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Horatiu Radulescu di Aldo Brizzi
Aldo Brizzi
Le sorgenti inudibili del suono
(la musica spettrale di Horatiu Radulescu)
 
Questo testo è un abstract della Tesi di Laurea di Aldo Brizzi, sostenuta al DAMS di Bologna nel novembre del 1990, primo lavoro approfondito in italiano sulla figura del grande Maestro

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Introduzione
La musica di Horatiu Radulescu (1942-2008) si pone agli occhi dei contemporanei come un fenomeno assolutamente originale.

Lo sviluppo della sua personalità lascia scorgere riferimenti palesi ad autori le cui creazioni ed innovazioni hanno attraversato l'intero secolo (per intenderci stiamo alludendo a Bartók, Messiaen, Stockhausen). Ma tali riferimenti vengono sommersi da una sorta di sacralità e ritualità istintiva che libera a poco a poco il linguaggio del giovane Radulescu dai paradigmi delle avanguardie storiche.

Il senso del sacro che, come ha mostrato Eliade, non è un momento della storia della coscienza ma un elemento strutturale della coscienza stessa, nella musica di Radulescu è libero da attinenze simboliche o descrittive. Infatti esclude qualsiasi relazione con frammenti appartenenti a linguaggi musicali  preesistenti sia europei che extraeuropei. Semmai ritrova un attaccamento alla musica folklorica romena, non intesa come citazione, ma come riferimento ancestrale, come liberazione delle potenzialità che la sua struttura musicale e spirituale possiede. Questi procedimenti sono sempre sostenuti da un uso raffinatissimo delle tecniche più avanzate nel campo della fenomenologia acustica, intesa come principio naturale incontaminato dai linguaggi.

Già le prime composizioni, scritte negli anni d'apprendistato a Bucarest, sono presaghe della svolta futura. Ma quando il giovane Radulescu si stabilisce in Francia, nel 1969, appare flagrante l'affermazione della sua singolare personalità musicale. I riferimenti ai fatti di punta delle avanguardie vengono rapidamente trasmutati in un mondo sonoro originale e lontanissimo dalle zone assillanti del dibattito contemporaneo. Perciò, affrontando un lavoro su Horatiu Radulescu, l'unico punto di riferimento costante rimane il corpus della sua opera. Il compositore stesso ritiene serenamente ma puntigliosamente superato l'impasse della dialettica e della micro-dialettica insinuatesi nel gesto e nella forma della neue Musik. Egli è proiettato in una dimensione ed in una forma di pensiero dove la fusione tra ancestrale e futuro non lascia definire confini.

Si ripete con Radulescu ciò che era accaduto con Varèse qualche decennio prima: l'impossibilità di correlarlo agli altri compositori di punta, di integrarlo in una lettura della storia o dell'estetica del movimento contemporaneo. Forse si vedrà in futuro Radulescu come il profeta di molte  realizzazioni degli anni a venire ma al momento attuale possiamo solo concentrarci sull'integralità della sua produzione, soprattutto quella che riteniamo più interessante ovvero più lontana dalle realizzazioni degli  altri contemporanei.
 
I.  Gli anni di apprendistato 
L'analisi delle prime opere di Horatiu Radulescu lascia scorgere, sebbene allo stato embrionale, le esperienze ed i linguaggi che egli ha successivamente attraversato. Allo stesso tempo ci lascia comprendere  più facilmente dove e come le radici della sua musica attingano ad esperienze precedenti. Troveremo un attaccamento al linguaggio di Messiaen, alle strutture di Webern, ma anche alle forme di Domenico Scarlatti, all'espressività di Gesualdo e, dopo aver scorso tutte queste coordinate, potremo affermare che altrettanto indicative sono certe assenze di riferimenti. Intere correnti musicali e formae mentis sull'articolazione e sul linguaggio sono serenemente ma puntigliosamente scartate. Per esempio, le realizzazioni di Boulez rappresentano per  Radulescu l'astrattismo sistematico, le musiche di Mahler e di Berg esprimono un fatto epigonico, dove una miscela di stili sostituisce il rigore e la purezza. Egli ha inoltre seguito anche altre vie rispetto all'evoluzione musicale europea colta e ha ricercato radici profonde nel folklore, nella ritualità bizantina, e soprattutto nella ritualità di certe musiche pastorali romene, quelle caratterizzate da uno stile puro privo d'influenze turche o tzigane. 

