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Corrado Pasquotti, con autoanalisi
la felicità della struttura
 
 
 
La foto di Corrado, in posa leggermente satiresca col bicchiere in mano, è indicativa di un modo di essere corporale, umorale e dedito ai piaceri della vita. E' di buona compagnia, simpatico, Corrado ma è, a un tempo, anche persona colta e di grande sapienza musicale. Ho conosciuto prima sua moglie, la flautista Federica Lotti, al tempo in cui dirigevo i Festival di musica contemporanea di Acqui Terme e di Certaldo, poi ho frequentato lui e loro insieme, andandoli anche a trovare in quel di Vittorio Veneto. Da un po' di tempo questa bella e stimolante frequentazione è un po' venuta meno, ma ci rifaremo! Docente di Composizione al Conservatorio di Venezia può vantare esecuzioni di suoi pezzi in prestigiose istituzioni (Ircam di Parigi, Biennale di Venezia, Rai di Roma, Lincoln Center di New York etc.), ma la sua indole non è quella mondana di seguire le persone influenti e di essere presente nei luoghi che contano, ma quella un po' montanara, appartata e gelosa dei propri luoghi e cose, da cui Pasquotti trae la linfa vitale per far vibrare i suoni di vita vera.
 
La complessità della musica di Corrado Pasquotti è una continua avventura della conoscenza, un ineluttabile approfondimento di un processo infinito, quindi la complessità non è il vanitoso tentativo di risolvere la questione, di fornire la soluzione, di dare la risposta definitiva a un problema, quanto il risveglio di problemi ulteriori (è l'assoluta mancanza di plausibilità euristica). La complessità va intesa come esigenza interiore e come sfida culturale.
 
Per la musica di Pasquotti si può parlare di un' epistemologia della costruzione di sistemi musicali dinamicamente complessi; il problema centrale risulta quello di definire i meccanismi del contesto in cui i pannelli sonori si muoveranno, in una specie di reti arborescenti. In tal senso la permutatio, quale costante operativa di Pasquotti, si assimila all'idea di oleogramma, a un meccanismo che avviluppa e distribuisce l'informazione su tutto il contesto. Pasquotti, che utilizza il computer per verificare le permutazioni, conosce bene la logica del progettista che parte dalle relazioni ad anello, ossia da interazioni, concatenazioni o alternative. Questo tipo di razionalità procedurale è una multi-razionalità, una logica dei ragionamenti possibili, un meta punto di vista, in quanto ogni aspetto della composizione viene analizzato da una molteplicità di angolature; si tratta quindi di mettere a punto una metodologia compositiva che permetta di progettare la molteplicità delle angolature, per poi passare da un punto di vista all'altro, in modo circolare e in forma reticolare in quanto (proprio come in un oleogramma) vi è coerenza e convergenza fra tutte le parti.
 
La coerenza globale delle intersezioni genera una chiusura operazionale, poiché vige un rigoroso sistema di autoriferimento, dimostrando che solo la chiusura può produrre senso, soltanto attraverso un universo di significati interni è possibile produrre un mondo; la musica del compositore veneto è assimilabile a un sistema autonomo che sa auto-organizzarsi, seguendo continue disorganizzazioni, passando da un determinato livello di articolazione a un altro (oppure passando da un contesto di osservazione a uno differente).
 
L'interazione dei livelli, il rapporto fra le parti e il tutto (secondo quanto ha insegnato Husserl), è una questione delicata e richiede una grande abilità nei calcoli di autorelazione, nel mettere in moto una procedura che crei un glom, ossia una struttura stabile, malgrado la sua furiosa vitalità interna, una struttura felice (in senso numerico è "felice" quel calcolo che realizza pienamente il concetto al quale è destinato).
 
Il sistema compositivo di Pasquotti non fa ricorso a leggi, ma a reticoli di modelli procedurali che richiedono continui smontaggi e ri-sistemazioni del materiale musicale, in perenni trasformazioni che creano una struttura relazionale. Il principio della proliferazione della forma rimanda al concetto di autosufficienza dell'arte: la partitura si organizza secondo modalità proprie, autonome rispetto alla realtà esterna. Il linguaggio musicale non descrive l'esperienza sociale, l'opera non è specchio della realtà intersoggettiva, ma fa rizoma col mondo (secondo la fortunata definizione di Deleuze e Guattari); l'opera non è sovrapponibile al mondo, ma gli si pone accanto, è parallela, indipendente, eppur dal mondo sollecitata.
 
È il rapporto interno fra le parti che crea il tutto (in termini formalistici si direbbe che è la microstruttura che crea la forma); Pasquotti mette a punto una catena ritmico-intervallare in perenne movimento, intorno alla quale ruotano, come satelliti, dei fenomeni adiacenti, abbellimenti o tropi che hanno valore in sè e che prendono sempre più consistenza dal 1983 in avanti (dal brano Sifr). Queste tropature sono dominî dell'immaginario, non hanno una collocazione definita, sono atopiche e rimandano a un gioco di fluttuazioni, a un movimento a-centrico e inarrestabile; hanno un significato fluente e libero, un significato in fluxu et fieri. In tal senso le partiture di Pasquotti sono un luogo aporetico, il luogo dell'ebbrezza!
 
