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Una storia italiana fra musica e letteratura
Una storia italiana fra musica e letteratura


 
Molteplicità di tendenze
 
I compositori e il loro rapporto con la letteratura
 
Per la musica possiamo indicare, in linea di massima, tre correnti basilari, come fa Bruno Basile per la letteratura, ovvero la "linea ermetica" (Ungaretti, Quasimodo, Montale) che in musica prenderà il nome di "post-webernismo" (in quanto porterà alle estreme conseguenze alcuni aspetti della scrittura di Webern) e che si caratterizzerà per l’asciutezza tagliente e l’attenzione al suono; inoltre l’impostazione "neo-classica" (proveniente dall’estetica della "Voce") e che pure per la musica punterà sugli equilibri formali; infine la linea più tradizionale e legata al realismo (da Vittorini a Pavese), musicalmente ancora legata alla tradizione melodrammatica ottocentesca e pucciniana in particolare o agli stilemi strumentali della cosidetta Generazione dell'Ottanta. Ovviamente queste tendenze sono solo indicative e se ne potrebbero aggiungere delle altre, con infinite sfumature, del resto nel Novecento non si ha più il grande Stile nè tecniche e forme omogenee, ma si assiste a un frazionamento stilistico, tanto da poter affermare che ci sono tanti percorsi compositivi quanti sono i compositori. Questo ha causato un disorientamento nel pubblico, ma anche un'eccezionale quantità di proposte che ha arricchito il vocabolario musicale e le possibilità tecnico-espressive.
 
 Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale si assiste a un proliferare di tendenze e(ste)tiche e stilistiche differenziate. Anche il metodo dodecafonico, ideato da Schoenberg, e il neo-classicismo, che tanti Autori aveva attratto (da Richard Strauss a Ravel, da Stravinskij a Casella), non rappresentano più una base comune. In Italia Luigi Dallapiccola è stato il massimo rappresentante della dodecafonia volta però a morbidezze latine che escludono le angosce della cultura espressionistica (alcuni amici e allievi di Dallapiccola che, nel lungo soggiorno fiorentino, lo hanno seguito, si sono in parte avvicinati alla sua impostazione, come Arrigo Benvenuti e Carlo Prosperi). In Dallapiccola il senso espressionistico dell’estraneità dell’uomo alle cose e al mondo si risolve in una sublimazione religiosa.
 
Un abbinamento possibile: Ungaretti-Schoenberg, Palazzeschi-Stravinskij.
 
Goffredo Petrassi è stato invece colui che ha saputo rinvigorire lo stile neo-classico, con sapienza contrappuntistica e inventiva timbrica, tanto da risultare forse il maggior compositore italianao della sua generazione. Fantasia timbrica all'interno di forme classicheggianti mostra anche Franco Margola, musicista di razza che, come molti altri, ha coniugato la ricerca compositiva con un impegno educativo e didattico (altri grandi didatti sono stati Bruno Bettinelli e successivamente Franco Donatoni). Per Petrassi e per i compositori neo-classici in genere vale quel "richiamo all’ordine" già espresso, qualche anno prima (1919-22) dalla Rivista romana "La Ronda", secondo la quale buona letteratura significa pulizia formale e scrupolo artigianale: solo lo stile riscatta i tumultuosi personalismi autobiografici che gli Autori post espressionistici mettono in drammatico risalto. "Palazzeschi è stato un po’ lo Stravinskij della nostra poesia" – secondo Edoardo Sanguineti – "e, facendo uso delle categorie interpretative di Adorno, possiamo proporre la candidatura di Ungaretti per il parallelo con Schoenberg". In Italia, fra i due Maestri storici, Stravinskij ha influenzato Petrassi e Schoenberg Dallapiccola.
  
Ovviamente non solo le tendenze dodecafoniche o neo-classiche fanno scuola, importante è anche il magistero di Hindemith al quale possiamo far risalire la vigorosa articolazione discorsiva della musica di Bruno Bettinelli, grande conoscitore del contrappunto e delle articolazioni ritmiche, e la produzione strumentale di Luciano Chailly, mentre più composita è la sua scrittura teatrale, vagamente surrealista, sulla falsariga dei testi di Dino Buzzati che Chailly ha musicato per il teatro, con grande impatto e forza interiore, tanto da risultare una delle produzioni teatrali più importanti del panorama italiano del secondo dopoguerra, che ha pure in Giancarlo Menotti, uno degli Autori più rappresentati e amati dal pubblico (da anni vive negli U.S.A. e ha fondato l’importante "Festival dei due Mondi" di Spoleto). A Bettinelli potemmo ravvicinare, almeno per la severità dell’impegno, Ungaretti (del quale Bettinelli ha musicato molte poesie, si veda la Cantata per coro e orchestra del 1971), mentre a Chailly potremmo ravvicinare, per il colore surreale e un certo fervore metafisico, Clemente Rebora, la cui opera è ricca di nuove situazioni. Le atmosfere poetiche di Menotti rimandano al periodo crepuscolare, mischiato a un certo senso cinematografico tipicamente americano.
  