Durante gli anni d'apprendistato è già in atto il processo che porterà Radulescu di lì a pochi anni a scrivere composizioni dove le sorgenti del suono sono rese indistinguibili. Il passaggio che ancora attendono gli anni di apprendistato a Bucarest è tra la scrittura atta a confondere tra loro i linguaggi e la liberazione dei linguaggi (anzi, dai linguaggi) per approdare all'esplorazione della natura acustica del suono stesso.

L'interesse di Radulescu per le combinazioni tra le formanti armoniche più lontane lo induce ad esplorare la vita interiore delle risonanze stesse: il modo in cui si stabiliscono, in cui si modificano nel tempo, in cui si spengono.

Nella notazione rigorosa degli archi si insinua dunque la stessa attenzione verso quella sorta di contrappunto timbrico microaleatorio che sarà destinato a divenire una componente primaria in molte sue composizioni.

Gli approdi sonori e linguistici che sono il punto d'arrivo per Berio e Stockhausen  per Radulescu sono un punto di partenza. Ritmi che sono la somma per pulsazione di diversi strati musicali tra loro si trasformeranno ben presto nella pulsazione spettrale, “trasformazioni intrinseche del timbro-suono che possono produrre informazioni più ricche del ritmo artigianale del linguaggio discontinuo”[1] “Lontano dal negare l'esistenza delle quattro scritture storiche - monodia, polifonia, omofonia, eterofonia - che formano secondo noi la visione globale della Terra, immaginiamo e viaggiamo più o meno a distanza, dato che il linguaggio fenomenologico dei plasma sonori non è più riducibile a nessuna di queste scritture ma resta la sua conseguenza”[2]. “Finalmente, magnificare lo sfasamento spettrale e altri microfenomeni insiti nel suono, corrisponde all'idea che la materia-suono . . . produce un linguaggio proprio”[3].
 
II.  Le concezioni teoriche    
Fin dai primi anni dell'esilio Radulescu non si dichiara nostalgico della terra che ha lasciato. La sua Romania non è quella reale ma immaginaria, quella rimasta sempre viva nelle manifestazioni più votate al senso profondo del sacro, che discende in linea diretta dalla ritualità bizantina, dalla sacralità dei cicli della natura esaltate dall'arte e dalla musica folklorica, dagli strumenti dei pastori, dalle ambientazioni acustiche e dalle risonanze naturali dei luoghi dove questi suoni vengono perpetrati. "Mi sono rifugiato nella più pura delle arti per disgusto dell'ideologia e della politica"[4].

Esiste una tradizione culturale della follia come lucida fuga da un mondo barbaro verso uno fantastico e a volte assurdo. Vedremo che tali concetti, sebbene velatamente, accompagneranno l'intera produzione di Radulescu fino a renderla impermeabile da qualsiasi nozione estranea ad essi.

Tali processi direzionali conducono al Sound plasma che è un suono complesso dove tutte le scritture storiche sono raccolte in una nuova sintesi nella quale verranno considerati anche i fenomeni naturali. L'emanazione di queste scritture, sebbene si possa intravedere, non è riconducibile a nessuna di esse perché verranno sempre considerate globalmente (le Global sources) ed ogni composizione tenderà a nascondere il principio di causa - effetto.

Non si hanno più informazioni ritmiche prodotte dalla scrittura musicale anche la più complessa, ma risultanze ritmiche derivanti dai microfenomeni acustici, da processi fisici insiti nello spettro sonoro.
 
