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Ennio Morricone e l'anti-metodologia
Il ‘segreto’ di Morricone
 
 
 
Ricordo una battuta di Franco Donatoni, alla Chigiana di Siena, erano gli inizi degli anni Ottanta, Morricone gli aveva detto che invidiava la sua capacità compositiva e Donatoni gli aveva risposto che lui invidiava a Morricone il suo conto in banca! In effetti, fra i compositori cosiddetti 'puri' e quelli che lavorano sulla 'musica applicata', a livello di introiti non c'è paragone, i musicisti 'puri' sono tutti 'costretti' a lavorare anche a livello didattico perché, contando solo sui diritti d'autore, non riescono a vivere (a parte casi eccezionali che, appunto, fanno eccezioni e confermano la regola).

Non ho mai amato molto la musica da film, so bene che, soprattutto nel Postmoderno, ha preso un ruolo e un'importanza straordinaria, al di là del rapporto con il film, sento che subisce un limite, che è relegata a una sorta di sottofondo (anche nei casi in cui il regista abbia una sensibilità musicale, cosa rarissima). Mi capita spesso di sentire quanti sviluppi un tema o un'armonia avrebbe potuto avere e che sono bloccati a causa del rapporto con i tempi delle inquadrature; vi è una superficialità a cui non si può rinunciare perché una musica complessa non sarebbe funzionale, mentre è proprio la funzione ad essere principale (ed è una funzione, diciamolo chiaramente, che si rivolge a un pubblico impreparato dal punto di vista musicale). Malgrado i dettami del Postmodern non credo che la musica da film e in generale la musica applicata sia di primaria importanza in una graduatoria di valori che, anche se non piace, va comunque fatta, un po' come il fumetto non può entrare tout court nella storia della letteratura (perché la funzione e il modus operandi del fumetto è diversa da quella del romanzo e si rivolge a un pubblico che ha, in gran parte, esigenze intellettuali e culturali differenti). Credo che, negli anni Ottanta, quando risale la battuta di Donatoni, anche Morricone la pensasse così, vivendo una sorta di schizzofrenia fra il suo scrivere musica colta e il suo lavorare sulla musica cinomatografica. Poi lui è cambiato e anche i tempi attorno a lui, così la schizzofrenia s'è ricomposta, ma la problematica rimane, fermo restando la genialità di un musicista come Morricone. 

Il film di Guido Manuli, primo fantasy italiano, Aida degli alberi, ci sollecita a una riflessione sul "caso Morricone" (Roma 1928), uno degli Autori di musica da film più noti al mondo. Il film ha scene epiche di gran forza emotiva che la musica sottolinea magistralmente, così come i mutamenti espressivi degli intermezzi umoristici. L'impatto cromatico è esaltato dai suoni e la forza descrittiva dipende in gran parte dalla musica che Morricone ha scritto. Lo stesso Manuli riconosce come la musica sia un elemento trascinate: "quando ho ascoltato le melodie di Morricone" - dichiara il regista - "sono rimasto impressionato dalla loro forza".
 
Allievo di Goffredo Petrassi, il gran veterano della composizione italiana del Novecento, Morricone dice di se stesso: "ho avuto una doppia formazione, in conservatorio e nelle sale da ballo / …/ ho imparato da autodidatta le tecniche di arrangiamento e ho imparato anche a comporre musiche che avessero un buon effetto teatrale / …/ ho cercato di riscattare la materia bassa della canzone cercando di farla diventare qualcosa di diverso, inserendovi, per esempio, citazioni di pezzi classici o abbozzi di serie dodecafoniche /…/ la creatività della musica cinematografica deve essere, paradossalmente, priva di un orientamento stilistico proprio e univoco; un musicista che voglia fare buona musica per film non deve specializzarsi solo in musica classica o sinfonica, vecchia o nuova, non deve essere solo un musicista pop, o un jazzista o un rocchettaro: deve specializzarsi in tutto e deve anche sapere maneggiare bene le contaminazioni fra generi musicali diversi" (da Enciclopedia della musica del Novecento, Einaudi, Torino 2001, come anche le citazioni successive).
 
Ecco dunque il primo segreto, quello di una sorta di anti-metodologia, per affidarsi a una cultura musicale ampia e agile, pronta ad affrontare, senza barriere mentali, ogni situazione, con gran duttilità e in maniera camaleontica, cosa più facile a dire che a fare, considerando come la stragrande maggioranza dei musicisti sia chiusa nel loro genere e sappiano padroneggiare con sicurezza un solo stile musicale. C'è però un altro segreto che rende le colonne sonore di Morricone estremamente aderenti al clima espressivo del film, vale a dire il rapporto stretto che il compositore ricerca col regista. "Il rapporto col regista" - dice Morricone - "lo considero più importante della stessa lettura della sceneggiatura, perché, a seconda del regista che la realizza, una stessa sceneggiatura può acquistare significati molto diversi / …/ purtroppo capita spesso che il rapporto col regista, anche con registi di talento, si giochi in maniera predominante su fatti tematici / …/ mentre su sonorità, ritmi, armonie è molto più difficile intendersi. A un regista faccio sentire molti temi, ma non sempre scelgono i migliori, per cui, da un po' di tempo, mi sono abituato a selezionarli in precedenza.
 
