home
Il corpo nel sogno, il nuovo cd di Stefano Giannotti, con sua testimonianza
Il corpo nel sogno
 
OTEME, osservatorio delle terre emerse, è il contrassegno inconfondibile di Stefano Giannotti,[1] sotto cui esce anche il nuovo cd Il corpo nel sogno, lavoro musicale e di letteratura sonora dal carattere inconfondibile. Già da tempo Giannotti ha trovato il suo tratto stilistico inconfondibile, basato su un ritratto visionario del presente, fra oggetti e situazioni e loro de-contestualizzazioni. Testo/contesto scivolano l'uno nell'altro, la realtà che si fa visione e l'immmaginazione che diventa ironia.

La copertina è bellissima e intelligente, formata da un montaggio di foto realizzato dallo stesso Giannotti che, come nella musica, gioca fra contingenze e spazi sospesi. Graficamente rimanda al Teatro del faro.[2]

Il gruppo degli strumentisti che accompagna Giannotti è quello storico, fidatissimi, tutti sono entrati dentro alla particolare poetica: il creativo Marco Fagioli alla tuba e al trombone, Valeria Marzocchi al flauto e voce e Lorenzo Del Pecchia al clarinetto e clarinetto basso che sostengono Giannotti da anni in concerti e incisioni; Maicol Pucci alla tromba; Emanuela Lari al pianoforte e voce; Valentina Cinquini all’arpa; Riccardo Ienna alle percussioni e batteria, Antonio Caggiano al vibrafono (in due brani come special guest); Edgar Gomez e Gabriele Stefani alle voci, tutti bravissimi e soprattutto con grande partecipazione, per far bene questa musica bisogna crederci no routinier!

Giannotti, oltre a cantare e a suonare la chitarra, suona il basso elettrico, le percussioni, l’armonica, il sintetizzatore e il piano giocattolo, con l’inventiva che gli è propria e soprattutto con un gusto del tutto naturale degli equilibri sonori. Ecco, nella naturalezza del porgere poesia e musica Giannotti si stacca dalla media di tanti altri musicisti che tentano di percorrere strade di border music ma non abitano quel mondo mentalmente, non dimorano in quella miscela di poesia e suono con fluidità culturale, non soggiornano sui confini fra realtà e immaginazione con autenticità, mentre Giannotti ci offre in dono spontaneità e sincerità, in un’apparente semplicità. In realtà i brani derivano da un’operare pensato e collettivo, ma realizzato in modo talmente spigliato e partecipe da sembrare elementare, grande merito questo!

Il contenuto del cd sembra riferirsi al semplice esistente, «Semplicemente esistere / come l’acqua, la sabbia» (Il corpo nel sogno), scrutando le ombre e i ricordi, assemblate come in visioni oniriche, un sogno popolato da gesti e suoni evocativi. Giannotti è un viaggiatore solitario, come il protagonista del suo Sono invisibile, lontano mille miglia dal mondo politicamente corretto della musica istituzionale: «I musicisti… be’, / i musicisti / lasciamo perdere», dice l’uomo che ha scoperto il segreto dell’invisibilità.

Vi è anche un brano nato per uno striptease (quello di Ale ne Il Duca delle Prugne di Aldes/ Roberto Castello), divenuto successivamente la colonna sonora di un film-documentario su Benjamin Ferencs e il processo di Norimberga. In fondo, la musica è anche gioco, non a caso quella di Giannotti sta spesso al confine naïf fra creatività spontanea e infantile e manifestazione astratta e mentale.

Il brano Nascita dei fiori, suddiviso in tre parti: Il cimitero delle fate, Di passaggio, Prato fiorito, era stato concepito fin dal 1986, la primordiale stagione creativa di Giannotti e dimostra una organicità e coerenza di percorso, compatta pur nelle continue invenzioni e affinamenti poetici e musicali. Si tratta di una musica da camera, sorta di delicato poema evocativo che trova una continuazione nel 1996, con una versione per chitarra elettrica e orchestra, e quindi la versione attuale nel 2017, che ha cambiato il secondo e terzo movimento, rendendo quest’ultimo più vicino al suono di Zappa, vicino a un rock colto e non usurato.
È quella di Giannotti una fantasia estrosa che a volte volge al fantastico e allo stravagante ma che, in generale, rimane su un’inventiva sognante e un po’ illusionistica. Sogno e fantasia che si mischiano nelle reinterpretazione del mito di Orfeo in Orfeo e Moira, dove Orfeo è disperato perché non si è voltato in tempo per salvare la sua Moira che viene sbranata da un leone.

