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Fernando Mencherini, l'energia del gesto
L'energia del gesto
 
 
 
alla continua presenza
del mio Lupo della Steppa

Ho conosciuto Fernando Mencherini ai primi anni Ottanta, ho scoperto con stupore e interesse la sua musica al Festival di Certaldo (che dirigevo) e a quello di Macerata (diretto da Scodanibbio). Ci siamo sentiti spessissimo, lui mi telefonava spesso la domenica, quando a Cagli la vita scorreva noiosa e chiamava gli amici, per far due chiacchiere e per approfondire il discorso sulla musica. La vita isolata di paese accentuava l'aspetto melanconico e un po' ritroso tant'è che lo avevo soprannominato "lupo della steppa", richiamando il noto scritto di Hesse che, in certi momenti, pareva tratteggiare il carattere di Fernando. Con lui si parlava non solo di musica contemporanea, ma anche di rock e jazz, di calcio (tifava Inter come me), di vino e le tagliatelle; i nostri discorsi ci univano amichevolmente, come in una festa continua, una festa che doveva coprire, come nella poetica del Barocco più serio, un angolo di vuoto che soggirnava in noi, come a rifuggire da pensieri tristi e da presagi drammatici. Era un compositore d'eccellenza, si sente molto la sua mancanza e io lo penso spesso (e non mi vergogno a dire che a volte gli parlo, come se fosse ancora al telefono).

Nel maggio del 2013 si è svolto il secondo Concorso d'interpretazione dedicato all'esecuzione della sua musica, il primo si era svolto 3 anni prima presso il Conservatorio di Pesaro mentre questo si è tenuto al Teatro di Cagli; come nel primo Concorso anche nella seconda edizione si sono presentati tanti bravi giovani musicisti molti dei quali si sono avvicinati per la prima volta alle difficili pagine mencheriniane. E' un bel modo per diffondere e tener viva l'arte del maestro. Il presiedere la giuria e il tenere il discorso alla serata di premiazione, oltre a onorarmi, mi commove sempre. 
Ciao Fernando, ti voglio bene.
 
Come Nietzsche, Mencherini (Cagli 1949 - 1997) ha scardinato un sapere normalizzato, ha saputo innovare con un'operazione in verticale. Le regioni della musica di Mencherini sono ricche come i fondali marini, tormentate come cime di montagne rocciose, labirintiche come un delta sconfinato. L'opera si compie durante il proprio cammino, libera da ogni fondamento e gravità, realizzando la sua verità utopica, attraverso un percorso che rompe il principio d'identità ed erode i confini fra interno ed esterno, facendo del non-equilibrio la condizione essenziale al passaggio a nuove forme, immergendosi nell'amicizia dei contrari: solo essendo diversi si può stare insieme: cosa che ha un valore anche come insegnamento sociale (in una società multirazziale le differenze sono un arricchimento e devono portare, proprio come gli elementi della musica di Mencherini, ch'era un vero democratico, non a un paternalistico dialogo, ma a una vera con-vivenza).
 
La musica di Mencherini sembra sfiorare le cose e affondare in una pluralità di stati di coscienza, bruciando ogni logica rettilinea e realizzando un cammino altro, dove i confini si dissolvono, rendendo possibile ogni incontro: è lo spazio abissale, vorticoso, dove la vertigine e lo smarrimento conducono alla felicità. E' uno spazio ignoto al viandante ch'è egli stesso, uno spazio fatto di gesti, tenuti insieme da un'affinità sotterranea, gesti pensati col corpo. Simbolicamente questo spazio è rappresentabile attraverso l'immagine rituale del cerchio (come in Scelsi) o quella della cascata d'acqua, figure che esprimono tanto il movimento quanto la quiete.
 
