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Vita musicale fiorentina
Vita musicale fiorentina
 
 
 
Il ritardo con cui si presentano a Firenze le novità della Neue Musik, non comporta una deviazione di rotta, anzi, permette di analizzare meglio le varie tendenze estetiche e i processi compositivi che giungono ai compositori fiorentini già modellati dai molteplici avvenimenti europei, è per questa ragione, oltre a quella storica che lega la Città alla tradizione umanistica, che i Maestri aderiscono al Moderno, tagliandone le punte estreme e incanalandolo fra i binari di un'estetica che si contrae in etica, lasciando perdere il feticismo del materiale per iniziare e finire sempre con l'uomo.
 
E', quella dei compositori fiorentini, una Modernità che si riallaccia, meglio e di più che altrove, al primo Novecento e da lì ai secoli precedenti, senza scavalcare l'Ottocento, come avviene in generale, anzi creando una linea piuttosto precisa che partendo dai giovani di allora, tornando indietro, si collega direttamente a Luigi Dallapiccola, quindi ai Maestri europei d'inizio Novecento, infine, passando soprattutto per Verdi, trova le sue radici nella musica strumentale Sei-settecentesca e, ancora più indietro, in quella vocale umanistica-rinascimantale, ovvero nello straordinario momento dell'affermazione di Firenze quale culla del pensiero artistico mondiale.
 
Se il Moderno si forma in quei secoli d'oro, Firenze è davvero la città del Moderno per eccellenza, non venendo mai meno i presupposti dell'estetica umanistica, perfino nei momenti in cui impostazioni altre e diverse paiono avere la meglio nel resto d'Italia (a Milano soprattutto), in Europa (in particolare in Germania) e negli Stati Uniti (con l'avanguardia cageana e con gli Studi di musica elettronica). Quei momenti riguardano proprio il secondo Dopoguerra quindi, per contrasto, le esperienze compositive dei musicisti fiorentini assumono il valore emblematico di un Moderno che, per volontà o per forza di cose, si modella sulla grande tradizione, anche in quegli stili sui generis legati alla gestualità (Renosto), alla performence (Chiari), alla grafia particolare (Bussotti) e alla ricerca sul suono (anche computerizzata come in Grossi), stili che inseriscono elementi extra all'interno della comune prassi del comporre, ma che lo fanno proprio per riportare il tutto a un'umanità primaria (Frazzi, Prosperi), o perfino primordiale/universale (Lupi), mai perdendo di vista il senso collettivo del pensare e fare musica (Bucchi, Turchi, Testi, Rigacci, Cioci), senza allontanarsi da un concetto sferico di forma che rimane (Giani Luporini, Pezzati, Luciani, De Angelis, Bonamici), ancora più saldo, proprio grazie in virtù di una corroborante ironia (Benvenuti) e di un forte rinnovamento tecnico-linguistico (Bartolozzi e Company a livello strumentale, Zosi etc.).
 
Vedere, pur negli atteggiamenti diversissimi di musicisti provenienti da altre città, i collegamenti con la tradizione umanistica fiorentina è facile: in Dallapiccola (che pur mantiene tratti culturali del nordico carattere triestino/mitteleuropeo, ma che, appena giunto a Firenze, si mette a ricercare con passione le tracce di Dante), in Frazzi (seppur legato a un humus emiliano), in Lupi (milanese sui generis, assai lontano dall'empirismo lombardo e molto attento alla spiritualità, come il più giovane De Angelis che fin dall'infanzia studia e lavora nel capoluogo toscano), in Turchi (la cui musica miscela aspetti riferibili all'umanesimo fiorentino con forti accenti tratti dall'ambiente romano), in Zangelmi (che continua anche a tener vivo l'umore torinese e, via Torino, certi contatti con gli stilemi francesi), in Benvenuti (nato a Pistoia ma fiorentinissimo, anche per il suo carattere battagliero, un po' anarcoide e ironico), in Giani Luporini (dove le acquisizioni fiorentine s'innestano sui toni elegiaci tipici del temperamento lucchese), in Bonamici (che agli studi svolti a Firenze fu legato visceralmente), in tutti costoro l'incidenza del vivere e lavorare in una città dal carattere (storico) così pronunciato è talmente forte dal determinarne le inclinazioni (non sempre, ovviamente).
 
Nei fiorentini di nascita è ancora più semplice individuare quell'umanesimo mentale, e(ste)tico, poetico, culturale che entra nel cuore e nella testa: sono tutti dei grandi artigiani (Prosperi parlava di labor musicalis) che hanno, nel duro lavoro giornaliero di bottega (si direbbe in termini pittorici), il loro riferimento etico ancor prima che tecnico e sanno che quell'operare non è fine a se stesso, non deve guardarsi allo specchio, ma relazionarsi alla collettività, creando senso. Anche gli aspetti più tecnici, come la ricerca sonora sui fiati di Bartolozzi, davvero straordinaria per l'epoca (purtroppo pressoché dimenticato come compositore).
 
Altra ricerca importante è stata quella di Company sulla chitarra, che ha prodotto una scuola magnifica (il brano Las seis Cuerdas viene publicato da Company nel 1963 e diviene subito una pietra miliare della letteratura chitarristica), hanno le basi in una poetica che pone la forma e lo svolgersi del linguaggio sotto l'egida della comunicazione, sentita e partecipata; è così anche per le ricerche computerizzate, sonore e grafiche, di Grossi, che indaga la dimensione performante dell'arte, come la più adatta all'era della trasmissione interattiva; le sue architetture liquide del cyberspazio sono un modo per localizzare uno spazio nuovo del fare arte, dall'opera al dispositivo, sottraendo al momento realizzativo quella stabilità e determinatezza dello spazio/tempo tradizionale che, invece, si offre in maniera provvisoria, al di là del segno, al metaxy informatico, all'immaginario elettronico, riuscendo pienamente, infine, a cogliere in anticipo le trasformazioni antropologico-culturali che il mezzo elettronico ha imposto oramai a tutti (Homeart).
 
Sempre al servizio di un progetto che deve consegnarsi all'ascolto attivo sono le esperienze più provocatorie del giovane Silvano Bussotti  (non aveva ancora aggiunto la y) le quali, tolte dal contingente storico degli anni Sessanta e viste con gli occhi di oggi, hanno comunque una valenza espressiva, perfino classica nei suoi disegni e in certe movenze e tematiche. Forse Bussotti è l'unico, fra i compositori fiorentini, che col suo fare eterogeneo e con l'amore per il citazionismo, possa entrare in affinità con alcuni tratti della post-modernità, vista sempre in maniera critica e personalissima. La citazione non è solo evocativa (come in pittura fa Mariani e i cosiddetti Anacronisti), ma è anche ripetizione differente, epifania di figure e colori musicali inseriti in un contesto nuovo e personalissimo. Il tempo/spazio, in artisti come Bussotti, e ancor più come Dallapiccola, è introspettivo e quindi, come tale, ha bisogno della pagina che si fa Stile: è, malgrado la visonarietà (Lupi), la temperatura emotiva espressionistica (Dallapiccola) e l'eccentricità (Bussotti), un ulteriore avvallo alla classicità umanistica.
 
