci sorprende; quello che diciamo immediatamente è: “che bello!” e non: “che rigore stilistico!”. Con questo naturalmente non voglio negare l’importanza fondamentale della tecnica e dello stile, che sono necessari nello scrivere musica, ma dico che il punto da cui partire è un altro: è lo stupore di fronte alla bellezza. Il cuore dell’uomo batte di fronte all’essenziale, e il cuore del musicista è il cuore dell’uomo.
- Sulle difficoltà dell’organizzare. A livello organizzativo (politico ed economico) quali sono le difficoltà?
Questa è una nota dolente, per usare un gioco di parole. Normalmente è piuttosto difficile riuscire ad organizzare, sia perché nella maggior parte dei casi i finanziamenti sono effettivamente scarsi sia perché a volte gli ambienti che si trovano a gestire eventi musicali sono piuttosto chiusi. Credo che chi fa il musicista debba affrontare quotidianamente questa situazione, senza alcun tipo di sconto. Devo però dire che, d’altro canto questa situazione è anche un’occasione, per me, di incontrare altri musicisti, organizzatori, enti, ecc. Se, da un lato, mi sono imbattuto talora in ambienti chiusi a nuove possibilità, dall’altro lato mi è capitato anche di incontrare persone con cui condividere progetti, idee, iniziative, e di pensare insieme a loro il modo e la possibilità concreta di realizzarle. Certo, proporre dieci cose e riuscire a realizzarne due non è facile, tuttavia questa situazione di difficoltà può diventare l’occasione di incontrare l’altro, di condividere idee, di realizzare qualcosa insieme. In poche parole: uscire dal proprio guscio, e incontrare l’altro. A volte, poi, nascono occasioni in modi e tempi assolutamente imprevisti. La realtà è sempre più grande dei nostri pensieri, e non cessa di stupire. Anche nel mondo della musica.
- Sulle difficoltà di orientarsi. Quali punti di riferimento hai avuto a livello compositivo? Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Ho avuto, ed ho ancora, parecchi punti di riferimento. Alcuni classici storici (Bach, Schumann), altri classici moderni (Ravel, Stravinskij). Nel secondo novecento uno dei miei compositori preferiti è certamente Ligeti. Amo molto, poi, alcuni musicisti jazz (ad esempio Thelonious Monk) e alcuni compositori per il cinema (ad esempio Nino Rota). A un giovane che voglia intraprendere lo studio della composizione consiglierei di ascoltare molta musica. Questo lo aiuterà ad educare il suo orecchio, a individuare pian piano ciò che gli corrisponde di più e a scartare ciò che non gli interessa. Perché non siamo tutti uguali, e scoprire la musica che più ci interessa ci fa capire chi siamo noi, qual è la cifra che ci caratterizza, insomma.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Un percorso scolastico è necessario, e su questo è giusto che ci sia un certo rigore. Il rigore, e i limiti che ad esso sono connessi, normalmente aiutano lo sviluppo della libertà e dell'intelligenza musicale. Stravinskij, in Poetica della musica[1] dice: «Se tutto mi è permesso, il meglio e il peggio, se non trovo resistenza, ogni sforzo è inconcepibile, non posso costruire su niente e qualsiasi sforzo, allora, è vano»; e ancora: «Non so che farmene di una libertà teorica. Mi si dia qualcosa di limitato, di definito, una materia che possa servire al mio operato soltanto se è a misura delle mie possibilità». Su questo la figura del maestro è molto importante, per poter apprendere non solo una tecnica (che è peraltro imprescindibile), ma proprio un processo creativo vivo. Allo stesso tempo, però, è fondamentale percorrere una strada parallela all’accademia, fatta di ascolti di musica, di progetti condivisi con altri studenti, della frequentazione di concerti, e soprattutto dell’incontro con musicisti viventi che possano diventare soggetti di riferimento. Può succedere che un giovane compositore, inizialmente affascinato da un certo maestro, lo imiti in tutto e per tutto. Poi però il cordone ombelicale deve rompersi, e l’allievo deve distaccarsi, dare forma diversa alle sue creazioni, sviluppare insomma la sua sensibilità e la sua cifra stilistica, necessariamente diversa da quella del maestro. Un maestro autentico non genera mai cloni di se stesso, ma compositori vivi con la loro personalità.
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
Su questo argomento ho in parte già risposto. Mi sento solo di aggiungere, forse un po’ provocatoriamente, che più passa il tempo e più mi rendo conto che l’unica distinzione di genere che ancora faccio è tra musica bella e musica brutta. Cerco la musica bella dovunque si trovi e a qualunque genere appartenga, domandandomi quale contributo possa dare alla mia. La musica brutta cerco semplicemente di evitarla.