Il cd comunica un’atmosfera calda, molto umana, nel senso che si parla costantemente di quotidiano, che sia sogno che sia realtà, ma senza rinunciare a un forte rigore formale, dato generalmente dal contrappunto e da una visione estetica che sta a monte, l’idea dell’opera globale, come sempre in Giannotti, dal Teatro del faro in poi.
 
Assolutamente incatalogabile, questo lavoro di Giannotti, come tutti i suoi progetti, costringe l’ascoltatore ad abbandonare i riferimenti tradizionali siano essi alla forma canzone siano a esperienze di musica contemporanea più o meno d’ambiente e più o meno colta o extra-colta. È un unicum realizzato senza proclami ideologici che sorpassa sia le avanguardie sia il postmodernismo, pur ovviamente prendendo da qui e là, con (auto)ironia e gioco, a un tempo, complesso e leggero.
 

Testimonianza di Stefano Giannotti sui brani nel cd
 
Rubidor #1[3]
Musicalmente è come se Zappa avesse fatto un Music circus alla Cage…, in altre parole, al pari di Megaphono (brano inserito ne La città sonora), ci sono piani paralleli in cui ognuno ha il suo metronomo. Il riff iniziale l’avevo scritto per una TV, (il brano originale ri-orchestrato è Rubidor#2). Poi, per caso ho sovrapposto una session di batteria avanzata da L’agguato, e lì è scattata la magia. Ho cominciato ad improvvisare registrando la mia voce mentre leggevo le frasi di Rubi [Rubidori Manshaft], e andando avanti ho orchestrato il tutto. Il solo di fiati finale è su un altro metronomo ancora, e così, l’ultima aggiunta di chitarra elettrica.
 
Il corpo nel sogno
Il lavoro nasce nel 2015, esattamente il 31 maggio quando un mal di schiena incredibile mi blocca nel letto e mi fa saltare un concerto degli SMS [il gruppo orchestrale della Scuola Sinfonia di Lucca che Giannotti coordina e dirige] la sera stessa al palazzo ducale e due giorni dopo un viaggio a Bucarest. Sul letto scrivo la canzone Il corpo nel sogno e tiro giù i primi accordi di chitarra (lo scritto originale è sulla tavola del cd dove c’è il vagone del treno). L’idea è quella del mio corpo che si trasforma in roccia, foresta pietrificata, dorsale marina. Chi sta parlando in realtà è il solito personaggio testimonial che si ritrova in The masterpiece, nell'ultimo radiodramma Hin und Zurück e nel cavaliere del Teatro del Faro.
 
Neglibor
Si tratta di un sogno che ho fatto un po’ di tempo fa, in realtà il luogo è Brignole (anche Bonglier). Gli Iescin sono i Cinesi, la Numera è la Rumena. Il finale è ispirato ad un video mio da un’altra opera (Ether or something similar del 20015), il video è Anestesya. (https://www.youtube.com/watch?v=ov6hxTtF5d0). Musicalmente questo brano è un esempio di come armonia cromatica, new wave, jazz e teatro si possano combinare; è quasi un micro-radiodramma cantato.
 
Blu marrone
È forse il brano più interessante strutturalmente. Per caso ho trovato degli scarti da Bürotifulcrazy (2014), sequenze strutturali, una serie e tutte le sue combinazioni canoniche (inversioni a specchio etc.). Quando l’ho riascoltato mi sembrava di sentire Messiaen. Non so come, mi è venuto in mente di inserire Riccardo Ienna con un riff (difficilissimo) di drum’n’bass, che in genere ha suoni elettronici, ma Riccardo è un maestro in suoni deliziosamente sgangherati, ‘marci’ come li chiamiamo noi. Ci stava bene anche una frase alla Debussy. La batteria parte con il riff quattro volte più lento, poi metà tempo, infine, al tempo originale, e poi di nuovo dimezzato, etc.
 