L'eclettismo di Chiari è quello che, a una lettura superficiale, potrebbe apparire il più lontano dalla tradizione umanistica, ma proprio come in certe esperienze di Bussotti, nei rumori, nei collage, negli happening fatti nelle gallerie d'arte (poche quelle di qualità in una città, come Firenze, che di arte dovrebbe vivere), nei video-tape, nei gesti sul pianoforte e negli scritti si nota, evidentissima, l'urgenza espressiva, talmente forte che deve giungere diretta all'uomo, spoglia di ogni sovrappiù tecnico. Il passaggio dall'oggetto al comportamento, al processo, esalta il corpo-azione, un movimento che estende l'estetico anche agli oggetti comuni, come è anche in certe opere, oltreché di Bussotti, anche di Daniele Lombardi e di Giaancarlo Cardini. Chiari fu un'esponente di punta del Fluxus che significa "flusso", movimento inarrestabile, questa tendenza, nata in America nel 1962 con George Maciunas, sottolinea la partecipazione dell'arte alla vita, integralmente, approdando a un'arte totale, interdisciplinare, gestuale, rumoristica, vitalistica, spogliata delle sovrastrutture tecniche e formali. Assumendo il punto di vista dell'arte povera, quella di Chiari è la più espressiva, così come guardandola dalla visuale dell'arte concettuale è quella che può fare a meno della tecnica, totalmente, in un mondo dalla tecnica dominato. Body art e Concettual art costituiscono delle polarità di un'azione che trasforma il corpo e di un'opera senza corpo, polarità che portano al grado zero la tensione fra arte (nel senso idealistico-romantico) e tecnica (intesa come produzione), l'azzeramento cancella anche l'aura dell'opera, per ricondurre il tutto al semplice sguardo, al suono innocente. Techne ed episteme, linguaggio e cultura, struttura e sovrastruttura sono sempre, a Firenze, al servizio dell'uomo!
 
I sodalizi, caratteristica fiorentina
 
Il carattere dei fiorentini è arcigno come la pietra con cui sono costruiti gli splendidi palazzi cittadini, uno splendore che porta gli abitanti a una sorta di complesso di superiorità, presuntuoso perché legato solo al ricordo delle epoche d'oro; sono chiusi e permalosi, critici fino all'eccesso. Firenze è città delle contraddizioni e delle contrapposizioni, ma nel gusto per l'azione litigiosa e per la parola becera (Dante docet!), c'è sempre una costante di ironia che permette di vedere le cose con intelligenza e con equilibrio razionale, riportando ogni aspetto nell'alveo della tradizione umanistica, che consente una forte continuità degli orientamenti estetici e artistici. La tradizione, a Firenze, ancor più che nelle altri capitali europee della cultura, frena il nuovo, filtra tutto attaverso setacci dalle maglie assai strette, questo è un male e un bene al contempo, è un atteggiamento negativo perché spesso impedisce esperienze diverse, ma è pure un fatto positivo in quanto vigila sui fatti e nega cittadinanza a quelli di poco conto, accogliendo solo quelli che hanno passato il vaglio critico. Nel primo Novecento, tutto questo è ben visibile nella letteratura, mentre in musica la tradizione svolge un ruolo negativo, che si volgerà in positivo qualche decennio più tardi.
 
Cosa fosse la vita musicale a Firenze negli anni Venti, ce lo racconta Dallapiccola: "non esisteva assolutamente nulla. Ma esisteva un ristretto gruppo di artisti che faceva capo a Ildebrando Pizzetti". Il fatto di radunarsi in gruppetti artistici è caratteristico della vita culturale fiorentina, si pensi al periodo dei Caffè e delle Riviste. La città non offriva alternative alla politica dei sodalizi, chiusa com'era nella sua aurea dimensione museografica, una dimensione mentale e culturale, prima ancora che fattiva. Il riunirsi in gruppo è un fatto di aggregazione, ma anche d'implicita denuncia delle difficoltà del rapporto con l'esterno. La meschinità e la pochezza delle occasioni della vita musicale esalta il rincantuccirasi nel privato. E' così che alcuni musicisti fungono da insostituibili punti di riferimento, il primo è Pizzetti che arriva a Firenze nel 1908 e che, dal 1909 al 1923, è prima insegnante e poi direttore del Conservatorio "Cherubini"; Pizzetti frequenta l'ambiente culturale fiorentino e, in particolar modo, quello letterario, diventando collaboratore de "La Voce" di Prezzolini e Papini. Anche nell'immediato secondo Dopoguerra, la musica di Pizzetti continua a essere molto eseguita in Città, per esempio, subito alla ripresa dell'attività musicale, nel 1946, si eseguono i Canti della stagione alta, diretti da Gavazzeni (altro musicista che sarà spesso presente a Firenze) e il Preludio da Fedra, diretto da De Sabata, l'anno seguente è la volta del Preludio da Lo straniero, del Concerto in LA per violino e orchestra, dell'Introduzione all'Agamennone di Eschilo, della Suite La Pisanella, ancora altre composizioni negli anni a seguire, a dimostrazione di una continua attenzione verso questo musicista. Un successivo polo aggregante è Frazzi, che arriva da Parma nel 1912 /…/ amico di Campana, De Robertis, Soffici e Cicognani. Nel 1930, pubblica i risultati del lavoro sulle serie alternate, basato su una particolare metodologia che consente di evitare la gravitazione, i gradi statici e le forze centripete, disponendo a ventaglio varie scale alternate, un metodo che influenzerà la disposizione multiseriale di Prosperi, debitrice, nel suo aprirsi a raggera, proprio all'impostazione di base di Frazzi.
 
Nell'ambiente musicale fiorentino fra le due guerre, s'è detto con Dallapiccola, "non esisteva assolutamente nulla", una situazione quindi ben diversa da quella della letteratura che, pur perdendo vigore rispetto agli anni de "La voce" è ancora ricca di presenze e di fermenti (differente anche da quella della pittura che aveva in Rosai un pilastro di prim'ordine e altre figure interessanti). Attorno a Frazzi si stringono, com'era accaduto poco prima con Pizzetti, alcune personalità artistiche fra le più importanti della Firenze di allora, come quelle di Papini e di Lavagnini. Dagli anni Cinquanta, toccherà a Dallapiccola svolgere un ruolo guida /.../ Del Maestro di nascita istriana (ma anche di carattere), a Firenze vengono eseguiti, nel 1945, alcuni lavori quali Due liriche di Anacreonte, Ciaccona, Intermezzo e Adagio e, nel 1946, Rencesvals. In questo stesso anno viene pubblicato il libro di Lupi, Armonia di gravitazione, un lavoro che Casella, autore della Prefazione, considera "uno dei pochissimi contributi veramente validi". La riflessioni di Lupi è molto interessante ed è, indubbiamente, uno dei contributi più rilevanti, in ambito nazionale, al dibattito dell'epoca sulla composizione. Quella di Lupi (che succede a Frazzi nella cattedra di composizione al Conservatorio) è una musica che crea forze gravitazionali particolari, speculando sui suoni armonici, una riflessione dai forti aneliti spiritualistici e cosmogonici, una poetica che interesserà, per certi versi anche dal punto di vista tecnico, la futura produzione di Giani Luporini, Cioci, De Angelis e, in maniera più indiretta, quella di Zangelmi e perfino, quella di Bussotti.
 