Relazioni simboliche: Rebora-Chailly, Govoni-Zangelmi
 
Importante è anche il magistero dei grandi Autori francesi come Fauré, Debussy poi Honneger e Milhaud, con le loro raffinatezze armoniche e melodiche, accolte da noi da Piero Luigi Zangelmi, la sua estetica del "suono blu" risente del Simbolismo, la sua musica è elegante e ricca di sottigliezze, fin geniali sono le sue opere pianistiche. Le attenzioni alla forma e il gusto per l’eleganza, che portano Zangelmi a creare dei cammei sonori, lo ravvicinano alle tinte acquerello di un Corrado Govoni, con effetti nebbia ricorrenti: "nebbia luminosa del mattino / la casa dolcemente indietreggia e s’appanna; / si piegano sullo stelo, nel giardino, / dolci fiori di spuma e di manna."
 
Molti altri compositori, soprattutto donne, si rapportano alla cultura mittelueropea del primo Novecento, in modo particolare all’intuizionismo di Bergson e alla sua forma di conoscenza interiore, collegata al recupero memoriale di Proust. Si veda la produzione di Matilde Capuis, col suo mondo sonoro sospeso fra cantabilità e pudore; oppure quella di Biancamaria Furgeri, col suo stile ornato, rigoroso e teneramente elegante; quella di Silvia Bianchera, che sa piegare il puntillismo di derivazione weberniana al senso plastico e coloristico (ricco anche di suggestioni letterarie); o ancora l’ultima produzione di Gabriella Cecchi, del tutto interiorizzata e attenta alla didattica infantile; inoltre le atmosfere e i gesti sonori di Paola Ciarlantini, autrice interdisciplinare che ama molto il teatro e la poesia, lavorando come studiosa su Leopardi. Come per le altre arti, la presenza femminile s’è rafforzata negli ultimi vent’anni. Caratteristiche di quasi tutti queste Autrici sono le suggestioni poetiche di provenienza simbolista e la ricerca di una personale dimensione sonora, raffinata, nel senso buono, interiore e non salottiero, dove grazia e accuratezza si sposano spesso a un senso sospeso del tempo, a volte perfino favolistico.
 
A livello estetico, passati gli anni delle neo-avanguardie, il concetto cardine sta diventando quello di far con-vivere culture differenti, con linguaggi aperti e trasversali che però si presentano in modo finito, compiuto e plastico.
 
L'apice storico della ricerca sul linguaggio musicale dura pochi anni e si situa fra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta, per la precisione dal 1948, anno della prima opera che utilizza il serialismo integrale, Three Compositions di Milton Babbitt, al 1953 uscita della Rivista di Darmstadt e inzio di un processo centrifugo (tecnica dei gruppi, stereofonia, musica elettronica ecc.).
 
Dal 1956 al 1963, Riviste, movimenti letterari e artistici
 
In Italia, gli anni importanti per la cultura sperimentale sono spostati in avanti, e sono quelli che vanno dal 1956 al 1963: a Milano si stampa la Rivista "Il Verri" che si riallaccia all’Illuminismo lombardo, al neo-razionalismo di Geymonat e all’Esistenzialismo positivo di Abbagnano. Seguono le Riviste "Officina", impostata sul marxismo critico, e "Il Menabò", fondata da Vittorini dopo l’esperienza, conclusasi nel 1947, de "Il politecnico", che ospita molti interventi della neo-Avanguardia. A Milano ci sono molte cose: si forma un gruppo con Balestrini, Porta, Arbasino, Pagliarini, Manganelli, Eco; viene fondato il primo Studio di fonologia italiano, quello della RAI, e, sempre collegato all’attività di Bruno Maderna e Luciano Berio, nascono i concerti di musica d’avanguardia, Incontri musicali, affiancati anche, dal 1956 al 1960, dalla Rivista che porta lo stesso nome. Studi e gruppi legati alla musica elettronica si formano anche a Roma, nel 1957 con Guaccero e Vlad, e a Firenze, nel 1960 con Pietro Grossi e Vittorio Gelmetti. Di lì a poco, a Roma, prenderà vita la Rivista Ordini, fondata da Domenico Guaccero, Macchi ed Evangelisti, poi nascerà anche l’importante Associazione Nuova Consonanza.
 