- Fai uno sguardo auto-critico sulla tua attività recente, come la giudichi?
Ho fatto molte cose diverse ultimamente: due audiolibri per ragazzi, musiche per cortometraggi, alcuni pezzi per ensemble classici, altri per trio jazz, arrangiamenti e altro ancora. Ho realizzato anche alcuni pezzi di musica elettronica e sto realizzando l’associazione di quei pezzi con sequenze di immagini. Normalmente tutto questo nasce da situazioni concrete che via via si presentano. Di solito non sono mai completamente soddisfatto di quello che realizzo, però questo non mi ferma. Piuttosto non mi fa stare mai tranquillo, mi spinge invece sempre a nuovi tentativi, ricerche, prove diverse, a rimettermi continuamente in discussione. E credo che sia giusto così.
(Renzo Cresti)
 
Valter Veroni
Pianista di formazione classica, dedicandosi alla composizione ha esteso il suo interesse ad altri luoghi musicali, dalla tradizione etnica al jazz, fino alle sperimentazioni più avanzate della computer music, riuscendo ad integrare le diverse esperienze in uno stile rigoroso ed originale. Ha intrapreso attività di ricerca per il recupero del repertorio melodico della cultura ebraica sefardita, collaborando alla pubblicazione della raccolta di melodie contemporanee Una musica canta nell’anima, edita da European Publishing Academic Press. Svolge attività didattica e di produzione multimediale per la formazione musicale ed ha allestito vari progetti di cui ha curato rielaborazioni e trascrizioni ed ai quali ha preso parte in veste di esecutore e direttore. Le sue opere, per diversi tipi di organico vocale e strumentale, sono state eseguite in festival e rassegne ed utilizzate per performance e rappresentazioni teatrali, nonché nell’ambito di manifestazioni e celebrazioni istituzionali, alla Fondazione Walton di Ischia, per l’inaugurazione della Settimana della Cultura a Lucca, a Milano e Viareggio per la Giornata della Memoria, e in numerose città in Italia e all’estero. Tra i brani commissionati, nel 2008 è stato eseguito a Madrid Luz entre el tiempo, omaggio all'arte ed alla cultura spagnole degli ultimi quattro secoli; del 2006 è, invece, Stimmen, per soprano e orchestra da camera ispirato all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Il lavoro, che sarà a breve prodotto in cd e promosso in un progetto europeo, ha debuttato sotto la direzione di Horvath, con il soprano Leggeri e I Solisti Fiorentini, ensemble che riunisce le prime parti del Maggio Musicale Fiorentino.
 
- Sulle difficoltà del comporre oggi. Si parla in genere di postmoderno, ma s’è parlato anche di nuova semplicità e, in Italia, di neo romanticismo, cose te ne pare di queste nuove coordinate culturali?
Post, neue, neo... Come dire: il tempo è passato, occorre voltare pagina. Ma scrivere qualcosa di realmente nuovo è tutto un altro problema. Un’intera generazione di compositori in crisi di idee? Un impoverimento dei linguaggi ampiamente prefigurabile? Una deriva ingloriosa verso le lusinghe del mercato? Le presunte richieste di ascoltatori distratti? Il compito della critica è davvero ingrato: frugare tra i vari fenomeni artistici emergenti da un panorama in continuo movimento, selezionarne alcuni piuttosto che altri sulla base di collaudati (e sempre adeguati?) filtri culturali e dell’esperienza maturata in anni di ricerca, oltre che di un robusto istinto da predatore. Come non bastasse, mantenendo la sufficiente distanza dall’oggetto dell’analisi, tentare di elaborare una categoria quanto più possibile definitiva per descrivere la tendenza comune a varie poetiche, indipendentemente dalle stesse decisioni coscienti dei diversi autori. Oltretutto, mettendo in gioco ogni volta la propria credibilità nei confronti del giudizio inesorabile dei posteri. Affrontare una fase storica di profondi mutamenti a vari livelli quale la nostra, senza che si intraveda (ancora) un qualche approdo (ammesso che ve ne sia uno possibile...), non facilita certo il compito di cui sopra. D’altra parte, per il fatto stesso di mettere in evidenza la fase di transizione con il semplice utilizzo di prefissi linguistici, la critica, implicitamente, sollecita a proseguire il percorso: una mappa incompleta e imprecisa non può che invitare gli spiriti più curiosi ed intraprendenti ad approfondire l’esplorazione.
- Come vedi la situazione della musica (d’arte, jazz, rock e pop, per il cinema)? Anche in relazione a qualche anno fa.