Lupi, col suo metodo e con la sua musica, propone una visione aperta ai 12 suoni, tendente ad ampliare lo spazio sonoro fino alla politonalità o atonalità, raggiunta attraverso lo studio degli armonici e, quindi, in modo del tutto differente da quello della Scuola di Vienna. La produzione di Frazzi e ancor più quella di Lupi, seppur ancor oggi colpevolmente ignorate, sono molto avanzate e fanno risaltare ciò che Prosperi (che dal 1969 ricoprirà la cattedra di Composizione al Conservatorio) chiama "il dubbio tonale": nessuna tonalità si afferma o viene precisata in qualche modo, ma tutte fanno parte, in maniera funzionale, del procedimento compositivo. Grazie alla conoscenza della musica di Frazzi e di Lupi, la concezione seriale di Prosperi si precisa in maniera indipendente da quella dodecafonica, più libera nell'impostazione e più eclettica nei risultati. Frazzi fa vedere a Prosperi come dis-porre segmenti sonori nello spazio, sovrapponendoli o intercalandoli, ponendo molta attenzione ai concatenamenti verticali (nella musica di Frazzi l'articolazione delle frasi poggia su spessori di natura armonica), mentre da Lupi, Prosperi impara a conferire alla musica una forte tensione intervallare, risolta in trasparenti filigrane timbriche, tensione che si riscontra anche in molti altri compositori, ma non con quel tratto spiritualistico così fortemente accentuato (sarà un tratto tipico anche di Luporini e di alcuni più giovani, come Claudio Boncompagni e come un gruppo di musicisti di ambito pisano, quali lo sfortunato Bonamici, prematuramente scomparso, e Deri, attratti dal cuore dell'opera). Si precisa così una linea Frazzi-Lupi-(Giani Luporini)-Cioci, De Angelis-Prosperi che, pur avendo dei punti di contatto, è autonoma rispetto a quella di Dallapiccola.
 
La musica elettronica e computerizzata ha il suo padre putativo in Grossi, attivo anche come compositore di musica in pentagramma e come violoncellista, sia a livello di solista sia come primo violoncello dell'Orchestra del "Maggio" (dal 1936 al '66), ma soprattutto a lui si deve la prima cattedra di musica elettronica in un Conservatorio, si tratta di un corso sperimentale che inizia nel 1965 grazie al trasferimento degli strumenti dallo studio di Grossi al Conservatorio (oscillatori, filtri, frequenzimetro, generatore di rumore bianco, magnetofoni ecc., su un progetto che si basa sull'esperienza che Grossi fece allo Studio di fonologia della RAI di Milano), fondamentali poi dopo gli esperimenti all'Indiana University, le eccezionali ricerche al CNUCE dell'Università di Pisa (dal 1967, nel 1969 nasce anche la Divisione d'Informatica musicale). Simile è la storia della ricerca di Bartolozzi, anch'essa speciale per quanto riguarda i suoni multipli ai fiati. Legato da amicizia con Dallapiccola, inizia a comporre adottando la dodecafonia, ma, intorno al 1960, elabora un personale linguaggio che si avvale degli accordi ai fiati e di intervalli non temperati. Nel 1967 pubblica il libro New Sounds for Woodwinds per la Oxford University Press, ripubblicato nel 1974 dalla Suvini Zerboni, della quale Bartolozzi era il Direttore della Collana dei metodi per strumenti a fiato.
 
Come Bartolozzi, anche Company è allievo di Fragapane, e come Grossi ha fondato una prima cattedra al "Cherubini", quella di Chitarra; pure lui si allontana progressivamente da influenze dodecafoniche per approdare a un linguaggio più libero e più classicheggiante, dai toni intimistici e sognanti, con una ricerca (didattica) sulle possibilità della chitarra che rimangono un punto di riferimento imprescindibile per ogni strumentista.
 
Una libertà stilistica che si fa eclettica in Bucchi, allievo di Frazzi eppoi, dal 1974 (in anni difficili per via della contestazione studentesca), direttore del "Cherubini", un'eterogeneità che non significa dispersione stilistica, ma curiosità e volontà di affrontare "generi" differenti che, proprio nella loro diversità, arricchiscono la mente e l'operare. Così anche per un Turchi o per un Luciani: è la diversità che fa crescere. Sotto questo aspetto sono certamente Chiari e Bussotti i portabandiera, così potremmo - in generale - distinguere chi è più depositario (la linea Dallapiccola o quella di Bucchi o quella di Grossi) e chi è più vagabondo (gli artisti influenzati dal Fluxus). Fragapane, Ghisi, Zosi, Rigacci, Cioci, Zangelmi, Smith-Brindle, Benvenuti, Pezzati, Giani Luporini, De Angelis, Bonamici e altri appartengono alla prima categoria, dimostrando come i compositori, ma potremmo dire gli artisti in genere, a Firenze si sentono fiduciari della grande tradizione, che si respira nelle strade e che s'impone nell'architettura della Città, anche se va tenuto sempre presente che anche l'altra esperienza, pur con tratti differenti, si riconduce al climax fiorentino e i due atteggiamenti sono spessi paralleli e incrociati, trovando ora nello stesso Autore (in Bussotti per esempio) ora nella stessa Opera (Night club di Benvenuti) interrelazioni e correspondances.
 
Lo stesso potremmo dire anche per la critica e la musicologia, per esempio del sodalizio che si forma negli anni Dieci fra Bastianelli, Pizzetti e Gui; della presenza di Torrefranca all'Università (con la sua critica a Puccini e la rivalutazione della musica strumentale italiana); poi di Giazzotto e quindi di Fabbri (allievo di Frazzi) che si succedono nella cattedra di Storia della Musica, coltivando una metodologia fra la filologia e la storiografia. Potremmo citare l'attività di critico musicale di Bucchi, prima su "La Nazione del Popolo" eppoi su "Il Giornale del Mattino"; interessanti sono anche gli intrecci culturali intorno alle storiche Riviste "La Voce", "Solaria" e "Letteratura", tutto questo dimostra una linea culturale regolata da principi classicheggianti, normalizzante e moderata, basata su una poetica dell'artigianalità e dell'espressione che, dal primo Novecento, passa al secondo, ma mai in maniera scontata o banale, anzi con qualche concessione alla linea "futurista", con un certo stimolo anarcoide che dà sale e pepe, come nella saporita cucina nostrana, con un po' di sarcasmo feroce che appartiene all'antropologia del carattere fiorentino. Le Istituzioni e il Teatro Comunale per primo, possono aiutare e mettere a fuoco la situazione musicale legata alla composizione, ricca di molti fermenti e di qualche nome importante, così non è. Non è un caso che nel 1957 Bucchi e Bussotti lasciano Firenze. La fondazione dell'AIDEM, Associazione Italiana per la Diffusione dell'Educazione Musicale, nel 1949, porta alla costituzione di un'orchestra di 88 elementi, nata con lo scopo di diffondere la musica in Regione, almeno nei primi anni e, comunque, in generale, non produce nulla di rilevante per la musica contemporanea. Più attiva sarà la futura ORT, Orchestra Regionale Toscana (che avrà come direttori artistici musicisti legati alla contemporanea come Luciano Berio, Bennici e Battistelli). Per il Teatro Comunale non possono valere le attenuanti delle ripetute crisi finanziarie (grave quella del 1956) e dei danni causati dall'alluvione del 1966, in quanto si sostengono costi molto alti per star e stelline della lirica e della bacchetta: si tratta proprio di un disinteresse verso la musica contemporanea, altrettanto evidente nelle programmazioni degli Amici della Musica (attivi fin dal 1924 con carrellate di concerti da camera di nomi di agenzia più o meno famosi).
 