A Bologna esiste un gruppo di intellettuali di primo piano, quali Barilli, Guglielmi, Curi. Nel 1958, Gadda edita Quer pasticciaccio, nel 1961 esce l’Antologia I Nuovissimi e, l’anno seguente, Eco pubblica Opera aperta. A Palermo si forma il "Gruppo 63" del quale Guglielmi, Sanguineti e Barilli incarnano le tre tendenze principali: la prima formalistica e aideologica, la seconda ideologica e linguistica, la terza fenomenologica e neopositivista.
 
A Palermo già era attivo il Festival dedicato alla musica contemporanea, le Settimane internazionali di Nuova Musica fondate, nel 1960, da Antonino Titone e affiancate dalla bellissima Rivista "Collage" (1963-70), situazioni a cui partecipano anche Paolo Emilio Carapezza e Luigi Rognoni, il musicologo più importante di quegli anni. Dallapiccola e Petrassi si erano già messi in evidenza, ora tocca a Bruno Maderna (già figura di rilievo per la presenza a Darmstadt e per aver fondato lo Studio di musica elettronica della RAI di Milano), a Luigi Nono (che aveva già composto lavori importanti come Epitaffio a Garcia Lorca e Il canto sospeso, e stava attendendo al ciclo dei lavori corali che da La terra e la compagna arriverà a Intolleranza 60), a Luciano Berio (che stava componendo Omaggio a Joyce, Temi concertati, Allez-hop! Visage e Circles). Se Mardena, Nono e Berio sono i primi nostri compositori ad affermarsi in ambito internazionale, anche altre figure, in questo periodo d’oro, scrivono lavori fondamentali, come Niccolò Castiglioni (Cangianti, Gymel), Camillo Togni (Helian), Franco Donatoni (For Grilly, Puppenspiel I, Per Orchestra), Aldo Clementi (Triplum e la serie degli Informel), Franco Evangelisti (Incontri di fasce sonore, Proporzioni, Aleatorio), Giorgio Gaslini (Tempo e relazione), l’allora giovane Sylvano Bussotti (il ciclo Pièce de Chair e i Sette fogli).
  
Contemporaneamente, l’arte figurativa compiva il suo massimo sforzo per esprimere la propria ricerca, con artisti quali Dorazio, Burri, Capogrossi, Fontana, Vedova, Viani, Mastroianni, Giacometti, Colla, Rotella, Paolazzi, Turcato, Manzoni, Santoro, Lo Savio, Perilli, Consagra e molti altri, in un accavallarsi di proposte che potremmo anche rapportare a quelle musicali (alcuni compositori hanno rapporti intensi con pittori, come Clementi con Dorazio, Nono con Vedova ecc. o con intellettuali Eco, Sanguineti, Barilli ecc.).
 
Già nella Rivista "Officina", in pieno clima sperimentale, Pier Paolo Pasolini lancia l’accusa di "apoliticismo e di misticismo tecnico", riscontrando nella nuova coppia Strutturalismo e art engagé, le stesse caratteristiche di quella Ermetismo e neo-realismo. A Palermo, occasione di vivaci discussioni è la presenza di Alberto Moravia che da’ voce a quelle che saranno le critiche che faranno, progressivamente, morire lo sperimentalismo, ossia l’eccesso di teoria e di formalismo. Eugenio Montale, in una recensione su "Il Tempo", scriveva: "questi poeti sono piccoli mostri, infarciti di citazioni: conoscono venti, trenta riviste, ma sono poveri di intelligenza. Riescono a guadagnare vendendo la propria disperazione, vera o falsa che sia." Comunque fino ai primi anni Settanta lo Strutturalismo e le varie Avanguardie riescono a elaborare tecniche dinamiche e ancora vitali, dopodiché diventa maniera, marchio di fabbrica che a molti serve per sopravvivere, per tenersi a galla (è per questo che s'è parlato di un'accademia dell'avanguardia).
 