 
III.  Le tecniche strumentali           
Capricorn's nostalgic crickets è un caso particolare di musica concettuale. Qui i microfenomeni timbrici si lasciano alle spalle la libera sperimentazione e tutto ciò che appare è esaltato soprattutto dalla tecnica strumentale. Qui tutto si trasforma: le singole altezze formano lo spessore armonico, i blocchi armonici scandiscono la successione nel tempo, il macro e microritmo conduce al timbro, il trattamento timbrico indica le dinamiche. Tale processo circolare porterà alla musica spettrale e al principio atto a rendere sistematicamente indistinguibili le sorgenti sonore.
 
 
IV. Lo spazio acustico
Le modalità esecutive conducono allo stato di costante trasformazione timbrica che si sviluppa e comporta un ritmo intrinseco della materia sonora, la pulsazione spettrale. "Magnificare la leggibilità dello sfasamento spettrale e di altri microfenomeni insiti nel suono corrisponde all'idea che la materia suono, come un vulcano, produce - per la danza della sua lava (spettro) - un linguaggio proprio, bello e astratto, perché libera del tutto dalla codificazione o traslazione di un mondo astraneo ad esso"[5]. La combinazione di note viene ora sostituita dalla varietà di timbri.

Appare inoltre un'ulteriore proprietà correlata all'orchestrazione: cori spezzati intesi in un'accezione moderna del termine. Invece del contrappunto alternato da due cori incontriamo il sistematico passaggio della stessa frequenza tra strumenti collocati anche a grande distanza tra loro sebbene l'orchestra preveda una sistemazione tradizionale. Lo sfasamento percettivo provoca un'energia acustica impressionante.
 
V. Verso la spettralità come linguaggio musicale 
La musica di Radulescu si basa dunque intuitivamente sui fenomeni acustici secondari quali le rimodulazioni, i battimenti, le risonanze per simpatia, il permanente stato d'attacco del suono dato delle onde stazionarie del movimento vibratorio, la conseguente trasformazione timbrica costante (che genera l'occultamento del principio di causa-effetto), l'energia acustica sprigionata dai cori spezzati. La nozione di spettro assurge ad importanza capitale: tutti i parametri del suono ne sono contenuti e resi indistinguibili. L'apporto qualitativo delle frequenze secondarie contenute in uno spettro sulla formazione del timbro e di ogni manifestazione acustica del suono, sia esso generato direttamente o autogeneratosi, diviene, attraverso la cristallizzazione delle altezze alla quale assistiamo nella musica spettrale, un linguaggio musicale autonomo. In pochi anni Radulescu attua una riduzione progressiva dei mezzi sonori rispetto alla precedente produzione ricca di espedienti timbrici tra i più copiosi e disparati. Allo stesso tempo assistiamo alla vertiginosa progressione del numero di frequenze spettrali che contemplano intervalli infinitamente piccoli.

Nella sua musica troveremo presenti come fonti reali anche gli armonici 1° e 11° che a loro volta generano altre rimodulazioni in una introspezione estrema delle componenti di un solo suono regolato da leggi proprie. Naturalmente ciò è possibile in ogni zona dello spettro, anche nelle più acute e dunque più compresse. Il numero, l'ampiezza e l'intensità delle componenti armoniche e la loro relazione con quelle emesse dagli strumenti utilizzati per la loro emissione, forma il timbro generale di questo che si può considerare sempre un unico suono, anche nei casi in cui una moltitudine di frequenze è presente simultaneamente in ogni registro udibile. In tale universo sonoro svanisce il concetto di dissonanza.

