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Stefano Giannotti, cd "L'agguato, l'abbandono, il mutamento", con intervista
OTEME – Osservatorio delle terre Emerse
L’agguato, l’abbandono, il mutamento
 
Si tratta del secondo capitolo della saga discografica di OTEME.
http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=2&quale_dettaglio=260
Il nuovo CD L’agguato, l’abbandono, il mutamento si muove in maniera obliqua fra musica contemporanea e canzone d’autore, art-rock e musica elettroacustica, a cavallo fra partiture rigorosamente scritte e libera improvvisazione. Solo un’ottica in obliquo, intersecante le varie metodologie, è in grado di filtrare e decantare quegli elementi che non sono in rapporto propulsivo e vitale con la cultura dell’oggi. Per ascoltare/studiare la produzione di Giannotti occorre assumere un’anti-metodologia, perché non è una musica da biblioteca, ma da spazi aperti, senza confini, vola.

Questo lavoro è fortemente contaminato da esperienze e discipline culturali diverse, racchiude la vita (musicale) di Giannotti, una storia di quasi 25 anni. Tale è infatti il tempo impiegato per la stesura dei testi, la composizione e l'arrangiamento dei brani, la loro registrazione.

OTEME, ensemble/progetto a geometria variabile, nasce come laboratorio cameristico attorno al 2010, dopo alcuni anni di esperimenti didattici a cavallo fra rock e musica contemporanea colta; da allora, al nucleo stabile dell’ensemble si affiancano musicisti da aree diverse a seconda del repertorio.

Parallelamente, Giannotti conduce un vero e proprio laboratorio di musica d’insieme dedicato soprattutto a giovani e giovanissimi, intitolato Laboratorio OTEME, presso la Scuola di Musica Sinfonia di Lucca.
In un’analisi sintetica del cd si evidenziano alcuni aspetti, per esempio l’esecuzione straordinaria alla tuba di Marco Fagioli in La grande volta, il bel pezzo che apre il cd. La precisione dell’ensemble in Sarà il temporale e Bianco richiamo e in tutti gli altri brani, ensemble utilizzato in maniera modulare e composto da: Valeria Marzocchi al flauto piccolo, Linda Matteucci al flauto, Nicola Bimbi all’oboe, Giorgio Berrugi al clarinetto, Lorenzo Del Pecchia al clarinetto basso, Marco Donatelli al fagotto, Maicol Pucci alla tromba, Marco Fagioli alla tuba, Stefano Giannotti altro alla voce, alla chitarra classica ed elettrica, al banjo, all’organo indiano, alla Jew arpa e alle percussioni, Valentina Cinquini all’arpa, Emanuela Lari alla voce e al keyboards, Pierluigi Papeschi alla chitarra elettrica, Milko Ambrogini al basso, Riccardo Ienna ala batteria e alle percussioni, tutti bravissimi.

In Camminavo si apprezzano i suggestivi tagli armonici; ricorrente il tema del silenzio (Sarà il temporale, Dopo la pioggia etc.); moltissimi i riferimenti alla natura, vera scenografia del lavoro: erba, terra, fiori, bosco, luce, acqua etc. I brani L’agguato, L’abbandono, Il mutamento, che danno il titolo al cd, sono strumentali (tanto stralunato quanto interessante è il bolero de Il mutamento), pezzi apparentemente facili (all’ascolto) ma piuttosto complessi nella loro precisione (scritta).

La doppia lettura è una caratteristica della musica e dei testi di Giannotti, a un primo livello sembrano semplici, ma in realtà sono ben pensati e strutturati (e partecipati).

Il lungo (quasi 26 minuti) Tracce nel nulla è suddiviso in 7 parti: 1) Incredulo osservo / le linee di luce – 2) Incinta al mio fianco / hai cambiato nome e paese – 3) Assopito osservavo / migliaia e milioni – 4) E venne il topo / che si mangiò il gatto – 5) Studio i significati – 6) Un treno arriva in ritardo / e chiede scusa – 7) Sette piccoli villaggi; già alcuni di questi incipit sono esemplificativi della poetica di Giannotti che studia i significati “ed ogni minimo dettaglio” e li decontestualizza, il topo mangia il gatto che morde il cane… rovesciando la prospettiva comune e creando un corto circuito che crea un nuovo senso.
 