Modernità e tradizione
 
Accanto alle prove d’eccezione dei musicisti che vennero definiti "d’Avanguardia", ce ne sono di altrettanto valide, come le suggestive prove di Giacinto Scelsi, le vigorose Sinfonie e l’energica musica orchestrale di Bruno Bettinelli, la musica "spettrale" di Roberto Lupi, le surreali opere teatrali di Luciano Chailly, la delicata musica da camera di Franco Margola, i raffinati pezzi pianistici di Piero Luigi Zangelmi, la musica colorata di Carlo Prosperi, e ancora le prove di Vlad, Cataldo, Ferrari, Benvenuti, Paccagnini, Guaccero, Arrigo, Pennisi e molti altri che hanno saputo intendere i termini di tradizione e novità non come antitetici, ma complementari, come dice il titolo di un libro di Vlad del 1958, intitolato appunto Modernità e tradizione. Lo stesso Berio dichiara che il musicista deve essere "capace di muoversi in un’ampia prospettiva storica e di risolvere le tensioni fra la creatività di ieri e quella di oggi".
 
Il tempo storico degli artisti sperimentali è parabolico, sale al momento dell’invenzione, poi irrimediabilmente scende, perché è impossibile prolungare l’atto inventivo che, invece, dev’essere decantato e metabolizzato. Il tempo storico degli artisti tradizionalisti è rettilineo e regolare, parte dalla tradizione e la sviluppa moderatamente. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta ci furono le condizioni storiche per l’innalzamento della parabola sperimentale che poi scese, incontrando la retta della tradizione.
 
Molti compositori hanno saputo giovarsi della ricerca sonora che ha permesso loro un ampliamento del vocabolario compositivo e nuove prospettive combinatorie, ricerca che però è stata utilizzata come mezzo, filtrata per giungere a un’opera finita. Sono musicisti in possesso di straordinarie doti speculative (la teoria gravitazionale di Lupi), di magistrale scrittura contrappuntistica (Bettinelli), armonica (Zangelmi), timbrica (Prosperi, Pennisi), melodica (Margola), strumentale (Guaccero), elettronica (Grossi, Paccagnini) con un senso funzionale del teatro (Chailly), uomini di cultura (Vlad) e di notevole spessore artigianale (tutti) hanno scritto, nel periodo d’oro, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, produzioni di altissimo profilo.
 
Sono anche gli anni della musica di Nino Rota (Il cappello di paglia di Firenze è del 1955) e della sua struggente musica per i film di Fellini, Visconti e Zeffirelli. Si afferma inoltre la musica di Ennio Morricone, per i film di Leone, Bertolucci, Bellocchio, Pontecorvo, Pasolini ecc.
 
Nascita del jazz italiano
 
Anche il primo impatto del bop avviene negli anni Cinquanta, impatto che darà il via al jazz italiano, con personaggi quali Gaslini, Cerri, Cuppini, Volonté, Valdambrini, Rotondo, Basso, Intra e molti altri, musicisti che, facendo scuola, getteranno le basi per l’indipendenza del jazz italiano e per la sua originalità e affermazione. La fondazione della Rivista "Musica jazz" risale addirittura al 1945, fondata da Testoni con la prestigiosa firma di Polillo (il vero caposcuola della critica jazzistica italiana). Gaslini sarà il primo a scrivere un brano jazz in stile dodecafonico e metterà a punto la poetica della Musica totale.
  
Manicheismo della critica
 
Spesso la critica italiana ha diviso la musica in generi, in stili e tendenze culturali, non in un positivo raffronto, ma privilegiando il clan degli avanguardistici (critica legata all’ideologia marxista) oppure stroncando in toto la musica contemporanea, in nome di una tradizionale concezione melodica (critica idealistica); si sentono ancora i sintomi di questo manicheismo, più ideologico che realmente musicale, ma è l’ora di rifondare il pensiero sull’arte, il linguaggio, l’uomo e la società, mettendo in gioco altri e differenti aspetti o recuperando, sotto altra luce, elementi tradizionali del dibattito estetico.
 
Lo Strutturalismo
 
I principi dello Strutturalismo musicale derivano dalla linguistica e dai meccanismi della critica letteraria di de-costruire il brano (ripresi dal celebre Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure e dagli interventi sulla "Rivista internazionale di linguistica strutturale" che, negli anni Quaranta, diventa il laboratorio del metodo strutturalista). Lo Strutturalismo si diffonde in Italia contemporaneamente alla diffusione dei testi di Lévi-Strauss.
 