" Per esempio, il grande successo, e l'obiettiva aderenza della musica ai film di Sergio Leone, nasce da una reale collaborazione. Come il teatro, il melodramma e il balletto, il cinema è un'arte collettiva, per cui, se non vogliamo avere uno sguardo settoriale, le varie componenti - regia, dialoghi, recitazione, scenografia, musica ecc. - devono fondersi con naturalezza e per questo è necessario una stretta cooperazione, sia a livello di intenti sia a livello di procedure, fra tutti coloro che lavorano alla realizzazione dello spettacolo, questo aspetto è colto bene da Morricone che, come metodo di lavoro, si avvicina più a quello delle jam session jazzistiche che a quello della concertazione della musica classica, pensiamo, per esempio, alla colonna sonora di C'era una volta in America in cui la musica leggera della tradizione americana viene riletta in chiave moderna, con effetti di forte incidenza drammatica.
 
I compositori della classica contemporanea non hanno quasi mai scritto musica applicata, poche davvero le eccezioni, e non solo in Italia, come Bruno Maderna autore del commento musicale per La morte ha fatto l'uovo), Valentino Bucchi (si ricorda Banditi a Orgosolo), Luciano Chailly (Luciano, una vita bruciata), Luigi Dallapiccola, Luigi Nono, Luciano Berio hanno scritto musica per alcuni documentari e pochi altri compositori possono essere citati per la storia della musica da film, quali Labroca, Macchi, Porrino, Turchi, Vandor e, su tutti, il classico Nino Rota e il "jazzista" Giorgio Gaslini (La notte di Antonioni e Profondo rosso di Argento).
 
I pochi nomi e i pochissimi lavori per la cinematografia dimostrano come sia difficile, se non si ha una forma mentis aperta e duttile e se, soprattutto, non si hanno esperienze di vita, coniugare la ricerca con l'immediatezza, il rigore formale della musica classica col melodismo di pronto impatto; certo non tutte le oltre 350 colonne sonore di Morricone dimostrano efficacia e qualità (quando si scrive così tanto non si può che affidarsi anche a dei modelli realizzati in studio), però quando il Maestro s'impegna, o la fanno impegnare, fin dalla stesura della scenografia, come nel caso di Leone che gli chiedeva di realizzare anticipatamente la musica per poi utilizzarla come guida per le riprese, i risultati sono eccellenti.
 
L'eclettismo di Morricone non proviene da una scelta, ma è legato a esigenze biografiche, da qui la sua efficacia e naturalezza. Ha iniziato a scrivere negli anni Cinquanta e nel decennio successivo Morricone ha fatto parte, come trombettista, del Gruppo di improvvisazione dell'Associazione Nuova Consonanza di Roma, un Gruppo fra i più avanzati nel campo della musica d'avanguardia dell'epoca. Il rapporto fra musica classica contemporanea e musica da film è stato vissuto in maniera schizofrenica da Morricone che, pur ottenendo molti successi con le sue colonne sonore, si sentiva al margine dell'ambiente colto, avendo per compositori come Berio, Nono, Donatoni una sorta di complesso di inferiorità. Lo stesso Maestro riconosce il suo modo dissociato di comporre: "fino a qualche anno fa le mie esperienze di musica da concerto erano per me completamente separate dalle altre: due mondi non comunicanti, due dimensioni non commensurabili. C'è stato un periodo in cui ho quasi completamente tralasciato di scrivere musica per concerti. Componevo solo per il cinema. Quando mi rimettevo a scrivere musica da concerto avevo bisogno ogni volta di prendermi un buon periodo di tempo per disintossicarmi dalla pratica della musica da film. A poco a poco però mi sono accorto che questi periodi di distacco e di separazione mi occorrevano sempre meno. Adesso posso scrivere un pezzo senza bisogno di alcun distacco". Infatti, i recenti brani, come la Cantata per l'Europa oppure Ombra di lontana presenza, mettono in pratica, anche per la musica da concerto, quella pluralità linguistica, quella disponibilità ad affrontare stilemi differenti che Morricone ha utilizzato, fin dagli esordi, nella musica da film. Finalmente facendo coesiste, nella sua attività complessiva, in toto, varie lingue e diverse forme, svariati stili e differenti espressioni, in una sintesi musicale che non tralascia il rapporto umano e che anzi ne fa il perno, nel cinema, nella musica, così come nella vita di ogni vera esperienza.
 
 
 
Da Renzo Cresti, Il "segreto" di Morricone , in Rivista “La Linea dell'occhio” (Lucca 2001).



http://www.enniomorricone.it/

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A Maddalena e a Gianni Quilici







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