Sono invisibile
Rimanda in parte a Tracce nel nulla da L’agguato. Un viaggio che non porta a niente, o meglio, porta di nuovo ad un inizio capovolto. Il brano nasce dal monologo che feci in San Romano nel 2012, per la serata su Cage, organizzata da Renzo Cresti. Un nonsense sui temi di comunicazione, morte, stasi e caos, fuga e controllo. Nel momento in cui scompaio cominciano a cercarmi veramente, e quando non possono più trovarmi mi pregano, litigano, distruggono tutto, ricompaio, non mi credono e mi convincono a distruggere tutto in mio nome. Così come non esiste il silenzio, non si può scomparire veramente, si lascia sempre una traccia (una traccia nel nulla).
 
Strippale
Ha un’origine anteriore, era un brano per uno strip-tease in un’opera di Roberto Castello, poi Ullabritt Horn, documentarista di Norimberga (scomparsa purtroppo a dicembre 2017), si innamorò del pezzo e mi chiese di scrivere la colonna sonora per un suo documentario su Benjamin Ferencs ed il processo di Norimberga (il film tra l’altro sono riuscito a portarlo al Lucca Film Festival nella sezione Educational, ma Ullabritt era già molto malata e non riuscì ad intervenire).
 
Un paradiso con il mal di testa
Questo pezzo nasce ancora da una scelta di frasi da mail, messaggini, chat etc. L’effetto è quello di un testo alla Don Delillo.
 
Orfeo e Moira
Orfeo e Moira, che noi chiamiamo il pezzo mancante, è l’ultimo prodotto, eseguito quasi da solo (coinvolgendo poi tutti gli altri con le voci, infine, Antonio Caggiano e i fiati) l’altra estate: 24 voci mie di tappeto sonoro (non campionate ma cantate), e poi 6 voci in chiave quasi rinascimentale, quasi un doppio coro fra maschili e femminili. L’armonia riflette la mia idea di vita; una tonalità di base che però sposta la sua polarità lievemente e non sai più dove si appoggia (ma è lì vicino e del resto ogni tanto torna). Questo modo l’ho imparato non solo da David Bowie, ma soprattutto dal Mike Oldfield di Incatation (1977). In effetti l’armonia di Orfeo e Moira risente della quarta parte di questa opera (e dello zampino pesante del compositore inglese David Bedford). Orfeo e Moira è stato complicatissimo dal punto di vista della produzione video. Sono diverse centinaia di fotogrammi da vecchi film sul circo scontornati a mano con Photoshop ed inseriti (tipo Teatro del faro) su paesaggi; particolarmente complessa è la scena finale della città, che poi ritorna nel libretto e in parte in copertina, fatta di molte città assemblate.

 
In questo sito trovi anche la recensione, con intervista al cd L'agguato, l'abbandono, il mutamento http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=2&quale_dettaglio=292
 
 
Note

[1] Per chi non conoscesse Stefano Gianmotti è un geniale e particolarissimo compositore, poeta surrealista, chitarrista e polistrumentista e performer; il suo repertorio spazia dalla performance, alla radio-art, dal teatro-danza alla musica da camera, dall’orchestra, alla canzone d’autore. Parallelamente alla musica e alla radio arte, sviluppa progetti video (video-arte e corto-metraggi). Nel 2010 ha creato la band OTEME – Osservatorio delle Terre emerse, un ensemble modulare che interpreta le sue canzoni e brani da camera. Il paesaggio, i cicli vitali, le voci della gente, i linguaggi, sono alcuni dei principali temi affrontati nel suo lavoro.
 
[2] Circular Landscape, l’opera in copertina è nata perché con Tommaso Tregnaghi, il grafico, Giannotti ha pensato di fare una copertina piena, foltissima, con tanti di dettagli, combinati assieme. Tregnaghi si è occupato del digipack, l’idea della conchiglia è sua. Giannotti ha affrontato il libretto e ha combinato immagini seguendo un’idea drammaturgica. Alla fine è venuto fuori un paesaggio circolare, presto consultabile per esteso anche su una pagina del sito di Giannotti http://stefanogiannotti.com
 
[3] Rubidori Manshaft  (Roberta Dori Puddu) è una regista ed autrice pugliese che vive fra Milano e la Svizzera, ha una compagnia teatrale (Officina Orsi) e scrive opere di teatro sperimentale stranissime, addirittura solo su nastro, tipo installazione, coinvolgendo il popolo in maniera attiva. Siamo amici su fb, ci siamo visti un paio di volte ed è sbocciata un’intesa artistica incredibile. Leggendo frasi qua e là sul suo diario ho cominciato a creare un collage ed è venuta fuori la canzone (lei ha gradito moltissimo l’operazione).


 




Renzo Cresti - sito ufficiale