L'esclusiva attenzione delle posizioni formalistiche al dire ha condotto a un'opera dicente il dire, che parla solo di come è realizzata, senza tematizzare il proprio segno col mondo. L'opera è allora un dirsi, che non apre lo spazio chiuso del logos allo spazio collettivo dell'ethos: è un'opera che rimanda solo a se stessa, narcisistica e presuntuosa, che si guarda allo specchio e si dice, da sola, quant'è bella.
 
Quello che in letteratura è stato il post-ermetismo in musica può essere ravvicinato al post-webernismo. Una delle figure più eminenti è quella di Bruno Maderna, un umanista italiano in mezzo allo sperimentalismo europeo. Maderna è fra i musicisti quello più legato alla tradizionale cultura italiana, di forte impronta umanistica, ma è anche fra i più attenti allo svolgersi delle tecniche nuovissime, Maderna agisce all'interno della musica, sugli elementi che da sempre la costituiscono; le prospettive sono volte a scandagliare le opposte direzionalità, vissute in ogni possibile aspetto, nostalgicamente, ma pure in maniera disincantata, quale irrequieto mascheramento degli abbandoni al passato, in una costante ricerca che permetta, umanisticamente, l'approccio e magari la risoluzione dell'opera. Ma l'operatività rimane sempre e comunque al limite del congestionamento. Estro e lucida intelligenza sono le doti evidenti di Maderna, un po’ come Emilio Cecchi.
 
Molti i poeti musicati da Maderna, di tutte le epoche e di tutti i paesi, quelli che hanno dato vita alle opere principali sono Garcìa Lorca, Shakespeare, Petronio e Patroni Griffi.
 
Usando una terminologia letteraria si direbbe che l’opera di Camillo Togni è ermetica, sia per l’asciutta impostazione sonora, sia per l’impegno civico; a lui si deve una delle prime composizioni scritte con metodo dodecafonico, nel '42 infatti scrive Serenata per pianoforte, di stretta osservanza seriale. Esemplari le liriche, su testi di Trakl, Helian del 1961, Gesang zur Nacht del 1962, Sei Notturni del 1966 e l'Opera teatrale Blaubart (1972-77) su testo da Trakl, come anche l’opera successiva Barrabas (1981). Meditazione e rigore estremo caratterizzano il lavoro sul suono e sulla parola di Togni, avvicinandolo – a livello generale – a poeti che bruciano ogni compiacimento autobiografico, come un Vincenzo Caldarelli. Se c’è un poeta che, con la sua sintassi scarna e bruciante, si può avvicinare a Togni, questi è senz’altro Giuseppe Ungaretti per il quale la vita è "una roccia di gridi", la sua disperazione esistenziale, riverberata nel verso scheletrico, sa però aprirsi a improvvise effusioni cantabili.
 
Un'affinità col pensiero dell'Espressionismo di denunzia (e con quello di Sartre), condividendo il rifiuto della società borghese e approdando alla messa in opera di una sorta di "musica didattica" rivolta al proletariato, sulla scia di un certo teatro brechettiano è la strada intrapresa dal giovane Luigi Nono. In questi anni la ricerca del contatto poetico con la realtà lo avvicina a Cesare Pavese, tentando varie forme di arte/testimonianza, oltre l’ermetismo della dodecafonia, conciliando solitudine (dell’artista) e collettività. Poi il suo percorso è diventato assolutamente personale; negli ultimi anni ha trovato sintonie col filosofo Massimo Cacciari.
 
Mittner diceva, a proposito degli scrittori espressionistici, che, per loro, le cose esistono in sé e non per l’uomo, lo stesso potremmo dire per i meccanismi contrappuntistici di Aldo Clementi: "il poeta non deve edificare, soltanto allineare" – scrive Leonardo Sinisgalli – affermazione che potrebbe essere condivisa sia da Clementi sia da Donatoni che, col poeta ermetico, possono recitare: "non mi accosto più / ai vecchi affetti, alle insegne abbattute. / Io allargo intorno il vuoto."
  
Il vuoto, ovvero il glaciale e metafisico Nulla beckettiano, riduce l’uomo e la sua opera a una larvale presenza, com’è nel caso della produzione, degli anni Sessanta/inizio Settanta, di Franco Donatoni.
 
Brecht, Joyce, Beckett, Kafka, Auden sono scrittori che svolgono una profonda influenza sulle poetiche dei compositori, soprattutto quelli di ambito milanese.
 