Intervista a Stefano Giannotti

1.            In che rapporto si situa questo nuovo lavoro in relazione al tuo percorso artistico?
La considero una tappa fondamentale, anche perché è il punto di arrivo di un percorso iniziato circa 25 anni fa. Da bambino e da adolescente ho sempre scritto canzoni, poi ho avuto una pausa di circa sette anni, in cui mi sono dedicato alla musica da camera, alla sperimentazione filmica, radiofonica, elettronica, fotografica... Nel 1990 mi sono rimesso a scrivere canzoni con l'idea di creare un cd. Ma le derive del mio percorso verso diverse discipline hanno reso questo obiettivo incredibilmente accidentato, e mi hanno fatto inseguire per anni un altro obiettivo, ovvero quello dell'opera completa, dove canto, recitazione, film, radio, teatro potessero fondersi in un tutt'uno. Nel 2010, dopo 10 anni di messa a frutto delle scorribande artistiche precedenti, ho conosciuto Catherine Costanza, un'editrice francese, che mi ha spinto a produrre un cd di canzoni e musica da camera su materiali più recenti; così è nato Il giardino disincantato. Successivamente ho rimesso mano ai brani precedenti, integrandoli con pezzi nuovissimi e finalmente L’agguato, l’abbandono, il mutamento è arrivato a compimento.
 
2.            Quanto la tua produzione di video influenza quella dei cd?
Non saprei. La cosa chiara per me è che non parto mai da un'idea di musica pura, fondata su sistemi. Molto raramente. È come se alla fine io fossi un autore che utilizza suoni, immagini, parole. Allora ogni disciplina influenza anche l'altra. Ma non credo che i miei video abbiano influenzato le canzoni. Caso mai il contrario, i temi che affronto nelle opere musicali/letterarie influenzano spesso i video, perché partendo da immagini sonore o verbali è facile passare a vere immagini ferme o in movimento.
 
3.            Spiega il titolo del cd.
Il titolo originale era L’agguato, l’abbandono, la metamorfosi. Questo almeno ai primordi, verso il 1992/93. forse dopo. Poi si trasformò in L’agguato, l’abbandono, il paesaggio, verso il 2001/2002. Infine, è diventato quello attuale. Avevo da sempre in testa l'idea dell'agguato, così come ne parla Carlos Castaneda nei suoi libri. L'Arte dell'Agguato. Il Veggente non si distrae mai, è sempre pronto perché è un guerriero. Nel corso della vita ci accadono eventi che ci tendono agguati, e ci fanno abbandonare o rivedere le nostre posizioni. Un amore, una perdita, una malattia, una vincita... Allora avvengono dei cambiamenti, a volte profondi. Tutto qui. I testi parlano di abbandono, di paesaggi, di impronte lievi, di fulmini a ciel sereno, di boschi dalle lentiggini in fiore, del nulla che avanza (come ne La storia infinita di Ende).
 
4.            Come hai lavorato con il tuo ensemble: usi i musicisti in blocca o li dividi per piccoli gruppi?
Dipende dai brani. Nel lavoro precedente, Il giardino disincantato, c'erano brani per l'intero ensemble e brani per organici più piccoli. In questo ci sono organici diversi, anche per la ragione che le registrazioni hanno date diverse. Mi sembra comunque interessante il fatto che una band possa acquisire le caratteristiche di un ensemble da camera, frammentandosi all'occorrenza anche in piccoli gruppi. I primi ad adottare questa prassi credo che siano stati i Popol Vuh nel 1970 (Hosianna Mantra), poi i Penguin Cafe Orchestra, già nel 1976 con l'uscita del loro primo album, ma in seguito anche gruppi rock come i King Crimson hanno adottato l'idea di band-progetto.
 