La musica di Mencherini è eterna incompiutezza, in quanto incessante divenire, ma è anche status perché realizza una necessità del flusso eracliteo; c'è in essa tempo d'aprile: irrequietudine, trepidanza e turbamento, sospensione e attesa d'infante, dolcissimo tormento; "quando si scrive", dice Nietzsche, "non si vuole soltanto essere compresi, ma anche non essere compresi".
 
La nervatura sperimentale, la gioia della "X", il lasciar perdere, l'essenza del gioco, lo spazio/tempo dal carattere abissale, la sfida della complessità, l'inclinazione epicurea, l'abbraccio originario della natura, la potenza della materia, tutto questo diventa musica in Mencherini, il quale si pone come Scriba del Caos. Come dice Zarathustra "occorre avere dentro di sé il caos, per partorire una stella danzante". Caos che viene restituito alla musica, attraverso una geografia di gesti. Il gesto, reificato nello spazio, si coagula nel segno. Il gesto è il movimento che rapporta la musica alla sua verità, che relaziona l'arte alla vita. Il rapporto arte/vita è infuocato: l'opera di Mencherini è il locus dove gli eventi si realizzano, precipitando.
 
La scrittura musicale di Mencherini scroscia fluida e naturale, anche se l'agilità richiesta all'interprete è notevolissima, in quanto l'Autore ricerca spesso nuove possibilità strumentali, come armonici artificiali e trilli d'armonici molto difficili all'esecuzione la quale, pur coinvolta in un parossistico virtuosismo, deve risultare cantabile e brillante, in ogni caso sempre funzionale ai processi strutturali. L'indagine strumentale rappresenta il primo aspetto importante che Mencherini ha affrontato, a cavallo fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta: Notturno per contrabbasso, Sei Danze per violino, Notturno volgare per clarinetto, l'inizio della serie dei Playtime, sono pezzi che forniscono un contributo fondamentale a quel rinascimento strumentale ch'è stato uno dei temi forti degli ultimi decenni e che, fra l'altro, ha costituito il fulcro della Rassegna di Nuova Musica di Macerata, a cui Mencherini ha dedicato tante energie.
 
La prima fase compositiva proprio per le esigenze legate alla ricerca strumentale, è spesso incentrata su brani solistici o in duo: si tratta di un virtuosismo positivo che, pur nella complessa articolazione polifonica, lascia intravedere sempre il desiderio di canto (l'irriconoscibile Chopin nel Notturno per contrabbasso o certe movenze della Sesta Danza delle Sei danze), un desiderio che ancora non esce allo scoperto, per i problemi legati alla tecnica strumentale e per la poetica della complessità, ma che cova sotterraneo. Questo modus operandi persiste anche nella seconda metà degli anni Ottanta (i Playtime).
 
Il riuscire a collegare inscindibilmente, nel profondo, la ricerca delle nuove possibilità strumentali con le esigenze compositive è stato il punto vincente degli anni Ottanta. Il virtuosismo, fin parossistico, fa sempre parte integrante della progettualità, è una sorta di filo rosso che cementa i percorsi compositivi. In quegli anni, Mencherini leggeva Deleuze e ci scriveva: "la plasticità e flessibilità interne dei sistemi viventi, il cui funzionamento è controllato da relazioni dinamiche più che da strutture meccaniche rigide, dà origine a un principio di auto-organizzazione che si auto-determina attraverso l'auto-rinnovamento e l'auto-trascendenza, ciò consente al sistema di rimanere in uno stato di non-equilibrio, in cui esso è sempre al lavoro", tale parole possono costituire una dichiarazione di poetica e una spiegazione culturale ai perché che determinano i come strutturali".
 