Le esecuzioni di musica nuova nella Firenze del dopoguerra
 
Il Teatro Comunale, che ha origini dal Politeama "Vittorio Emanuele" progettato da Bonaiuti nel 1862, programma il prestigioso Maggio Musicale dal 1933 (fondato da Gui). Il Teatro era stato danneggiato dai bombardamenti della guerra e solo nel 1948 torna in piena attività, anche se l'anno precedente si era ripresentato il "Maggio". Nel cartellone dei suoi concerti lo spazio largamente predominante è quello dedicato alla musica di repertorio, ogni altra forma musicale, da quella antica a quella extra-europea, da quella jazz a quella popolare, è pressoché assente, tanto che per la contemporanea possiamo citare integralmente gli appuntamenti: il primo dei nostri Autori che troviamo è Frazzi del quale, nel 1947, viene eseguito Largo diretto da Bucchi, poi la prima assoluta di Salmo LXX diretto da Morosini; nel 1948 è la volta di Cecilia diretta da Furtwangler, quindi Proverbi, dialoghi e sentenze diretti da Perlea; nel 1952 prima assoluta dell'Opera teatrale Don Chisciotte, diretta da Tieri con le scenografie di De Chirico. Poi la musica di Frazzi tende a scomparire (Preludio magico nel 1954 e poco altro). Di Lupi quasi nulla viene eseguito, eppure il Maestro era attivo perché stava componendo Varianti per orchestra (1944), Sette favole e allegorie (1945), Tre cori (1949), Orpheus (1950), qualcosa verrà presentato negli anni successivi.
 
In questi anni del Dopoguerra, ma pure e nei successivi, la presenza della musica contemporanea è dunque scarsa, tanto che in 16 anni, dal 1945 al 1960 compresi, le esecuzioni di musica nuova possiamo contarle tutte e sono tutte legate al Moderno moderato /.../ Gli Autori italiani eseguiti sono: Gavazzeni, Tommasini, Di Viroli, Piccioli, Granchi, Tamburini, Rigacci, Soresina, Rocca, Rossellini, Parodi, Mortari, Zafred, Veretti, Nielsen, Lauricella, Orecchia, De Sabata, Lualdi, Labroca, Porrino, Caltabiano, Negri, Paribeni, Calabrini, Carabella, Zecchi, Davico, Alderighi, Lattuada, Viozzi, Menotti, Gui, Bianchi, Dall'Argine, Peragallo, Tosatti, Liviabella, Marinuzzi, Mannino, Piccioli, Rocca, Bruni Tedeschi, Fiume, Riccardo Malipiero, Testi, Franci, Giorgi, Fuga, Magnani, Desderi, Guerrini, Sangiorgi, Jachino, Brero (anche in questo elenco, gli Autori sono indicati in ordine di apparizione sui Cartelloni del Teatro Comunale). Gavazzeni e Gui (ma anche De Sabata) sono eseguiti perché presenti spesso come direttori d'orchestra, Rigacci come pianista, Guerrini e Lualdi come direttori del Conservatorio, tutte le altre sono apparizioni occasionali, legate a situazioni contingenti, da qui è capibile anche la scarsa cultura sulla contemporanea dei dirigenti del Teatro (il sovrintendente Votto, Markevitch a cui viene affidato il compito di riorganizzare l'orchestra subito dopo la guerra, il direttore artistico Siciliani che, dal 1948 al 1957, allestirà Stagioni tradizionali, con grandi nomi e con un'attenzione particolare alla prosa e alla danza; dal 1958 al 1962 il Teatro verrà chiuso per lavori di restauro). Menotti e Rossellini sono stati senz'altro dei protagonisti della musica per teatro di quegli anni, così come a Soresina, Veretti, Nielsen, Lauricella, Porrino, Peragallo, Liviabella, Marinuzzi, Riccardo Malipiero, Zafred va riconosciuta una produzione di tutto rispetto, oscillante fra la tradizione e un certo tentativo di rinnovamento; gli altri hanno rappresentato un filone di buoni musicisti, ma oggi quasi tutti dimenticati.
 
Al di là dei nomi, ciò che conta non è tanto il rilevare scelte sbagliate, quanto l'insufficienza e la casualità di una programmazione che non era in grado di relazionarsi alla cultura della composizione musicale dell'epoca, inadeguatezza grave per una Città ricca di storia culturale, tanto più che il Conservatorio, dopo la gestione del tutto anonima di Guerrini (che ne fu il direttore dal 1928 al 1947), subisce un ulteriore rallentamento con la nomina di Lualdi, musicista politicamente legato all'ancien regime, mentalmente e culturalmente assai chiuso, che porta l'Istituto ad assumere una fisionomia molto accademica e conservativa (nel 1948 istituisce l'Accademia Nazionale "Luigi Cherubini" che, dal 1951 al 1957, allestisce una rassegna annuale, "Piazza delle Belle Arti", dai toni nostalgici del Fascismo). Nel 1956 alla direzione del "Cherubini" passa Veretti, è lui che concede ospitalità alla Rassegna Vita musicale contemporanea, ma, in generale, le speranze di un sostanziale rinnovamente vanno ancora deluse (a livello di Istituzione, perché a livello empirico il Conservatorio è l'agorà dove s'incontrano quasi tutti i compositori).
 
Nelle altre città toscane la situazione è più conservativa e le Istituzioni intendono il loro ruolo nel modo più statico e paludato possibile, negli altri capoluoghi di provincia il contesto culturale dei decenni del secondo dopoguerra non è assolutamente in grado di comprendere le tematiche relative al contemporaneo, per Lucca, Arezzo, Massa-Carrara, Livorno, Pistoia, Grosseto è già tanto se si fa un po' di musica dignitosamente (legata alle glorie locali, come Mascagni o Puccini) e si ripete per loro la situazione che Dallapiccola descriveva per la Firenze fra le due grandi guerre, ovvero il nulla! Anche a Pisa, malgrado il Teatro Verdi e a Siena, malgrado la Chigiana, il quadro globale non muta, anzi, il fatto di avere delle Istituzioni prestigiose che però non sono in grado di rapportarsi alla contemporaneità è un'aggravante. Certo, la posizione di Firenze, per la sua importanza, oltreché per la sua dimensione, è la più criticabile, perché non svolge quel ruolo di guida che dovrebbe spettare a un capoluogo così rilevante, più famoso che autorevole.
 
Fra i musicisti fiorentini, oltre ai già citati, i soli Frazzi, Lupi e Dallapiccola hanno delle esecuzioni, mentre gli altri si devono accantentare di fugaci passaggi. Bucchi ha due lavori eseguiti nel 1947, La dolce pena e Pianto delle creature, poi deve aspettare il 1950 per ascoltare la sua prima assoluta Cori della città morta, quindi ancora anni di attesa per la prima assoluta de Il contrabbasso (1954) e delle Laudes Evangeli (1955), deve attendere addirittura il 1958 quando viene eseguito il Concerto in rondò e, quindi, l'anno dopo la Suite Mirandolina: sette brani in 13 anni, per uno dei compositori più importanti che lavorano a Firenze e Bucchi non si può lamentare, perché agli altri va peggio! Di Turchi il Piccolo concerto notturno nel 1951, Le Baccanti nel 1955 e il Concerto per orchestra d'archi nel 1958. Occorre aspettare il 1954 per vedere in Cartellone un brano di Bartolozzi, Sentimento del sogno (mentre il Concerto per orchestra sarà eseguito due anni dopo) e aspettare il 1956 per sentire le Variazioni per orchestra di Prosperi, del quale si esegue un altro solo brano, Concerto d'infanzia, nel 1959. Di Grossi si esegue il Largo nel 1959, Composizione n. 6 e i Cinque pezzi per archi nel 1961 e Composizione n. 11 (1962). Solo negli anni Sessanta la situazione migliora un po', già nel 1961 Maderna dirige i Canoni enigmatici di Benvenuti, poi di rilievo saranno le prime assolute dell'Opera di Testi La celestina (1963), Ideogrammi (1965) di Lupi, Concertazioni (1966) di Bartolozzi e La terra nuda (1969) di De Angelis, oltre a prime fiorentine di Dallapiccola, Buchi, Bussotti, degli stessi Lupi e Bartolozzi e altro. E' da sottolineare l'attività di direzione di Lupi e quella esecutiva di Grossi, Scarpini, Prosperi, Materassi con lo stesso Dallapiccola.
 
