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Ada Gentile, con una sua testimonianza
La filigrana preziosa del suono di Ada Gentile



Ada Gentile (Avezzano, L'Aquila, 1947) s'è confermata una delle compositrici più originali e autentiche degli ultimi decenni, chi scrive ne aveva apprezzato la particolare scrittura in filigrana preziosa fin dalle prime prove dell'inizio anni Ottanta, “è dotata di una scrittura che sa andare in profondità e di una tenue sensibilità che le permette di scavare fra le pieghe del suono, articolando una serie squisita di riverberi fantasiosi e delicatissimi. La sua prima partitura significativa è Trying per pianoforte del 1980, dove manifesta un personale scavo timbrico di pulviscolare dolcezza; tale attenzione timbrica rimane una costante anche dei lavori successivi” (1) fino a oggi, la Gentile che, pur attraversando diversificate esperienze tecnico-formali, si dimostra coerente a un segno grafico, a un gesto sonoro e a un modo d'intendere la forma musicale che sono inconfondibili sia nella scrittura che nella risultante sonora.

La golosità timbrica, la distillazione del materiale, la sottolineatura dei modi d'attacco, l'alternanza delle zone d'ombra con quelle luminose, la raffinatezza dei piani dinamici, l'eufonia armonica, la perizia dei giochi ritmici, la disposizione degli elementi che avviene con un ludus esoterico (incastri, sovrapposizioni ed evoluzioni di questi elementi che sembrano alludere a un quid ancestrale), queste sono alcune delle caratteristiche linguistiche della Gentile, ma mai come nel suo caso il “linguaggio” musicale risulta essere un linguaggio sui generis, poco propenso ad articolarsi in procedure razionali e concettuali (come appunto il vero e proprio linguaggio) quanto piuttosto propenso a percorrere zone di confine fra sogno e realtà, fra interiorità ed esteriorità, fra coscienza e intuizione, fra “verità vera” e “verità ideale”, come dice il testo scelto per Come fiumana, una sua composizione, su testo tratto da Pellizza da Volpedo, emblematica dello stile della Gentile di cui scriviamo più sotto.

Dotata di un senso della forma solido eppur libero, evidentemente appreso dalla lezione di Petrassi del quale la Gentile è stata allieva, la sua musica vola leggera nelle terre dove regna lo stupore che, per gli antichi, era all'origine del pensiero, un pensiero che si fa suono e torna, infine, ad essere silenzio, come appunto nel pezzo qui presentato. Non è un caso che “le sue composizioni si snodano quasi sempre su sonorità molto lievi, muovono da ambigui ambiti piuttosto ristretti, entro i quali il fitto movimento delle parti crea una sorta di movimento continuo rotante attorno ad alcuni perni acustici” (2).

Non si tratta però di una poetica neo-impressionista, in quanto le delicate oscillazioni timbrico-intervallari, la liquidità del parametro timbrico e una (e)staticità contemplativa sono sorrette da un pensiero compositivo sempre unitario e omogeneo, rigoroso nel suo articolarsi e poco disposto alla leggerezza dell'essere, anzi ben radicato nel suo esserci collettivo (come dimostrano anche i tanti incarichi istituzionali e organizzativi che la Gentile ha avuto ed ha tuttora). Pellizza da Volpedo, pittore celebre per il quadro dal titolo esplicito dell'impegno sociale, Quarto Stato, si confà agli aspetti sociali a cui la Gentile è sempre stata attenta, ma il modo con cui la compositrice affronta alcune frasi, estrapolate da lettere di Pellizza, ci dice come questi aspetti sociali siano affrontati in maniera da privilegiare l'uomo da cui partono, i suoi bisogni interiori, la sua aspirazione ideale a un'umanità rappacificata e a un'essenza spirituale.

“L'artista che cercando la verità volesse starsi troppo attaccato al vero perde lo scopo suo, non lo raggiunge” scrive Pellizza a Castelli nel 1896, riprendendo inconsapevolmente il pensiero di Verdi che vedeva nella pittura del vero qualcosa di più, che va oltre e scava dentro, non la mera fotografia della realtà dunque, ma la sua interpretazione interiorizzata e tendente all'ideale, non semplice storia ma storia drammatizzata attraverso le aspirazioni umane, rappresentata attraverso la parola scenica e la “tinta”, come direbbe appunto Verdi, rappresentazione che non è solo illustrazione dei fatti, descrizione dell'esistente, ma che, grazie alla riflessione e alla trasfigurazione che l'arte produce, diventa narrazione di vite vissute e di verità esperimentate. In questa prospettiva l'arte assume dunque il valore di uno scavo, di una tensione verso un altrove, di un racconto di verità nascoste dai veli della quotidianità, (s)perdute nei meandri del banale della presunta oggettività della storia, che il luogo comune vuole incontestabile e imparziale! L'arte anima la concretezza del reale, gli dona la parzialità dei giudizi, aprendolo a un'ermeneutica esperenziale, gli regala la soggettività dell'uomo vibrante di sensazioni e sentimenti. L'Artista – ci dice Pellizza – allieva con la bellezza i dolori dell'umanità, un'umanità assetata di giustizia e di verità, “ma è nel sacrificio del vero reale che si raggiunge la verità ideale”.