Nei lavori degli anni Ottanta, la struttura compositiva si dispiega a ventaglio, è possibile quindi andare verso destra o verso sinistra, con percorsi non rettilinei ma labirintici, almeno fino agli ultimi pezzi, quando alcune cose cambiano. Ma ventagli e labirinti sarebbero solo un gioco intellettuale se non fossero sorretti da una tensione davvero eccezionale: in tal senso Mencherini è stato veramente un'eccezione per come ha saputo far ribollire la materia sonora di umori e di fermenti vitali, alla ricerca di un lirismo tormentato e paranoico. La lettura che Mencherini fa del materiale sonoro è a zig-zag, si tratta di una visione in diagonale, a-centrica, localizzata di volta in volta su punti e momenti differenti, così il clarinetto di Notturno volgare (come poi anche quello di Crazy jay blu dell'85) pare suonare aforismi nicciani, o declamare le parole a radici multiple di Joyce, o incarnarsi nella de-soggettivazione dei personaggi kafkiani.
 
Come nella produzione di questi grandi letterati, anche in Mencherini il mondo ha perduto il suo asse, il punto univoco di fuga, l'ordinamento simmetrico e reversibile; l'opera eccede e decentra ogni volontà unitaria attraverso il principio mobile della molteplicità, dove per molteplice non si intende solo un insieme differenziato di fatti, ma la molteplicità che si fa soggetto ossia il multiplo deve essere inteso come sostantivo.
 
Nei brani citati degli anni Ottanta si notano dei tentativi di canto che si annodano in filamenti (come sarà anche in Rite in progress, dove niente scorre, ma tutto si intreccia), si tratta di un canto che vuole uscire dai nodi sonori che lo legano, che lo con-fondono proponendo strade e prospettive differenti, le quali non portano da nessuna parte (come in Playtime n. 1). Il tempo non è lineare, ma circolare, il contrappunto strumentale gira su se stesso (come Playtime n. 4) producendo una spazializzazione del tempo nella quale le parti strumentali si dis-pongono. Come in Estrada o in Xenakis, anche in Mencherini si avverte l'esigenza della ricerca e dell'invenzione, il richiamo alla primordialità della fantasia e la liberazione dell'atto sonoro che sfocia in un una musica organica, naturale, biologica, corporea, che instaura una corrispondenza fisica non solo con la materia, ma pure con l'esecutore e con l'ascoltatore.
 
Bisogna distinguere le opere degli anni Settanta/Ottanta da quelle degli anni Novanta, infatti nella prima fase Mencherini, in qualche modo, regolava il caos di partenza introducendo norme comportamentali per i suoni, mentre nella seconda fase il ricorso a griglie di controllo del suono è abolito, così il suono viene liberato dai meccanismi di lettura. Nell'ultimo periodo, in pratica negli ultimi due anni di vita, Mencherini tendeva a rendere quasi filiforme la complessità, curvandola in una sorta di spirale armonica.
 
Già in How was it there? si può notare (siamo nel 1992) il segno di "svolta", passando da materiali che si urtano, creando situazioni sempre nuove, secondo un disordine o equilibrio instabile, a materiali più rappacificanti, dove lo scontro non c'è più in quanto tale, ma è solo pensato, e le linee sonore obbediscono a dei comandi che le costringono a deviare, evitando ostacoli. Si tratta di un controllo del materiale che rimanda, seppur in maniera diversa, a ciò che Mencherini faceva all'inizio della sua produzione. In How was it there? c'è la volontà di illuminare meglio i punti dei percorsi sonori, fino a far intravedere delle vere e proprie figure musicali, comunque il centro è assente e, sul piano formale, la composizione tende a gonfiarsi e a sgonfiarsi casualmente.
 
La gestualità rimanda in maniera esplicita a una drammatizzazione e i suoni stessi visualizzano scene drammatiche (non è un caso che, l'anno successivo, Mencherini approderà al balletto). Sempre nel 1992, con il brano Le zattere per violino e pianoforte, si nota la ricerca di un bilanciamento temporale di due unità musicali contrapposte, nel tentativo di creare un centro d'ordine.
 