L'op. 30 e l'op. 33, rispettivamente nell'84 e nell'87 sono due opere spettrali estreme, di altissimo valore musicale e poetico dove l'estensione dell'immaginario sonoro conduce alla cristallizzazione di universi irreversibili. Il '76 e il '77 sono due anni altamente critici perché la strada che separa l'idea dalla sua realizzazione appare incolmabile, le concezioni, anche quelle legate alla musica spettrale, utopistiche. Sono anni febbrili, molti sono i problemi materiali, dal cagionevole stato di salute alla difficoltà di trovare interpreti spiritualmente votati alla sua musica, al disagio dovuto all'esiguità delle commissioni per le sue nuove opere che è rimasta per tutta la vita l'unica fonte di sostentamento per Radulescu: una posizione incomoda che sottolinea la sua integrità. Ma forse il problema maggiore è di natura interiore, rappresentato dal rischio di scivolare nell'isolamento dalla realtà per averla indagata troppo nel dettaglio. Grandi forme architettoniche che, mute, attendono la definizione dei particolari ne sono la riprova. La strada percorsa fin qui non ha via di ritorno e sebbene il futuro sia già ipotecato, al momento non offre spiragli. Ancora una volta, nella cultura occidentale, "la parola manca" ed effettivamente Radulescu si trova in anticipo sul suo tempo. Con la rapidità dell'evoluzione tecnologica, da lì a pochi anni si potranno realizzare i calcoli degli armonici ipotizzati un decennio prima, si approderà ad accorgimenti tecnico-acustici capaci di controllare e rendere trasparente ogni più piccolo dettaglio. Inoltre nel periodo di tempo che divide dalla seconda metà degli anni ottanta, Radulescu, attraverso una trentina di brani forse meno essenziali, approda a una scioltezza di scrittura magistrale, ad un'aderenza tra l'immaginazione sonora e il risultato compositivo esemplare. Perciò per le op. 30 e 33 e per alcune altre ispirate direttamente ad esse si può parlare di capolavoro.
 
 
VI. Spettralità e spazializzazione sonora  
L'esecuzione diviene un atto religioso votato a un'entità superiore che è il suono stesso, libero da ogni intervento arbitrario sulla materia sonora.

I brani che vanno dall'op. 44 all'op. 47 indicano in un certo modo uno sguardo retrospettivo che si avvale, con una maestria, diremmo, quasi manierista, delle più aggiornate tecniche del linguaggio spettrale. Le composizioni ridivengono il teatro sperimentale di intuizioni sonore ora sempre più dirette verso la spazializzazione acustica. Tale parentesi non contiene l'enfasi dimostrativa, il gusto della grandeur che ha caratterizzato quelle degli anni '70, ma l'introspezione intesa come esplorazione dello spazio acustico.

Con i brani che ci accingiamo a descrivere Radulescu compie le sue più alte realizzazioni musicali. Le componenti acustiche che hanno caratterizzato il suo percorso creativo trovano il massimo grado di sviluppo e, al tempo stesso, un equilibrio che gli permette, con magistrale elasticità, di presentarle in uno spazio pluridimensionale. Nessuna funzione viene ora privilegiata, nessuna componente risulta didascalica e la fenomenologia sonora approda ad un'ulteriore grado di sviluppo e lo integra all'interno del proprio linguaggio, la spazializzazione acustica.

Con l'op. 30 e l'op. 33 Radulescu sfida l'attualità del tempo e proietta l'immaginazione sonora in un tempo senza storia, dove ciò che accade è immanente alla natura stessa dei fenomeni sonori da lui evocati. Do emerge ultimate silence  sottende una correlazione con l'esorcismo sciamanico e il sufismo attraverso l'incantamento della materia che si getta nel silenzio e la simbologia dei numeri impiegati nella struttura formale, sacri ai Sufi, pur restando un inno all'astrattismo della materia sonora. Infinite to be cannot be infinite / infinite anti-be could be infinite si pone come un rinnovamento della domanda shakespeariana del "to be or not to be" , così come la formulazione di Lao-Tze nel Tao Te Ching  "essere e non essere si creano reciprocamente".