Da un mondo lontano sembra arrivare il suono lieve e fermo dell'inizio di Come fiumana , brano per voce recitante e quartetto d'archi, composto nel 2001 su richiesta di Riccardo Piacentini per il progetto Musiche per Pellizza da Volpedo, ideato dalla Rive-Gauche Concerti di Torino, a seguito delle celebrazioni svoltesi a cent'anni dalla realizzazione de Il Quarto Stato. Sul tappeto sonoro, immobile e in pianissimo, la voce pronuncia le prime parole “s'ode… passa la fiumana dell'umanità, genti correte a ingrossarla”; però, alla fine di un tremolo appena percettibile, all'improvviso, in fortissimo, i quattro strumenti intonano vigorose figure di 7 e 9 note che sembrano scariche nervose, sono un richiamo alla responsabilità: “e tu che fai?” dice il testo, un'interrogazione ripetuta e sostenuta da bicordi raschiati e lungamente tenuti che si fermano per far sentire la voce sola, in modo che le parole siano perfettamente intelligibili: “non è la verità vera che io debbo rappresentare nel quadro bensì la verità ideale”, frase cardine dell'impostazione concettuale, poetica e musicale di tutto il lavoro. Il finale torna ad essere lieve come l'inizio, con leggerissimi armonici, note adagiate su pause come su delle nuvole, piccoli crescendi comunque in pianissimo che vanno a morire nel silenzio, il quale non è il silenzio fosco del nulla, ma quello propulsivo della riflessione, dell'u-topia, della ricerca di un luogo che non c'è ma che potrebbe esserci, il luogo e il tempo in cui la fiumana dell'umanità sarà finalmente riconciliata, in cui l'uomo sarà in pace con se stesso e con il suo prossimo. A questa riappacificazione la bellezza e l'arte partecipano non con l'altezzosità dei numi tutelari ma con l'affabilità e il garbo, come sa fare la musica di Ada Gentile.

Ha scritto oltre 60 opere per strumento solista, gruppi da camera, per orchestra e per teatro da camera, tra le quali: Paesaggi della mente (1991), per soprano e quartetto d’archi; l’opera da camera La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina (1994), Cantata per la pace (2000), per orchestra, coro e voce recitante; Musica per scena (2005), Madre ragazza (testo di Dacia Maraini, 2007), Un'ansia di pace (2008), Un'ombra si scioglie (2010).



NOTE
1) R. Cresti, Verso il 2000, Il Grandevetro, Pisa 1990.
2) M. Porzio, ora in Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei, a cura di R. Cresti, III voll., 10 cd, Pagano, Napoli 1999-2000.
 
Da Renzo Cresti, Ada Gentile, in Verso il 2000, Napoli-Pisa 1999.



Il delicato gioco timbrico della musica di Ada Gentile
di Michele Porzio


Le sue composizioni, che si snodano quasi sempre su sonorità molto lievi, muovono da ambiti sonori piuttosto ristretti, entro i quali il fitto movimento delle parti creano una sorta di continuo movimento ruotante attorno ad alcuni perni acistici. Ne scaturisce una sorta di fine illusionismo sonoro. Nella sua musica si coglie, come dato primario della sua ricerca, la cura per un vibratile impressionismo sonoro che ne percorre l'intera produzone dandole una salda unitarietà estetica e strutturale.

Il linguaggio della Gentile è un delicato ma intenso lavoro di approfondimento sui parametri minimi di agglutinamento del suono: perciò si assiste a frequenti oscillazioni su circoscritti pannelli microintervallari, comprendenti l'uso del quarto di tono. In tali sezioni la dinamica gravita sul piano e sul pianissimo, per ottenere una polifonia di timbri soffusi, contrappuntati da un'estrema mobilità e anzi liquidità della dimensione ritmica, la quale spesso sorregge l'equilibrio compositivo creando complesse asimmetrie agogiche per lo più riassorbite, sullo sfondo di un'atmosfera di raccolta staticità contemplativa.

La mobilità ritmica conduce alla transizione verso sezioni di carattere contrastante poste in precisa alternanza dialettica. /.../ Nelle sue composizioni, più che a cellule tematiche o figure di natura plastica, occorre riferirsi a disegni musicali, immersi in un caleidoscopio di mutevoli intonazioni.



Dalla scheda su Ada Gentile di Michele Porzio, in Enciclopedia Italiana dei Compositori Contemporanei, a cura di Renzo Cresti, III voll. e 10 cd, Napoli 1999-2000.