Dolcissimi piccoli canti si ascoltano in Per la finestra nuova per arpa e viola (1993), la finestra è proprio quella che, da uno stretto e formicolante intreccio contrappuntistico, fa intravedere elementi più chiari. La volontà di creare degli aggregati sonori omogenei e non soltanto in urto fra loro, di comunicare una convivenza e non più un intreccio casuale, si nota in Tutti i cappotti per orchestra (1994), soprattutto nel terzo movimento, dove anche a livello espressivo, si comunica uno stato di tranquillità.
 
Mencherini lavora spesso con sistemi di relazioni fra le frasi musicali, lavoro di giustapposizioni e di sovrapposizioni che gli ha dato una forte consapevolezza del concetto di misura, infatti, sovrapponendo due o più frasi di diversa lunghezza si pongono diversi problemi che Mencherini risolve in ciò che chiama "ritmo smisurato" ossia una misura ritmica mutante che struttura il brano in una sorta di non equilibrio, perché manca unità nel movimento, anche quando c'è fissità armonica (fissità, senza direzionalità). Quando il ritmo rimane costante allora appaiono figure di danza a Mencherini particolarmente care.
 
Mencherini abbandona la logica sequenziale che si articola partendo da un ingresso qualunque per approdare a uscite molteplici, non dipendenti né dall'ingresso né legate fra loro, per uniformare i percorsi dei suoni, come un vero tappeto sonoro, dove i fili si intrecciano in una solidarietà reciproca. Non si tratta di abbandonare l'auto-organizzazione fantastica del materiale musicale, ma di indirizzarla a una sorta di equilibrio ritrovato, che ingloba il continuo auto-rinnovamento e l'auto-trascendenza del materiale, arrivando a una plastica complessità. Elemento importante per l'approdo a una forma più rotonda e univoca è il parametro armonico, quasi del tutto assente finora.
 
Lo studio degli agglomerati armonici stava impegnando molto Mencherini ed è veramente drammatica la sua scomparsa, in quanto si stavano intravedendo dei risultati che il destino ha voluto fermare. E' un'armonia del tutto personale che va a incrementare lo scavo in verticale, bloccando il tempo in una sorta di momento rituale, carico di spiritualità.
 
Il 1995 è occupato, in gran parte, dagli Studi sul Disoriente, dedicati a Maria Reiche e stesi in diverse versioni strumentali. Maria Reiche è la matematica e geografa tedesca che ha passato la vita a studiare, nel deserto peruviano, il monumento archeologico conosciuto col nome di "linee Nazca"; la stessa ansia dello studio, lo stesso rovello geometrico s'impadroniscono di Mencherini in questi suoi Studi sul Disoriente. "La superficie del deserto è solcata da una ragnatela di linee rette che collegano tra loro enormi figure geometriche - triangoli, rettangoli, spirali, greche, fregi a zig zag simili a fruste, trapezi sovrapposti - che sembrano opere di un artista astratto molto sensibile" (Bruce Chatwin).
 
Del Terzo Studio sul disoriente, per flauto solo (1996), così scrive Anna Maria Morini: "nel disorientamento, o meglio nel disoriente seguito a tante labirintiche peripezie, è come se l'Autore regredisse a una sorta di "innocenza" sonora, volesse ripartire dagli elementi primigeni /…/ con la Canzone periferica per flauto e violoncello (1996) Mencherini, uscito dal disoriente musicale e forse esistenziale che lo aveva portato al riazzeramento apparso in tutta la sua radicalità nel brano precedente, si riappropria del bandolo della sua ragion d'essere compositiva. Il risultato è un pezzo inquieto, ipnotico: alla fissità del materiale si contrappone la mutevolezza continua delle combinazioni intervallari e figurali, così come le due parti procedono in assoluta orizzontalità: periferie della mente che non sappiamo se avrebbero mai avuto un entro in cui incontrarsi".
 