Credo sia un fatto che, in questi anni, la musica abbia quantomeno consolidato la sua posizione all’interno dei differenti spazi (pubblici e privati) del quotidiano. Al punto che sembra impensabile poter ammettere la sua assenza dalla nostra vita. Mi pare che questo processo di consolidamento sia dovuto, almeno per quel che riguarda la musica riprodotta, alla smaterializzazione del supporto, cioè al diffondersi di quella che viene definita, con un efficace neologismo, musica liquida. Liquida proprio per la capacità di adattarsi a diversi mezzi di riproduzione, in analogia al modo in cui l’acqua contenuta in una bottiglia prende la forma del bicchiere in cui è stata versata. Dalla solidità di lp (ancora gelosamente conservato ed utilizzato dagli audiofili), cd e dvd, alla liquidità immateriale del file digitale che può essere ascoltato, ad esempio, in streaming su internet, oppure su notebook, smartphone, media player... Se queste nuove modalità di riproduzione aprono uno straordinario ventaglio di opportunità di ascolto, ciò non implica necessariamente che la qualità complessiva possa trarne vantaggio. Non mi riferisco tanto alla qualità tecnica della riproduzione, quanto alla possibilità di avere un’interazione attiva con la musica, rispetto ad un consumo più o meno consapevole: è difficile immaginare che persino l’attento abbonato alla stagione concertistica della Filarmonica possa aggiungere qualcosa di significativo alla propria esperienza di ascolto di una fuga di Bach mentre arranca per i viali alberati del parco, lo sguardo opaco e la maglietta inzuppata, durante l’ora di corsa pomeridiana. Con questo non intendo dire che ogni esperienza di ascolto debba obbligatoriamente condurre al “piacere celestiale degli iniziati” (das himmlische Vergnügen der Eingeweihten): sarebbe come negare la realtà di generi tutt'altro che trascurabili come la lounge music! Piuttosto, vorrei sottolineare come questi nuovi modi di fruizione stiano rivoluzionando il rapporto del pubblico con la musica: il tempo dell’ascolto può risultare frammentato, incoerente, condizionando la percezione della forma stessa dell’opera; l’attenzione disponibile può ridursi considerevolmente, quando non addirittura subire andamenti alterni; la sequenzialità delle parti costitutive dell’opera, dunque la sua unità, può essere compromessa da una riproduzione di tipo casuale (la modalità shuffle viene ampiamente utilizzata da alcuni dispositivi allo scopo di rendere più “interessante” l’esperienza). Chi la musica la produce, deve pur tenerne conto. E magari cominciare a pensare al prossimo passaggio di stato, dalla fase liquida a quella gassosa: una musica diffusa, leggerissima e inconsistente. Forse qualcuno ci ha già pensato.
- Sulle difficoltà del rapporto fra comunicazione e ricerca. Come ti situi nel fondamentale rapporto fra l’indagine compositiva e l’espressione?
Qual è il livello di profondità dell’indagine compositiva in 4' 33'' di John Cage? E il suo grado di espressività?[2]
- Sulle difficoltà di orientarsi. Dopo la morte dei grandi maestri (Maderna, Nono, Donatoni, Berio ecc.) quali punti di riferimento può avere oggi un giovane che intraprende gli studi della composizione?
Un breve vademecum ad uso del giovane alla ricerca di un maestro, potrebbe includere i seguenti punti:
  1. il maestro non abbia mai frequentato il conservatorio (su consiglio del proprio maestro)
  2. abbia composto per amore dei suoni concreti
  3. abbia dedicato l’intera vita alla ricerca
  4. abbia considerato i numeri come cose
  5. abbia scritto in esilio alcuni dei lavori migliori
  6. abbia vissuto abbastanza a lungo da disorientare a più riprese critici e colleghi
  7. abbia padroneggiato tutte le tecniche compositive, distinguendosi nei lavori per grande orchestra quanto in quelli da camera, nella musica vocale e in quella strumentale, nella musica sacra come nel teatro
  8. almeno una delle sue composizioni abbia suscitato un certo scandalo
  9. sia rimasto se stesso anche imitando lo stile di altri
  10. abbia almeno tre di questi punti in comune con un altro maestro
Se il giovane non riuscisse ad utilizzare con successo il suddetto vademecum, potrebbe, in alternativa, trovare ispirazione scorrendo il dizionario dei musicisti alla lettera S (tra le ultime voci).
- Sulle difficoltà di insegnare a comporre. Si può davvero insegnare a comporre oppure si possono dare solo delle linee generali per lo studio?