 E’ l’ambiente milanese quello che conserva i maggiori richiami allo Strutturalismo, spesso volto a contenuti sociali. Molti sarebbero i compositori da ricordare, fra cui Angelo Paccagnini che si rivolge a un serialismo rigoroso, denso di tematiche sociale, accordando un "canto di dolcezza e furori" (Quasimodo), mostrando una vena civile sempre vigile.
 
Una forte con-partecipazione alle tematiche civili e politiche (soprattutto nella sua prima fase compositiva) viene assunta da Armando Gentilucci che dalla ricerca linguistica approda a raffinati effetti timbrici. E’ una linea che privilegia la testimonianza, la memoria della resistenza, alla Carlo o alla Primo Levi, ma anche alla Vittorini o alla Pasolini. Il racconto sociale si lega al conte philosophique, come in un certo Calvino. La sua ultima opera è sul testo di Herman Melville Moby Dick. Ancora da menzionare sono le produzioni di Davide Anzaghi, orientato a una sobria rivalutazione del ruolo dell’ascolto, di Dario Maggi, intento a uno scavo introspettivo di ciò che il Maestro stesso chiama "realtà torbida", di Alessandro Gorli, impegnato anche come direttore d’Ensemble.
 
 Molti giovani sono stati attratti dalle modalità di costruzione razionale del pezzo, ma i migliori sono coloro che hanno saputo mediare la "scientificità" con esigenze espressive, personalizzando in maniera "umana" il metodo, fra questi Giampaolo Coral, triestino come Svevo, la cui struttura musicale è pregna di riferimenti alla psicanalisi e di grande spessore culturale, Coral è uno dei più profondi Autori della sua generazione a livello internazionale; Aurelio Samorì che sottopone gli eventi sonori a interessanti processi di continua trasformazione, innescando modalità di talee; Pieralberto Cattaneo che presenta una produzione dalla profonda pregnanza culturale, con una forte tensione civile alla Giorgio Bassani; Corrado Pasquotti nella musica del quale un corposo strutturalismo, dionisiaco, viene fatto ribollire da umori tanto sonnacchiosi quanto vitalistici (ha collaborato con Brandolino Brandolini D'Adda). Inoltre sono di grande interesse la disciplina delle emozioni di Carlo Alessandro Landini, che si muove in un dongiovannismo intellettuale alla Papini, musicista di grande cultura, come pure Fulvio Delli Pizzi che concilia i paradigmi post-weberniani con l'attenzione alla comunicazione di stati psicologici inconsci, rapportando "critica e lirica" in un modo che ricorda Renato Serra.
 
Dello Strutturalismo speculativo del dopoguerra, in tutti questi Autori rimane il senso del rigore e della forma, ma si perdono i furori intellettualistici, per approdare a un'articolazione più morbida e più sentita, meno studiata alla lavagna (come direbbe Cocteau) che sa gettare dei ponti verso il pubblico. Vengono fuori umori e sensazioni che coinvolgono le tecnica, rendendola meno astratta e più partecipata.
 
 Corghi-Saramago, Berio-Sanguineti e Calvino, Bussotti-de Sade e se stesso.
 
 Azio Corghi viene alla ribalta con l'Opera Gargantua, su libretto di Frassini da Rabelais, poi la collaborazione con Saramago diventa fondamentale, senza dimenticare i lavori tratti da Cechov e diversi testi ripresi dalla tradizione popolare.
 
Berio è coloui che più s'è interessato della voce e del teatro e, quindi, del testo. L'esordio teatrale avviene con Passaggio su testi di Sanguineti; Opera è su testi propri, mentre La vera storia e Un re in ascolto sono su testi di Calvino. Outis si basa su frammenti tratti da Joyce (un autore molto amato), Celan, Auden, Shakespeare, Becht, Melville.
 
Anche per Sylvano Bussotti il teatro costituisce una strada maestra, un work in progress, in cui la memoria e l'auto-biografia si fondano in modo circolare, lavoro in divenire che sfocia nella sigla BUSSOTTIOPERABALLET. De Sade è l'autore più significativo da accostare al teatro bussottiano, ma di molti latri sono stati utilizzati i testi da Braibanti a De Musset, dalla Maraini a Michelangelo...
  