In Radulescu le funzioni si autogenerano e fanno parte di un universo dove la dialettica dissonanza - consonanza cessa di essere un sistema di referenza. La distanza tra le funzioni di altezza è immutabile, ovvero non è ne rovesciabile ne trasponibile. Così come un sistema astrale, tutto si trova a distanze precise rinnovando una sorta di serialismo cristallizzato all'ennesima potenza.

Quando si introducono suoni estranei allo spettro fondamentale si svela così l'impressione di una ascensione armonica, sebbene le altezze, pur mutando le proprie funzioni, rimangono fisse nello stesso registro. Questa teoria dimostra ancora più radicalmente che l'integrazione spontanea di elementi apparentemente estranei annulla di ogni significato il concetto di dissonanza. La caducità della dicotomia dissonanza - consonanza non annulla la vitalità data dalla variabilità di tensione che procura l'energia acustica qui approdata ad uno spazio pluri-dimensionale.
 
Considerazioni finali
Il catalogo di Radulescu conosce un'ultima fase, tra il 1990 e il 2008, anch'essa ricca di grandi realizzazioni, dove il linguaggio del nostro conosce un'ulteriore fase e una nuova articolazione, con il ritorno alla scrittura tradizionale su pentagramma. Paradigma di questa fase sono il Concerto per pianoforte e orchestra e le Sonate per pianoforte, dove lo  strumento è utilizzato in maniera rigirosamente tradizionale. Tutto il sapere di Radulescu su come nascondere le formanti sonore, sulla cristallizzazione delle altezze intese come linguaggio spettrale autonomo, e così via, incontrano qui una pluridimensionalità di prospettive dove elementi del primo periodo (la sonata op. 5 o Taaroa op. 7) raggiungono l'ennesima potenza. Ritornano melodie popolari romene (reali o inventate da Radulescu) dai ritmi spezzati in una proliferazione ed esposizione prospettica vertiginosa, la cui collocazione in un linguaggio spettrale e non più armonico ne ridisegna le valenze. Come nella fase intermedia il linguaggio spettrale arrivava ad una dimensione estrema della musica seriale (un Webern all'ennesima potenza), qui siamo di fronte ad una costruzione formale ed articolazione costantemente inedita, dove parametri formali più tradizionali conoscono un ulteriore sviluppo e approfondimento, sulla base di un linguaggio spettrale ormai magistralmente acquisito, e potremmo dire di trovarci qui di fronte ad un Bartók all'ennesima potenza.

Questa ultima parte non è stata analizzata integralmente. Avendo svolto la mia tesi di laurea, presso l'Università di Bologna, anno accademico 1989-90, su “Le sorgenti inudibili del suono (la musica spettrale di Horatiu Radulescu)” ho avuto modo di analizzare con il compositore stesso tutti i brani dall'op. 1 a quelli compiuti o concepiti entro il 1989. Si tratta di lunghe sessioni, registrate tra il 1986 e 1989 a Versailles, Berlino, Friburgo, Menton, Alessandria, Darmstadt di analisi, interviste, divagazioni su temi di estetica, filosofia e musica in generale che hanno costituito il corpus della mia tesi. Tale lavoro, che ha dunque come principale referenza il pensiero diretto del compositore, asciugato delle parti più analitiche, è la base di questo libro. Scrivere sui brani dopo il 1989 avrebbe composto un cambiamento di sistema di referenza, sarebbe stato quasi un altro libro nel libro. Perciò questo lavoro si ferma alle opere di quegli anni, ed è un invito ad altri a proseguire sulla strada tracciata.

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[1]              Horatiu Radulescu, "Musique de mes univers", in Silence, n. 1, Edition de la Différece, Paris 1985.
[2]              ibid.
[3]              ibid.
[4]              Anne Rey, "Très peu terrestre", in Le monde de la Musique,  n. 116, Paris, novembre 1988.
[5]     Ibid.



 




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