La Schola fiorentina, un aggregazione di grandi musicisti
 
Nel 1954 si forma un'Associazione di musicisti, un gruppo che si costituisce con l'unico intento di conoscere e approfondire la musica contemporanea, di coltivare interessi comuni e cementare l'amicizia tramite un reciproco e franco scambio di idee, tale congrega prende il nome di "Schola fiorentina", anche se della scuola, intesa come disciplina didattica, non ha nulla, il termine va inteso come aggregazione di musicisti che vogliono praticare un libero esercizio culturale, peripatetico (termine che fu ideato da Prosperi). Questo sodalizio artistico è composto da Prosperi, Bartolozzi, Benvenuti, Company, Smith-Brindle e dal giovanissimo Bussotti. Lo stare insieme, il frequentarsi, permette una maggiore informazione, per esempio, durante gli anni Cinquanta, a Firenze, della musica che si compone nel mondo arriva solo una pallida eco e dei Corsi di Darmstadt non si sa nulla (il primo compositore a recarsi nella cittadina tedesca è Bussotti). Spesso il nuovo "Gruppo dei Sei", a cui si aggrega, qualche volta, pure Dallapiccola, si riunisce a casa della Daviso o di Company. In questo contesto è evidente il bisogno, avvertito dai giovani culturalmente più svegli, di una maggiore informazione, anche se indiretta. Sono la vera avanguardia, che sta più avanti non per l'idolatria del nuovo, ma perché sente, più forte e profonda di altri, la necessità di ascoltare di più e meglio, d'interrogarsi e di capire quanto sta avvenendo nello stesso momento in cui vivi. "Tutto ciò che accade ti riguarda", dice il titolo di una composizione di Bartolozzi, ed è una verità che solo chi ha mente sveglia e orecchie aperte accoglie e medita /.../ All'interno del sodalizio, dentro il suo cuore pulsante ma chiuso, le relazioni, dirette o implicite, sono limitate: in primis Dallapiccola, poi Frazzi e Lupi, quindi nient'altro che loro stessi, la loro reciproca ricerca umana e artistica. Della musica internazionale ben poco si esegue e quel poco è legato soprattutto a Stravinskij e a qualche grosso Maestro del primo Novecento. E' solo con l'istituzione di Vita musicale contemporanea che la situazione cambia: la prima serie di concerti viene programmata, presso l'Auditorium del Conservatorio, nel Marzo del 1961, cessa nel 1967 dopo che l'alluvione dell'anno precedente aveva causato notevoli danni alle apparecchiature elettroniche, indispensabili all'attività, donate al "Cherubini" da Grossi (il quale, dal canto suo, sposta i suoi interessi sempre più verso il computer).
 
Vita musicale contemporanea
 
Gli anni Sessanta si presentano più ricchi e intensi, soprattutto grazie alla nuova Associazione costituita, nel 1961, da Grossi che svolge un doppio ruolo, fondamentale sempre, ma nella situazione fiorentina addirittura vitale, d'informazione e di promozione, programmando, in maniera organica, delle piccole ma assai sostanziose Rassegne musicali, dove vengono esseguite musiche di Autori del tutto ignoti nell'ambito cittadino, come il deriso Cage (a cui viene dedicato un concerto monografico) e i suoi seguaci americani (Wolff, La Monte Young e Feldman) ed europei (a Webern viene concesso uno spazio monografico, poi si presentano Kayn, Schnebel, Kagel… musiche che spesso vengono rifiutate dall'ambiente culturale fiorentino); si ascolta anche Stockhausen e Boulez, e, fra i tanti compositori italiani, Petrassi, Maderna, Nono, Berio, Donatoni, Clementi, Togni, Porena, Ferrari, Guaccero, Arrigo etc., oltre ai fiorentini Chiari (che era il Tesoriere dell'Associazione, mentre il Presidente era il fisico Giuliano Toraldo di Francia), Prosperi, Pezzati, Bartolozzi, Benvenuti, Bussotti, Giani Luporini… tutti nomi che oggi, col senno di poi, possiamo ben dire che hanno costituito la storia della musica italiana della seconda metà del XX secolo. Oltre ai concerti, "Vita musicale contemporanea" organizza vari incontri e ascolti di musica elettronica. Per tutti coloro che sentono l'esigenza dell'aggiornamento, l'attività dell'Associazione di Grossi rappresenta un'epifania, una vera opportunità per ascoltare e capire, mentre per i giovani compositori di area fiorentina che vengono programmati è una ghiotta possibilità di verificare la propria musica di fronte a un pubblico competente e di farsi conoscere.
 
E' da sottolineare come le linee culturali privilegiate di "Vita musicale contemporanea" siano da una parte l'approccio alla situazione americana legata a Cage e al Fluxus (che ha, come detto, in Chiari un importante esponente), ma anche a musicisti come Carter, dall'altra l'avvicinamento alla giovane avanguardia europea, legata ai nomi di Stockhausen, Boulez, Ligeti, infine lo sforzo di proporre una carrellata delle nuove esperienze italiane come quelle di Berio, Donatoni, Nono, Castaldi, Togni, Castiglioni etc., con un particolare riguardo alla "Scuola romana" di Clementi, Bortolotti, Evangelisti, Guaccero, Macchi, considerazione che si conferma anche nell'attività dell'appena costituita (1961) Casa Editrice Bruzzichelli, diretta da Benvenuti, edizioni che svolgono un sostanzioso e sostanziale lavoro di promozione, tanto più importante se si considera quanto scarse siano le possibilità, da parte dei giovani compositori, di pubblicare le loro opere. Le Edizioni Bruzzichelli stampano partiture di Prosperi, Grossi, Benvenuti, Bussotti, dell'allora sconosciuto Barraqué e di molti Autori romani che, proprio in quegli anni danno vita all'Associazione Nuova Consonanza /…/ Il collegamento Firenze-Roma è confermato anche da una Mostra allestita a Roma nel 1962, presso la Galleria "Numero", intitolata "Musica e Segno", dove partecipano Chiari e Bussotti. E' un momento d'oro per la contemporanea a Firenze che si pone, finalmente, a un livello di prim'ordine non solo in ambito nazionale.
 