Una delle partiture più interessanti è quella Take five collage, per trio d'archi e sax e batteria solisti, consta di due parti, sovrapposte all'atto dell'esecuzione. La prima è costituita da una fascia sonora eseguita da violino, viola e violoncello e non suddivisa in battute che dà luogo a un continuum ciclicamente replicato a formare lo sfondo fonico dell'intero pezzo. La seconda parte riprende la celebre melodia di Take five del sassofonista Paul Desmond, misurata in battute di 5/4 (come si può evincere dal titolo) e realizzata da sax e batteria. Cangianti lacerti ritmico-melodici della fonte jazzistica originale emergono da un duttile gioco di scambi e di rimandi tra i due strumenti solisti, che comprende anche un episodio di libera improvvisazione del sax. Rigore formale e apertura all'estemporaneità dunque.
 
La griglia intervallare e ritmica che serve al processo creativo non è assolutamente asettica, il recupero dell'ornamentazione è già un segno di libertà rispetto alla matrice originaria, ma tutto il processo operativo è ricco di umori sornionamente ironici, non esangue e asettico (come in tanti strutturalisti), ma corposo e tangibile, reso con un gusto tendenzialmente trasgressivo.
 
Vi sono alcuni aspetti che percorrono l'intera produzione di Pasquotti: la danza, per esempio, intesa in senso lato come movimento e libertà (in senso nicciano); l'erotismo, ora esplicito, comunque sempre sottinteso; la forza primigenia, l'energia vitale; la felicità della dismisura e l'assenza di ogni logica aridamente apofantica. Pasquotti percorre una via eccentrica, dove il theatrum mundi è vivo e reale, non stilizzato da speculazioni accademiche o irrigidito nel mero logos calcolatore; anche in questo senso la complessità della musica di Pasquotti è un'avventura infinita (di vita oltreché d'arte) e una sfida ad andare sempre oltre, nel luogo eccentrico (come disse Masini a proposito di Hofmansthal). Qui sta, ancora, il senso della sperimentazione, del mettersi in gioco nei confronti di se stesso, della vita e di ciò che, nell'operare, costituisce il trait d'union, ovvero il linguaggio.
 
La grandezza della musica di Pasquotti non sta "solo" nella maestria con cui sono gestiti i meccanismi procedurali, infatti per Pasquotti è naturale che il processo operativo sia indissolubilmente legato al suo essere uomo, così l'operatività è pensata non soltanto dalla mente, ma pure dal corpo, è un pensiero vitalistico, dal quale scaturisce un'enorme energia che coinvolge profondamente l'ascoltatore. Pasquotti fa sua l'affermazione di Wedekind, "la carne ha il suo proprio spirito"; la musica viene governata da un particolare dinamismo ritmico/dionisiaco che la aggroviglia, formando ciò che Kraus chiama "labirinto della femminilità", un luogo aporetico attraverso il quale l'io si concede all'ebbrezza.
 
A differenza dell' impasse in cui si trova il serialismo integrale post-strutturalista, il sistema relazionale di Pasquotti è in grado di articolarsi con maggiore libertà e con diversi gradi di funzionalità, quindi anche con un più alto tasso di comunicabilità. Se il ruolo della matrice originaria è quello di preparare e di far lievitare il materiale di base e quindi di realizzare una rete di interconnessioni, tale ruolo non si esaurisce a livello tecnico, ma è in grado, proprio per la sua flessuosa adattabilità, di sollecitare molteplici aspetti emotivi, anzi non è raro che Pasquotti scelga un percorso, invece di un altro, proprio in funzione dell'efficacia retorica che può trarne.
 
La produzione di Pasquotti rappresenta uno degli esempi più coerenti e senza cedimenti stilistici dell'intero panorama compositivo nazionale e internazionale. È impeccabile sia dal punto di vista dell'organizzazione linguistica, sia da quello che la scrittura sa dire; è un linguaggio che non solo sa dirsi (capace di render conto di se stesso), ma sa anche comunicare, confrontarsi con chi ascolta, stabilire un contatto emotivo, malgrado la difficoltà rappresentata dalla complessità della musica, che non riguarda solo l'aspetto squisitamente logico compositivo, ma interessa pure la parte esecutiva, infatti, per sua natura, il linguaggio di Pasquotti non può rinunciare a un'articolazione strumentale di elevatissima difficoltà; non si tratta di vacue esibizioni circensi, ma il virtuosismo richiesto è assolutamente funzionale al costrutto, positivo, necessario, perché è la stessa scrittura a richiederlo. Attraverso le tecniche strumentali il segno si fa gesto, elemento essenziale a esprimere la felicità del progetto e il senso ludico in esso contenuto.
 
 
 
Da Renzo Cresti, La struttura felice di Corrado Pasquotti, nella Rivista "Musica Attuale" n. 6, Bologna 1994.



A Federica Lotti



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Autoanalisi

Immerso in un'introspezione e in un'analisi meticolosa dei miei più piccoli pensieri, all'improvviso ho scoperto che le autoanalisi di solito raccontano non ciò che si è stati ma ciò che si avrebbe voluto essere; ricollocano all'interno di un progetto, elaborato a posteriori, una serie di vicende per attribuire loro una coerenza che in realtà, nella maggior parte dei casi, non hanno avuto.

A nessuno riesce di lavorare per tempo e con lucidità a un programma sul quale costruire una vita; gli eventi sono così incalzanti che siamo costretti ad abbozzare progetti imperfetti, ai quali riusciamo solo in parte a far corrispondere la nostra esistenza.

Non mi resta che chiudere parafrasando due righe rubate a Giacomo Casanova: la mia storia è quella di un uomo che in quest'anno, 1991, ha 37 anni e il suo principale impegno è stato quello di coltivare il piacere dei sensi.



Corrado Pasquotti, Autoanalisi, in Autoanalisi dei Compositori Italiani Contemporanei, a cura di Renzo Cresti, Pagano, Napoli 1992.
 
 
 
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