L'alleanza fra le arti
 
Si può parlare di un'alleanza fra le arti proprio nel senso che questo termine ha nella Bibbia, quale patto fra l'uomo e ciò che lo oltrepassa, ciò che lo guida, ciò che rappresenta la sua ragion d'essere, ciò che dà senso alla sua vita, ciò ch'è il suo principio e la sua fine. Tutto questo vale anche per le arti, ovviamente il riferimento non va fatto a Dio, ma al concetto di religione, nel suo significato etimologico, da religare = legare insieme strettamente. Ecco l'essenza dell'arte, di ogni arte, è una religiosità laica che lega insieme l'uomo alla Terra e al Mondo e al Cielo. L'uomo vive fra questi universi, è un essere in cammino e nel sua andare, nell'esodo, compie un viaggio esperiente che lo porta all'avvento, alla scoperta del suo infinito interiore e del suo esserci.
 
L'arte è quel fare stra-ordinario che, meglio di qualsiasi esperienza comune, ci parla dell'avventura dell'umanità e questa vicissitudine non ha diversificazioni, ma si dà come vocazione, come chiamata alla realizzazione di un'opera che nasce da un'urgenza interiore e, per l'impegno della risposta, è anche un segno di responsabilità sociale.
 
Le forme artistiche sono manifestazioni di vita e “la differenza fra queste manifestazioni sta nel materiale: parola, colore, suono. Dietro le iscrizioni, dietro i quadri, dietro le opere musicali, stanno le gioie e i dolori dei popoli”. Questa affermazione di August Macke, nel suo scritto Le maschere , viene rafforzata da Theodor von Hartmann, il quale pone l'accento sul fatto che “la bellezza di un'opera d'arte consiste nella corrispondenza tra il mezzo espressivo e la necessità interiore”. V'è dunque un suono interiore , come lo chiama Kandinskij, che esprime “lo spirituale nell'arte”, un suono arcaico e primigenio, dal quale, come professano gli antichi, prende vita il Tutto, uno spirituale che rappresenta il substrato delle arti, le quali differiscono fra loro nei materiali, ma non nell'essenza. Gentile diceva che le funzioni dello spirito si realizzano insieme nell'unità dell'atto, per cui è possibile rintracciare i legami sostanziali che, come un unicum , stanno alla base delle singole manifestazioni artistiche. L'arte è dunque un insieme di manifestazioni particolari che rimandano tutte alla necessità interiore dell'uomo.
 
Non si tratta di rimettere in circolo l'estetica idealista, nessun languore crepuscolare, nessun patetico sentimentalismo o svenevolezza neo-romantica riguarda questo discorso, l'aver citato Il Cavaliere azzurro, con i suoi inflessibili protagonisti, ossessionati dal rigore tecnico e dalla ricerca formale, è un segno che nessun cedimento può avvenire nei riguardi della qualità del costrutto, pena il vaniloquio.
 
Negli ultimi anni, il tema della ricerca tecnica non viene certo meno (come vorrebbero far credere i neo-qualunquisti), ma deve essere affrontato in un modo che anche l'ascoltatore lo possa percepire e lo percepisca come necessità interiore: ricerca in arte vuol dire muoversi all'interno di se stessi in piena libertà, non sapendo di fare ricerca, perché altrimenti si perde l'autenticità e la naturalezza dell'atto e chi ascolta non percepisce la scorrevolezza della sincerità, ma la durezza dell'artificio.
 
Oggi siamo pieni di opere ben fatte, che danno un senso di falso, di ricercato: la storia (della musica) è piena di opere siffatte, che non provocano alcuna emozione, che deludano o lasciano indifferenti, perché manca loro il viaggio, quello interiore. Sono opere sedute, buone per i borghesi soddisfatti, da sempre chiamate "accademiche". Come ha scritto Rocco Abate, non è vero che il pubblico non sia ricettivo, il fatto è che gli sono state propinate per troppo tempo cose astruse, mentre l'ascoltatore, quando è alla presenza di una testimonianza vera, di una musica vissuta, sa apprezzarla e sa collegarsi emotivamente a quell'opera, avviene, allora, il miracolo dello scambio del flusso di energie. Il compositore deve parlare sul come l'opera è realizzata, ma anche del cosa e del perché, delle esigenze e degli scopi che lo hanno spinto alla scrittura.
 