Le iniziative colgono le nuove insorgenze dell'interdisciplinarietà, ch'è uno dei tratti salienti di quel tempo, collegandosi alla variantistica scritturale di "Tool" e al "New-dada tecnologico", agli sviluppi concettuali di "Azimuth" e di "Ana etcetera", alla poesia visiva del "Gruppo 70" e all'architettura radicale di "Superstudio", "Archizoom", "U.F.O.", relazionandosi anche a vecchie o nuove prospettive scientifiche, come la cabala numerica di Leon Battista Alberti e la matematica prospettica di Paolo Uccello oppure come il principio di indeterminazione di Heisenberg. Le rivelazioni provocate da "Vita musicale contemporanea" hanno una ripercussione a livello cittadino che, pur continuando a chiamare "cacofonia" la musica di Schoenberg (ma anche quella di Dallapiccola), considerando Cage un "buffone", Stockhausen e Boulez dei meri ingegneri del suono, Bussotti un provocatore /…/ pur continuando a capire poco delle esperienze più radicali, in qualche modo cerca di sopportare la musica contemporanea, inserendola a forza e timidamente, nei circuiti concertistici della Città. Però non è tanto la musica contemporanea a godere di una piccola considerazione e di un minimo di diffusione, quanto il Novecento storico: il 1964 è l'anno del "Maggio" dedicato all'Espressionismo, vero avvenimento, tant'è che, ancora oggi, lo si cita come un fatto singolare, che ha fatto e farà eccezione rispetto al qualunquismo delle programmazioni usuali, mettendo quindi a fuoco, proprio grazie alla sua eccezionalità, il pressappochismo culturale delle manifestazioni precedenti e successive. Infatti la monografia sugli Autori espressionistici non impedisce a Dallapiccola e ad altri musicisti, di scendere giustamente in polemica con la gestione del Teatro Comunale e delle altre Istituzioni musicali fiorentine che, in genere, continuano a ignorare la musica contemporanea, colpevoli doppiamente perché non si rendono conto che in Città vivono dei compositori di prim'ordine.
 
Dal 1962, grazie a Piero Farulli, l'"Estate fiesolana" si trasforma progressivamente da rassegna di spettacoli meramente turistici a manifestazione turistico-culturale. La sede della RAI di Firenze organizza qualche concerto, anche con delle composizioni contemporanee. A Forte Belvedere, il "Gruppo 70", organizza delle performance curate da Chiari, un'esposizione di opere legate alla pop-art e un Convegno sul tema Arte e tecnologia. Chiari così si esprime: "in Firenze, negli ultimi anni, e la dodecafonia latina in musica, e l'ermetismo in letteratura, e il novecentismo in pittura hanno attuato una chiusura dell'informazione e una conseguente confusione nel giudizio dei valori internazionali, tali da atrofizzare la vita artistica della città e provocarne la provincializzazione. Il "Gruppo 70" ha cercato, semplicemente, in concomitanza con altre iniziative, quali la Mostra Mercato d'Arte Internazionale, lo Studio Fonologico di Firenze e altre ancora, di riaprire questa informazione" /…/ Partecipano ai concerti, alle mostre e ai dibattiti Dorfles, Spatola, Buttitta, Battisti, Boatto, Menna, Montana, Bueno, Raffa, Barilli, Pagliarini, Miccini, Pignotti, Toti, Rossi, Curi, Leonetti, Macrì, Scabia, Gelmetti, Kagel, Carapezza, Bussotti, Bortolotto e altri. L'anno seguente il "Gruppo 70", organizza ancora a Forte Belvedere, altre esposizioni e Convegni dai temi Arte e comunicazione e Musica e Avanguardia, da segnalare la presenza, oltre a molti dei nomi già presenti l'anno prima, di Metzger, un critico molto importante per l'arte di allora.
 
Il "Maggio" espressionista e altri avvenimenti
 
Avvenimenti di rilievo sono, nel 1964, la grande mostra sulla pittura espressionistica e il "Maggio" legato all'Espressionismo (curato da Vlad), che presenta però solo alcune composizioni di Schoenberg (fra cui l'opera Die gluckliche Hand diretta da Maderna con regia di Rognoni), di Webern e di Berg (fra cui Wozzeck diretto da Bartoletti), mentre altre sono di Liszt, Busoni, Malher, Bartok, Sckrjabin ecc., da segnalare che dei compositori che lavorano a Firenze sono presenti solo Dallapiccola e Bussotti, proprio questa assenza dà origine a una forte polemica (Votto e Vlad si dimettono) e alla richiesta di molti musicisti fiorentini del rinnovo della politica culturale del Teatro (sostenendo la candidatura di Peragallo che, però, non va a buon fine).
 
Dopo quella del "Maggio" espressionista, un'altra data importante è il '68, questa volta a livello compositivo, perché è l'anno di diversi capolavori come l'Ulisse di Dallapiccola, In nocte secunda di Prosperi, Misteri corali di Giani Luporini, ma anche Salmo 43 di Pezzati, Diario e Misteri di Lupi, The hollow man di Bartolozzi. In questi anni, come avvenimenti c'è da segnalare che, nel 1970, Turchi succede a Veretti nella direzione del Conservatorio (dal 1975 sarà Bucchi) e che, nel 1971, muore Lupi, nella sua cattedra di Composizione subentra Prosperi. Nel 1968, per conto del Maggio, Grossi organizza il primo Congresso Internazionale di Musica elettroacustica.
 
Al Comunale, di particolare interesse per la musica contemporanea, potremmo ancora citare Il prigioniero di Dallapiccola (1969, ripreso nel 1972), le prime rappresentazioni assolute dell'Opera di Lupi Persefone e di quella di Bucchi Il coccodrillo (entrambe nel 1970), il balletto di Bussotti Raramente, la presenza di Tilbury che suona Cage e Riley e quella di Boulez che dirige le sue Improvisations sur Mallarmé 1-2, l'Oratorio di Testi PassioSecundum Marcum (tutto nel 1971), il Concerto d'infanzia di Prosperi, i Canti di prigionia e i Canti di Liberazione di Dallapiccola, le opere Tutto ciò che accade ti riguarda di Bartolozzi, Morte dell'aria di Petrassi, La gita in campagna di Peragallo, Il console di Menotti, Soldaten di Zimmermann, il balletto Dedalo di Turchi (queste esecuzioni, oltre a qualche altra di Berio, Ligeti, Petrassi, Bucchi etc. avvengono nel 1973). Nel 1974 arriva Stockhausen (il quale si ripresenta anche l'anno successivo e nel 1980) che dirige alcuni suoi lavori e ritorna Boulez, si eseguono prime assolute di Bucchi Piccolo concerto e di Sciarrino Romanza. L'anno seguente è in prima la composizione di Berio Per la dolce memoria di quel giorno e quella di De Angelis A long time ago. A proposito dei compositori di area fiorentina sono da ricordare le esecuzioni di Incanti di Prosperi, Cori della pietà morta, Colloquio corale e Laudes evangelii di Bucchi, Invettiva di Turchi, Opus 23 e Cori di Santiago di Testi, le prime assolute de I dialoghi del verbo (1975) di Giani Luporini, di Memorie (1977) di Bartolozzi e di Aspern (1978) di Sciarrino; Bussottioperaballet, sei balletti nuovi del work in progress di Bussotti. Di rilievo la prima italiana di Einstein di Dessau e di Re cervo di Henze, la prima assoluta di Requiem di Riccardo Malipiero (tutte nel 1976), l'intensificazione delle esecuzioni delle opere di Berio e di Penderecki, ma anche di Maderna, Castiglioni, Sciarrino.
 