Testimonianza di Ada Gentile
raccolta da Fiorella Miracola


"Il mio primo approccio con la musica l'ho avuto sin dall'infanzia. Sono l'ultima di 10 figli; mio padre suonava la cornetta e così a 4 anni mi ha messo davanti ad un pianoforte ed ho iniziato a suonarlo con l'aiuto dei miei fratelli che suonavano vari strumenti come la chitarra, il mandolino e la fisarmonica. Tutta la mia famiglia ha perciò favorito la mia inclinazione musicale. Terminata la scuola media, mio padre mi ha iscritto a Ragioneria ma, dopo pochi mesi, si è reso conto che questi studi non erano fatti per me e che perciò conveniva farmi studiare musica e così mi ha iscritto al Conservatorio di S. Cecilia. Ho voluto prendere il diploma di pianoforte al Conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli perché lì c'era il Maestro Vitale, un famoso didatta di cui ero una grande estimatrice per i risultati che aveva conseguito con i suoi allievi. Dopo questo primo diploma ho continuato gli studi a S. Cecilia conseguendo anche il secondo diploma, di composizione, e concludendo il ciclo formativo all'Accademia Nazionale S.Cecilia frequentando il Corso di Perfezionamento di Composizione tenuto da Goffredo Petrassi. Sono stata fortunata per la formazione musicale ricevuta durante i miei studi. Al Conservatorio S. Cecilia ho avuto docenti molto validi, mi sono diplomata con musicisti di altissimo livello ed ho avuto la fortuna di frequentare l'ultimo dei Corsi di Perfezionamento di Composizione tenuto a Roma dal Petrassi, uno dei più grandi compositori italiani del ‘900. Non ho avuto compagne di corso al corso di Composizione; io ero l'unica donna ma non ne ho risentito affatto, anzi ero benvoluta e coccolata da tutti i miei colleghi maschi. Dei miei colleghi di corso nessuno ha ottenuto risultati eclatanti come compositore; alcuni, invece, si sono affermati come Direttori Artistici di Enti o Istituzioni musicali. Non ho subito alcun trauma dal fatto di essere donna all'interno del Conservatorio, anche se avevo solo colleghi dell'altro sesso. Dopo il diploma di pianoforte ho fatto varie domande per insegnare in Conservatorio e sono risultata “idonea” al Conservatorio di Trieste dove mi ero esibita come pianista e dove il Direttore (Orazio Fiume) aveva apprezzato molto la mia tecnica. Ho così iniziato subito ad insegnare pianoforte in quel Conservatorio dove sono rimasta per due anni. In seguito ho chiesto ed ottenuto il trasferimento al Conservatorio di Frosinone in quanto ero sposata nel frattempo e mio marito lavorava a Roma. Dopo 5 anni, infine sono approdata al Conservatorio S. Cecilia di Roma dove, per mia precisa scelta, insegno Pianoforte complementare. Una volta conseguito il mio secondo diploma (in composizione) ho avuto un periodo di due anni molto difficile in cui ho studiato molte partiture di autori classici e contemporanei. Questo periodo di studio e riflessione mi è stato molto utile per l'inizio della professione di compositrice che non è stato facile. Fortunatamente nel 1982 ho vinto il “Gaudeamus” di Amsterdam e subito dopo mi sono affermata in altri Concorsi Nazionali di Composizione (Terni, Imperia, Sanremo) così la strada mi è stata agevolata parecchio anche perché sono entrata a far parte della Casa Editrice Ricordi.

Non c'è mai stata competitività con i maschi anzi, in alcune occasioni sono stata preferita a loro.Non sono mai stata oggetto di diffidenza: a qualcuno che non mi conosceva presentavo le mie partiture e così si rendevano conto di ciò che sapevo fare. Ho saputo conciliare facilmente la mia vita privata con quella professionale perché mio marito mi ha sempre aiutato nel mio lavoro facendomi anche da segretario, interprete ed autista. Ho potuto seguire così le mie esecuzioni più importanti in Italia ed all'estero; l'unico problema che ho è quello del mio piccolo persiano nero (Giogiò) che non sopporta di stare troppi giorni da solo quando viaggiamo! Io non ho figli e ciò mi ha agevolato molto nella mia carriera.

Quando scrivo un pezzo non ho in mente alcun pubblico particolare: l'unica eccezione è stata quella di qualche mese fa quando l'Accademia Nazionale S.Cecilia mi ha commissionato un'opera per le scuole da inserire nella sua programmazione. Ho così pensato di scrivere un “musical” sulla vita di Nerone con scopo divulgativo ma anche con il desiderio di coinvolgere i giovani e farli divertire. Ne è venuto fuori un divertissment con contaminazioni pop e rock che ha avuto un enorme successo, con 2 recite al Parco della Musica (Sala Petrassi) che hanno visto il “tutto esaurito” il 14 e 15 marzo scorso. In generale, però, quando scrivo penso solo ad esternare ciò che provo in quel momento: se poi il mio lavoro viene accolto bene dal pubblico ciò non può che rallegrarmi ma non faccio come molti miei colleghi che scrivono solo in funzione del pubblico e che, per ottenerne il consenso, spesso snaturano la loro creatività. La mia professione mi piace molto perché dà libero sfogo alla creatività che è in ciascuno di noi. L'unica cosa che non mi piace è la mancanza di “ricerca” dovuta al fatto che da alcuni anni molti miei colleghi ricercano solo il consenso del pubblico e non esplorano più nuove vie come accadeva negli anni '70 - '80."       



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