Alla fine del millennio siamo ritornati a temi da tardo impero, assistendo al passaggio dal concetto di libertas a quello di securtas, ossia all'approdo verso l'egoistico possesso, sicuro e garantito, dei propri beni, da godere con ogni confort, lasciando fuori il nero, lo sporco, l'altro, tutto ciò che non rientra nel perbenismo. La padronanza stilistica è intesa come un bene da godere e da cui trarre vantaggi. La scrittura è stata troppo spesso messa a punto in laboratorio, bianca, pulita, propria, perbenistica, ora questo scrivere che gira intorno a se stesso sembra incepparsi perché non è più in relazione alle coordinate del tempo attuale, e mostra segni di stanchezza.
 

Dall'estetica alla poetica
 
Il tema del rapporto fra le cosiddette arti del tempo, suono-parola-gesto, è antico quanto l'uomo e trova un senso profondo dalle civiltà arcaiche fino a quella greca classica, con l'espressione del concetto di mousiké. I misteri antichi, le formule magiche o religiose, i responsi degli oracoli e le preghiere, erano basate su formule ritmico-melodiche nelle quali la parola sacra era tutt'uno col suono e con la gestualità di chi la pronunciava. Il rito però mette in relazione le arti del tempo con quelle dello spazio, in quanto il luogo in cui gli antichi versi venivano cantati è d'importanza essenziale, fa parte integrante dell'espressione, sia esso luogo sacro, delimitato per le funzioni liturgiche, o sia esso spazio pubblico all'aperto (per esempio l'agorà), per le rappresentazioni o feste sacro-profane, sia infine un sito specifico (come quello del teatro greco e romano), appositamente costruito per le rappresentazioni tragiche o ludiche. Lo spazio dunque, libero o architettonicamente costruito, ingloba in sé la manifestazione poetico/musicale, la quale si avvale anche della gestualità della danza, dei costumi e di un'ambientazione para-scenografica. Il tutto sottostà a un'idea unica, a un principio ispiratore dal quale prendono le mosse le varie realizzazioni, ovvero, in termini moderni, vi è un'unica progettualità alla quale rimandano le varie forme espressive, e questa progettualità è frutto di un pensiero profondo, nato da un bisogno interiore, primigenio, dal quale prende vita l'articolazione dei differenti materiali artistici.
 
Sotto questo profilo le varie querelles che si sono disputate, dall'antichità a oggi, fra chi sostiene l'insieme delle arti sotto un unico segno ispiratore e chi invece caldeggia la loro netta separazione fin dall'origine, non hanno molto senso, in quanto non si tratta di mettere in un unico calderone le varie manifestazioni artistiche, le quali hanno ognuna un loro preciso profilo tecnico-formale e linguistico, però neanche si tratta di tenere su mondi separati le arti, ognuna chiusa in sé e per sé, piuttosto il problema riguarda l'equilibrio, ossia quanto e come le arti possono con-vivere, in che misura possono unirsi e sovrapporsi, con quale modalità possono partecipare alla realizzazione di un progetto com-partecipato e realizzare l'Unità. E qui entriamo nel campo della poetica.
 
Spostare il discorso dall'estetica alla poetica è decisivo, in quanto a livello di ragionamento generale è possibile esprimere pressoché qualsiasi filosofia artistica, mentre nei fatti molte astrazioni cadono, così ci si rende conto che l'impostazione formalistica rigorosa non è poi così asettica, ma si confronta, sempre e comunque, con i problemi dell'espressività, del significato e del senso. Pensiamo a Stravinskij, che forse è stato colui il quale ha, più di ogni altro, sostenuto che la musica “non esprime alcunché”, eppure è ricorso molte volte alla poesia, al teatro e ha espresso momenti profondamente comunicativi in ogni sua pagina musicale. Se il formalismo eccede nel voler vedere la musica come un'algida manifestazione di equilibri tecnici, il romanticismo eccede nel senso opposto, manifestando spesso una grondante ridondanza retorica. In ogni caso non è possibile, per nessuno, praticare un'arte staccata dalla necessità interiore di chi la fa e dal suo io plurale, dal riferirsi agli aspetti sociali tipici della propria epoca. E' inoltre impossibile, per ogni artista, di ogni tempo, considerare la propria arte a se stante, monade isolata da altre manifestazioni artistiche, dunque è possibile mettere in rilievo i vari contatti, in questo caso della musica con la poesia e con le altre arti, per ogni compositore.
 
 
 
Da Renzo Cresti, Firenze e la musica italiana del secondo Novecento, LoGisma, Firenze 2004 e da Il cuore del suono, edizioni Feeria, Panzano in Chianti, Firenze 2001.
 
 



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