Dando credito ad uno dei più influenti didatti del secolo scorso, “nessuna arte è stata tanto ostacolata nel suo sviluppo dai suoi insegnanti quanto la musica.” E l'ostacolo è stato l’aver a lungo preteso che la teoria potesse imporre quali principi universali, validi nel presente come nel futuro, quella serie di indicazioni che costituiscono la teoria stessa e che sono direttamente ricavate dalla pratica compositiva. Una prassi che si stratifica e consolida, diviene teoria e si impone quale norma per stabilire ciò che è artistico e ciò che non lo è. Come se un principio estetico potesse essere regolato da leggi naturali ed eterne. Rimossi gli ostacoli e ricondotta la teoria all’interno di un processo di storicizzazione della creazione, l'intero patrimonio della letteratura diventa esso stesso il “modello vivo” cui attingere. A questo punto, ciascun insegnante potrebbe porsi obiettivi differenti, caso per caso, anche sulla base del significato attribuito al proprio ruolo: ad esempio, privilegiare il dominio della tecnica, del “mestiere”, la capacità di risolvere le questioni pratiche più frequenti, lasciando all'allievo i passi successivi; o invece inquadrare il fatto tecnico (più spesso l'eleganza del suo superamento) nella logica delle scelte stilistiche di un grande maestro; o ancora creare correlazioni tra soluzioni a problemi analoghi emersi in circostanze storico/geografiche distanti tra loro. Le possibilità sarebbero virtualmente illimitate, in funzione della modalità in cui l’insegnante decidesse di interrogare il modello. Insegnare a comporre vuol dire, probabilmente, disporre della capacità di combinare tutte queste possibilità, integrandole tra loro in un metodo.
- Sulle difficoltà del rapporto fra studio e libertà. Secondo te vale più un percorso didattico scolastico e rigoroso oppure le aperture di un libero percorso auto-didattico?
Alla fine, ciò che conta davvero è quello che siamo riusciti a vedere e, soprattutto, come lo si è visto.
- Sulle difficoltà delle contaminazioni. I cosiddetti generi musicali vanno (in parte) rispettati oppure (del tutto) superati?
In effetti, se ne è discusso molto, in questi ultimi anni. Da una parte, contaminazione come bisogno di sperimentazione, come sinonimo di apertura, di progresso. Dall’altra, contaminazione vista come strumento di “corruzione” del linguaggio, come causa di “imbarbarimento” della scena compositiva, di un livellamento verso il basso dei valori. Come muoversi? Su una rivista specializzata tedesca, leggo la risposta di un noto compositore alla domanda su cosa ne pensi dello sviluppo attuale dell’opera: «La stessa cosa che penso riguardo a qualunque sviluppo in campo artistico, e cioè che un giorno sarà scritto un capolavoro così ricco di indicazioni per il futuro che, in base alla sua esistenza, potremo parlare di uno sviluppo dell’opera». L’impiego di mezzi attuali (come cinema… musica jazz) assicura soltanto che una tale opera sia attuale, ma questo non si può chiamarlo un vero progresso; a questo punto siamo già arrivati e non possiamo procedere soltanto in virtù di questi mezzi. Quindi: a) la contaminazione è un mezzo; b) in quanto mezzo disponibile, sembra naturale farne uso, all’occorrenza; c) l’uso di un mezzo, di per sé, non garantisce la qualità del risultato; d) in assenza di un salto qualitativo non possiamo parlare di vero progresso. Mi pare che i termini della questione siano piuttosto chiari. Per meglio dire, avrebbero dovuto esserlo: il compositore è Alban Berg e la rivista è stata pubblicata nel 1928. Più avanti, a proposito di Wozzeck, rappresentata per la prima volta nel 1925: «Le quindici scene […] esigevano una configurazione molto varia, la sola che può garantire l’univocità e l’incisività musicali, e questo vietava la prassi consueta del “musicare da cima a fondo”, seguendo semplicemente il contenuto letterario. […] Ubbidendo all’imperativo di dare, anche musicalmente, a ognuna di queste scene e a ognuno dei relativi brani per il cambiamento di scena […] tanto una fisionomia propria e inconfondibile, quanto una disposizione compiuta e coerente, venne spontaneo ricorrere a tutto ciò che garantisce una simile caratterizzazione da un lato e l'organicità dall'altro: il tanto discusso ricorso a forme musicali antiche e nuove, e precisamente anche a forme di solito usate soltanto nella musica assoluta.» Anche in quegli anni se ne discuteva molto...
 
 
 


[1] Cfr. I. Stravinskij, Poetica della musica, Curci, Milano 1975.
[2] Il sottoscritto, nel rendere omaggio alla memoria di John Cage, ha ritenuto di sopprimere il resto della sua risposta, confidando che il lettore possa mettersi in ascolto del mondo attorno a sé per un tempo almeno pari a quello risparmiato nella lettura.
 



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