L'umanesimo dei compositori fiorentini e il loro attaccamento a forme direttamente comunicative, si esplica nel ricorso al teatro musicale (considerato un genere ibrido e ottocentesco dalle Avanguardie strutturalistiche), realizzando anche alcuni capolavori come quelli di Dallapiccola e lavori più che pregevoli come Don Chisciotte di Frazzi, Persefone di Lupi, Il Coccodrillo di Bucchi, Night club di Benvenuti, Da capo di Giani Luporini, Il Sosia di Testi e altro, approdando anche al mastodontico Bussottioperaballet.
 
Nel 1979, ripercorrendo un po' quanto espresso nel 1964, una lettera firmata da 57 musicisti chiede alla gestione del Teatro una maggiore presenza dei compositori fiorentini. L'allora Sovrintendente Bogiankino indice un'assemblea dove i compositori esprimono i loro "desiderata" e qualcosa in più viene programmato, a dimostrazione che, a volte, serve essere duri, scomodi e polemici, come lo era Benvenuti, promotore della protesta e una delle coscienze più inquiete del panorama italiano. Nel 1975 muore Dallapiccola e la data è assai significativa, perché coincide con il progressivo cambiamento del clima culturale che, fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, approderà decisamente alla post-modernità e a ciò che in musica è stato chiamato "neo-romanticismo". In quegli anni anche il volto della Città, sia a livello sociale che culturale, cambia molto e non in meglio, perché se è vero che i fatti diventano più veloci e dinamici e più internazionali, e anche vero che gli accadimenti trovano una loro collocazione socio-politica solo se sono immediatamente "vendibili", quindi la situazione migliora per gli avvenimenti più legati alla fast cultur, mentre per quelli seri e meditati i luoghi rimangono gli stessi e la risonanza loro concessa dai mass-media è pressoché nulla. Inoltre Firenze, proprio per la sua storia e il carattere della Città, non approfitta neanche della leggerezza della post-modernità che, in ogni caso, avrebbe portato un movimento artistico nuovo e più in sintonia con la richiesta di piacevolezza tipica degli anni Ottanta/Novanta. Per esempio, uno dei protagonisti della Transavanguardia, Sandro Chia è fiorentino ed ha studiato all'Istituto d'Arte e all'Accademia della sua città natale, ma va a stabilirsi a Roma e la prima personale a Firenze l'allestisce solo nel 1991.
 
Nel 1972 si ha la fondazione del "Musicus Concentus", un'Associazione che, in un primo momento programma anche musica contemporanea (ora jazz). Una sala, dove ogni tanto vengono realizzate delle performance di musica contemporanea è quella del "Lyceum", Associazione per altro dedica a una cultura storico-letteraria. A Fiesole si organizzano Convegni sul tema del rapporto fra "Musica e Cultura" e, nel 1974, si fonda la Scuola di Musica, sotto la direzione di Piero Farulli, la quale non ha attenzioni particolari per la musica nuova, svolgendo più che altro attività seminariale, con qualche corso di composizione, e dal 1980 inizia a pubblicare il trimestrale didattico "Bequadro". Nel 1980 si conclude l'esperienza dell'AIDEM e nasce l'ORT, che, grazie alla presenza di Direttori Artistici che sono anche compositori (come Berio e Battistelli) o interpreti di musica contemporanea (come Bennici che, negli anni Novanta, passerà all'Accademia Chigiana di Siena) riesce a metter su dei programmi dove la presenza della musica d'oggi e assai frequente. Si forma anche il GAMO (Gruppo Aperto Musica Oggi) che pur fra mille difficoltà, esterne e interne, riesce a tener duro nel programmare musica contemporanea, senza però mai interloquire davvero con la realtà culturale fiorentina. Nel 1983 nasce Radio Montebeni, che trasmette 24 su 24 musica classica (cancellata di recente dall'ignominia dei politici e dal disinteresse generale).
 
La presenza di Berio a Firenze si concretizza compositivamente nella ricerca attuata nella trasformazione in tempo reale dei suoni strumentali e sul movimento del suono nello spazio: il Centro elettronico prende il significativo nome di "Tempo reale" (fondato nel 1987, cercando di prendere spunto dall'IRCAM) e, oltre alla messa a punto, fra l'altro, di Ofanim, Cronaca del luogo e Altra voce di Berio, vede la realizzazione di lavori di Clementi, Pennisi, Corghi, Ambrosini e altri. "Tempo reale", ora diretto da Nicola Bernardini si apre anche ad altre realtà culturali e realizza utili incontri con studenti e cittadini, intrecciando ricerca, produzione e didattica. Si formano poi Associazioni di vario genere (fra cui il "Gruppo Italiano Musica Contemporanea"), Scuola private e altro, alcune esperienze si pongono in zone di confine intredisciplinarie (fra musica, danza, teatro, arte figurativa ecc., come i "Magazzini criminali" e poi lo "Zauberteatre"). All'Università, come al Conservatorio, in linea con il rigor mortis filologico, con una forma mentis antiquata legata allo storicismo post-ottocentesco e con un accademico concetto di cultura, i corsi sono rivolti al passato e solo occasionalmente si sfiorano tematiche culturali legate strettamente all'attualità del pensare e fare musica/cultura nell'oggi. Una musicologia rivolta al contemporaneo in senso stretto a Firenze (come del resto nelle altre Università e Conservatori italiani) non esiste.
 
Riprendendo il celebre titolo dell'articolo che Boulez scrisse in occasione della morte di Schoenberg, potremmo dire che alla fine degli anni Settanta inizia a profilarsi un'impostazione culturale che si allontana molto dai presupposti teorici, tecnici, linguistici, formali e morali di Dallapiccola. Forse è solo a Firenze (e in parte a Milano, dove resiste un forte formalismo legato alle esperienze seriali) che la lezione di Dallapiccola, pur filtrata, continua a dare i suoi frutti ancor oggi. La composizione dell'ambiente fiorentino sembra, perlomeno nelle sue linee portanti, estranea al post-Moderno (o alla Transavanguardia, come la chiama Oliva), almeno nell'accezione comune che in musica prende il nome di "neo-romanticismo". Secondo Lyotard il temine "post" rimanda a un'analisi, a un approfondimento del Moderno; questa lettura preferisce il termine "iper-Moderno", col quale la molteplicità perde il segno negativo della superficialità e ne acquista uno positivo d'indagine e verifica, secondo questa prospettiva la prassi della citazione viene nobilitata a osservazione della storia (citare diventa quindi un viaggio esperiente). La Storia ritorna disponibile, in forma circolare, ovviamente per giovarsi del viaggio e renderlo effettivamente un momento di crescita interiore oltreché tecnica, occorrono capacità di accoglienza e di filtraggio, sincerità e naturalezza (qualità che il vero umanesimo garantisce).
 
All'inizio degli anni Ottanta molte cose cambiano, nella vita dei cittadini, prima ancora che in quella culturale. Molti degli aspetti multietnici, di massificazione e forte mercificazione della Città, le cui avvisaglie si erano avute fin dagli anni Settanta, ora diventano espliciti. L'arte, nel suo complesso, perde progressivamente spazi e considerazione, a tutto vantaggio di una tendenza alla spettacolarizzazione, sia essa legata all'allestimento delle grandi mostre sull'arte figurativa, sia ai cosiddetti "eventi" teatrali e mass-mediatici. Una Rassegna come Vita musicale contemporanea non s'è più ripetuta, come non s'è più allestito un Maggio Musicale come quello sull'Espressionismo, né si è visto sorgere iniziative di peso nuove, se non sporadiche o di profilo locale. Anche a livello di personalità, le generazioni ultime non possono certo competere con quelle, invero straordinarie nate negli anni d'inizio secolo (da Dallapiccola a Lupi, da Bucchi a Grossi a Bartolozzi e altri) e negli anni Venti e inizio Trenta (Prosperi, Benvenuti, Chiari, Company, Bussotti, Luporini…). Il cambiamento epocale è sottolineato anche dalla scomparsa fisica di molti dei protagonisti: l'anno dopo la morte di Dallapiccola, muore a Roma Bucchi (1976), poi nel 1978 scompare giovanissimo Buonamici; nel 1980 è la volta di Bartolozzi e quindi, nel 1982, del giovane De Angelis. Questi decessi segnano, in modo definitivo, il passaggio a un tempo diverso.
 