Un andamento a danza, lento, con accenti popolareschi costituisce la sostanza tecnico-espressiva della Canzone periferica (1996, anch'essa in varie versioni), una specie di "danza in tondo" per le numerose riprese variate, dalla ricca polifonia sempre elegantemente controllata dal punto di vista armonico. Il tono rimane melanconico, come, in generale, in tutti gli ultimi pezzi scritti dal Maestro. Allo stesso 1996 appartiene anche la versione per due pianoforti e nastro magnetico di Tutti i cappotti, un affresco visionario, pensato a movenze, con una ritmica a scatti che comunica un nervosismo che a volte si placa in atmosfere di attesa, cangianti e sospese, sostanzialmente drammatiche.
 
Legate al rovello geometrico sono anche le Sei danze armoniche (1996) per pianoforte, in cui Mencherini adotta una scrittura ritmica, costituita da figure che si ripetono, e armonica, basata sull'uso di quinte e ottave. La prima Danza è vicina al pianismo meccanico di Nancarrow, mentre la seconda è più minimal, la terza più percussiva. Eclatante è il gesto della quarta Danza, mentre la quinta ha un carattere più intimista, è una sorta di spirale che dà l'illusione del movimento, ma rimane ferma; questa fissità viene poi accentuata nell'ultima Danza. Sempre nel 1996, in seguito all'incontro con la poesia di Edoardo Sanguineti, Mencherini approfondisce la ricerca sulla voce, che aveva già sortito effetti molto intensi (dopo il citato Cruelly love per soprano) con La terra è un angelo (1990) e Viaggio intorno alla terra (1995), due cantate per sei voci e pianoforte.
 
Dalla lettura della raccolta di poesie Laborintus il compositore ha ricavato un'impressione di solennità e di distacco temporale. La lentezza del verso, il suo smarrimento, la sfasatura delle voci, la polifonica sincronia di interventi gli hanno suggerito una musica straniata, lontana e triste, che tende a regredire verso un'arcaicità opposta alle frustrazioni del tempo presente. Quattro sono le poesie di Laborintus musicate da Mencherini: Ah il mio sonno per sei voci miste, Ritorna mia luna per sax soprano e tre voci maschili, Ellie mia Ellie per cinque voci e pianoforte, Canzone metodologica per cinque voci miste. Il lavoro compositivo di Mencherini consiste nel ricomporre suoni strappati al loro contesto poetico e riproposti in libere associazioni, sempre tenendo d'occhio un ordine armonico, affinché giungesse chiaro il cantilenare ossessivo e salmodiante presente nel testo di Sanguineti, creando un continuum senza direzioni che è il labirinto. La polifonia è di grande intensità, con una cantabilità che rimanda a certi andamenti del madrigale tardo cinquecentesco, regredendo a una sorta di straniata arcaicità (un distacco temporale ch'è anche un'accusa alle frustrazioni del tempo presente).
 
Nel primo lavoro, Ritorna mia luna, si nomina un "bivio" che è inteso da Mencherini come simbolo di un "svolta" nel suo nuovo modo di comporre, mentre in Ah, il mio sonno, ricorrono parole come "lividissima terra /.../ corpora mortua /.../ terre /.../ pietre /.../ madre", che rimandano al senso rituale e panico del creato, così forte nell'ultimo Mencherini, senso particolarmente accentuato nei versi di Ellie mia Ellie: "preghiera della meditazione /.../ un mysterium tremendum /.../ esperienza terrificante dei conflitti." Non senza commozione rileggiamo queste parole che il compositore ha voluto scegliere.
 
Con il brano per due fisarmoniche, intitolato La huella (1996), che conosce varie versioni strumentali, Mencherini si sposta dalla complessità a una "semplicità" fatta di strutture più lineari, più armoniche e più cantabili. I nodi sono, stavolta, davvero sciolti. Il clima espressivo è struggente, in quanto si tratta di una melanconica danza che gira su se stessa, a vuoto. La melodia quasi zingaresca, dal sapore mediorientale, viene dilatata, ma proprio nel suo dilatarsi si blocca, ieratica, in lunghe e statiche fasce di suoni.
 