Negli anni Quaranta nasce, in Italia, una serie di compositori che si affermano, dalla fine degli anni Settanta a oggi, come la generazione più importante dopo quella dei Maestri nati negli anni Venti. Fra le due generazioni, fanno da cerniera alcuni personaggi dalla produzione assai interessante, come, a Firenze, Giani Luporini, Pezzati, Luciani e altri, sono Autori di indubbio valore che però hanno sofferto, come tutte le generazioni di mezzo, delle influenze di quella precedente (davvero grande) e sono stati un po' schiacciati da quella successiva (molto numerosa). Bussotti, pur appartenendo alla stessa generazione, si staglia su un gradino superiore, a livello internazionale, toccando esperienze artistiche differenti (grafia, regia, costumistica, saggistica, organizzazione culturale etc.).
 
Negli anni Quaranta nascono diversi eccellenti musicisti, si tratta di compositori che spesso sono anche interpreti, e pure questa è una peculiarità che si può rapportare all'umanesimo fiorentino che non scinde l'aspetto intellettuale (mai astruso) dello scrivere dalla pratica del fare. Alcuni divengono importanti per la vita culturale cittadina e qualcuno riesce a imporsi pure a livello nazionale, come i pianisti Cardini, Lombardi (che, per certi aspetti, hanno una visione analoga dei (f)atti artistici) e Pietro Rigacci (figlio di Bruno), ma - fra i tanti compositori pianisti - vi sono anche dei musicisti più giovani e non fiorentini, che comunque è bene ricordare perché a Firenze sono stati legati, come Castellano, Frontero ecc. La scuola di Company sforna ottimi chitarristi/compositori quali Saldarelli, Borghese, D'Angelo e altri; ancora da menzionare, fra gli Autori che con Firenze hanno (avuto) legami stretti sono Sciarrino (che per alcuni anni è stato docente al Conservatorio), Riccardi, Magnolfi, Gottardo, Ruffini, Becheri, Vaira, Deri, De Felice, Terreni, Mirigliano romano di adozione, ma docente al "Cherubini" da anni; ora sono al Conservatorio anche D'Ambrosio e Cardi. Pure Minciacchi è romano, ma abita e lavora a Firenze; e, vi via, molti altri, coloro che furono battezzati "giovani compositori", una numerosa, eterogenea e non sempre qualitativamente alta schiera di Autori, nati fra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta. Fra tutti vanno almeno ricordati Belfiore, Camilleri e il più giovane Giomi per la musica elettronica; Boncompagni per la musica aperta a esperienze (para)teatrali; Anichini dalle capacità analitiche che si corroborano di stilemi diversi (come nel suo Requiem). Con i compositori nati fra gli anni Sessanta e i Settanta i motivi di cronaca e di coinvolgimento di gusti personali sono ancora troppo presenti per giungere alla critica del giudizio. Non è che manchi il filtro della storia, che, a differenza di quanto si pensa in generale, non è necessario per un corretto giudizio, è la quantità che rende difficile il tutto, una complessità che lascia sempre dei margini di casualità, dovendo paragonare esperienze differenti e in continuo movimento. Nell'ultima generazione in questione (che però non è l'ultima del secolo, in quanto, fra qualche anno, occorrerà considerare i compositori nati fra gli anni Ottanta e Novanta), un fatto positivo è che si allenta la morsa dell'ideologia e le strade maestre delle impostazioni post-belliche (dalla serialità alla casualità, dal tecnologismo allo spettralismo etc.) si biforcano in altre strade o sentieri, più stretti o marginali, ma con l'indubbia qualità di essere meno intellettuali e astratti, mettendo a frutto una libertà concettuale, un'apertura culturale e una trasversalità del linguaggio che porta ad esiti (più) personali e impensabili fino agli anni Settanta. La qualità della scrittura è indubbia e non è un caso che molte opere recenti hanno saputo recuperare il rapporto con l'ascolto e, quindi, col pubblico, in una dimensione di necessità interiore. Quel che manca spesso è lo spessore del pensiero (che da eccessivo passa a insufficiente) e la profondità del vissuto ch'è oggi, per i compositori come per tutti gli altri, invischiato con i problemi dell'omologazione, un'esistenza che, se non esperita con attenzione e sincerità, con innocenza, rischia a ogni passo, di lasciarsi risucchiare nel conformismo.
 
Dall'Espressionismo al Cubismo: citare il già citato, scrivere musica al quadrato, utilizzare la parafrasi e l'eufonia, il connubio fra entropia e punti di riferimento conosciuti, l'elevare la ridondanza e il recupero della melodia, dell'incidenza ritmica e dell'armonia tonale, tutto questo diventa, durante gli anni Ottanta, una costante culturale generale che non può non interessare i giovani compositori fiorentini, ma anche alcuni Maestri, come Bussotti, il solo, di quelli già attivi nel dopoguerra, a percorrere esperienze a latere del post-Moderno, inteso soprattutto come ripensamento, ironico e raffinato, della classicità. Fra i più giovani, ovviamente, influenze, anche implicite, del Postmodern sono riscontrabili, da quelle New age (in Garella per esempio) all'uso della tonalità in molti neo diplomati, da un'apertura trasversale verso stilemi disparati a vere e proprie contaminazioni fra "generi", però il tutto avviene sempre in maniera controllata, tanto da poter affermare che, ancora una volta, la storia e il carattere di Firenze funge da filtro, riconducendo le varie esperienze al suo tratto tipico. Prosperi muore nel 1990, Benvenuti due anni più tardi, queste scomparse sono il segno di un'epoca che si è storicizzata.
 
La riconquista del senso
 
A dire il vero, a Firenze, il senso del fare arte non si è mai perso, com'è avvenuto in molti altri luoghi (soprattutto della Mitteleuropa). Le considerazioni di Danto sulla morte dell'arte (in realtà sulla morte dell'estetica) non sarebbero stato svolte se il critico fosse vissuto a Firenze, dove la musica ha sempre continuato a farsi viatico intelligibile di comunicazione fra gli uomini, non nel cinico e malizioso senso del neo-romanticismo, piuttosto in quello di dar corpo a una forma plastica che accolga in sé, come forma mentis ancor prima che tecnicamente, il senso della molteplicità, il rispetto dell'elemento contrario, la con-vivenza con le esigenze di tutti, per realizzare l'incontro del suono con la persona che lo ascolta. Una molteplicità che non è solo e banalmente quella che ci troviamo di fronte nella nostra società multietnica, è un pluralità dentro noi stessi, una complessità che informa l'essere e l'esserci: solo un'onesta e approfondita analisi fra queste due dinamiche consente al compositore di comunicare davvero, di esprimere la sua verità.


 
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