Nel Quartetto IV per archi, sempre del '96, il carattere diventa ancor più teso e drammatico, per l'inserimento di alcuni ostinati ritmici e della scrittura assai densa, che conferiscono al pezzo un tono ossessivo, come nell'attesa di una sciagura. Questo Quartetto ha una struttura quasi omofonica, tutto viene catturato in una ragnatela sonora, talmente scandita che ogni frase, ogni linea coincide con la serie ritmica. La conseguenza è un trascinamento sonoro, un labirinto fonico, che si risolve in un suono dolente che collega struttura e vita.
 
Stile oramai prettamente armonico è quello del pezzo per pianoforte Abuse of power comes as no surprise (1997), in cui l'andamento strumentale costruisce un grande respiro, interrotto da momenti di ritmica incisiva e ripetitiva, che rimanda a movenze di danza. Ricco di fantasiosa immaginificità il pezzo, nel suo dispiegarsi, nel flusso abbandonato dei suoni, comunica una tristezza e un disagio esistenziale molto forte. Forse troppo semplicistico sarebbe collegare tale tristezza e disagio a un presagio della fine.
 
L'ultimo lavoro lasciatoci da Mencherini s'intitola CAP 65100 ed è per organico sinfonico: si tratta di un'alternanza di sezioni freneticamente formicolanti, con suoni veloci, e parti più calme e statiche che vanno a formare fasce armoniche. Il pezzo è molto intenso sia dal punto di vista del linguaggio musicale sia da quello espressivo. Su questa nuova strada a Mencherini si aprivano paesaggi intriganti, da sondare con quell'intuito geniale che aveva, per approdare a risultati che potevano essere ancora straordinari; comunque quello che ci ha lasciato è già molto: una cospicua e interessante produzione che copre un arco di più di vent'anni, ma soprattutto un modo raro di essere musicista, affetto dalla vita.

Nel libro L'arte innocente, Pierluigi Basso (che ha dedicato il suo scritto a Renzo Cresti) parla di riutalità della musica di Mencherini: "asemanticità locale, iteratività, compulsività, desoggettivazione, proiezione di trascendenza, purificazione. /.../ Questa proiezione di trascendenza è esplicitata in uno dei brano solistici più interessanti, Nottuno per contrabbasso, qui emerge nitidamente anche la dialettica fra globale e locale, ossia da una parte l'iteratività ciclica di formanti e dall'altra l'episodicità puntuale dei blanks, delle magnetizzazioni." Luigi Verdi parla di horror vacui e scrive che una "costante in Mencherini è il flusso sonoro inteso come materia in continua evoluzione, robusta, costantemente articolata, seguendo una logica che pare negare ogni consequenzialità". Paola Ciarlantini (anch'ella dedica il suo saggio a Renzo Cresti) dice che il rigore del linguaggio compositivo di Mencherini si costituisce "con elementi semplici (cellule ritmiche, minima tipologia di intervalli, disegni iterati) e si forgia, via via, con apporti progressivi, permettendogli di pevenire, nell'ultima fase della sua vita, ad autentiche vette di profondità ispirativa."
 
 
 
Da Renzo Cresti, L'arte innocente, con Cdrom, Rugginenti, Milano 2004.



Nel 2011 è uscito uno straordinario cd Bongelli plays Mencherini, VDM Records production, con nostre note di copertina; i brani eseguiti con perizia tecnica e con partecipazione, rispettando la poetica di Mencherini di cui Bongelli era amico, sono: Sei danze armoniche (1996), La huella (1997), Rite in progress (1988), Abuse of power comes as no surprise (1997) e Canzone periferica (1996).
 
 

http://dentrovivereacagli.blogspot.it/2013/06/ii-concorso-internazionale-di_4.html

http://cidim-intranet.beeweeb.com/dwnld/bwbnw/pdf/363384/intervista_prof._Renzo_Cresti.pdf

http://www.fernandomencherini.com/



A Giuliana e Gastone






Renzo Cresti - sito ufficiale