5.            Come nascono i testi delle canzoni, da dove prendi spunto?
Credo che provengano da immagini archetipiche. Cerco di usare le parole con molta libertà, le accosto in cerca di immagini più complesse. Ma i miei testi alla fine parlano di amore e morte, di ordine e disordine, di paesaggi in lenta trasformazione. Fondamentale è stata l'influenza, almeno all'inizio, di Pasquale Panella nel suo lavoro con Lucio Battisti, ma anche di Fabrizio De André, e sicuramente di molti poeti/cantautrori inglesi-americani, penso a Peter Hammill, Bob Dylan, Leonard Cohen, David Bowie, più recentemente David Sylvian, soprattutto nei loro testi più visionari.
Ultimamente, in nuovi lavori, sto sperimentando forme di poesia automatica attraverso la creazione di database in cui raccolgo sostantivi, verbi, aggettivi, avverbi, e li combino liberamente. A volte distruggo la semantica del discorso traducendo decine e decine di volte con Google Translator (BÜROTIFULCRAZY e IMPURE WAVES). Ho creato anche collage di frasi copiate spudoratamente da chat su facebook (HIN UND ZURÜCK). In passato ho sperimentato una forma di video dove al verso poetico si possono sostituire sequenze di immagini. Insomma, versi come semplici azioni, a volte dirette, a volte più oscure, comunque dense di significati.
 
6.            Sei un polistrumentista e nel cd suoni parecchi strumenti, è per te necessario suonarli in prima persona? Com'è il rapporto con gli strumenti che suoni?
E' una sensazione molto fisica, ma anche mentale. Sì, mi piace da morire suonare molti strumenti; quando so tirarne fuori pochi suoni, allora utilizzo giusto quelli. Fa molto bene all'autocontrollo e soprattutto all'autostima. Inoltre mi permette di avere una panoramica generale su molte problematiche. Nel 2013 ad esempio dovevo preparare un concerto con OTEME su rielaborazioni di brani country-blues, dall'archivio di Alan Lomax. Mi misi a studiare violino per alcuni mesi e riuscii ad eseguire un pezzo country; siccome ero non troppo intonato, allora decisi di aggiungere l'armonica a bocca da suonarsi contemporaneamente; la cosa si rivelò magica, il suono acquistava maggior controllo e inoltre il tutto ricordava proprio le registrazioni ascoltate su youtube del vecchietto con il fiddle, insomma era esattamente quella atmosfera, ma mossa dal suo contesto usuale.
Non occorre saper suonare bene tutti gli strumenti, a volte basta un'idea che funzioni veramente. Negli anni ho scoperto che gli strumenti che mi danno più soddisfazione sono il banjo e l'armonica a bocca. Ho provato a studiare clarinetto, a mettere le mani sul flauto traverso, ma ho sentito immediatamente che la cosa non faceva per me. Invece il violino mi ha dato la scossa, ed ogni tanto ci metto le mani sopra (naturalmente con scarsi risultati, poiché bisognerebbe studiare molto).
 
7.            Sei anche insegnante, come concili l'attività di insegnamento con la composizione? Trovi energie nei giovani?
Fintanto che insegno alla scuola privata ed ho la possibilità di decidere io i programmi, la cosa funziona molto bene. Gli anni in cui ho insegnato nella scuola pubblica (Liceo Musicale) sono stati un delirio, soprattutto per la burocrazia e la disorganizzazione. Dico questo non perché ce l'abbia con la scuola pubblica, ma semplicemente perché perdevo molto tempo (e diciamocela tutta, anche un po' di soldi) – inoltre, e qui si aprirebbe un tema enorme, la scuola pubblica configura se stessa e chi cattura, come l'attività principale, confermando ancora una volta che gli artisti sono visti come un disturbo burocratico al normale burocratico svolgersi delle attività scolastiche.
Nella situazione in cui mi trovo attualmente, ovvero alla Scuola di Musica Sinfonia, insegno chitarra, solfeggio, composizione, ed ho un bell'ensemble di studenti chiamato Laboratorio OTEME, che funge un po' da serbatoio per i progetti con OTEME. La maggior parte sono giovanissimi (dai 15 ai 20 anni), più un paio di adulti. Il repertorio che affrontiamo è sostanzialmente pop-rock, spostato dal suo contesto usuale ed inserito in una cornice cameristica. Un ensemble un po' alla Penguin Cafe Orchestra, tanto per intenderci, fatto di flauti, violini, sax, chitarre, tastiere, voci, basso, senza batteria.
Il Laboratorio OTEME sta ad OTEME come il mio gruppo di studenti Panta Rei stava negli anni 90 all'Ensemble Teatro del Faro; anche all'epoca avevo un gruppo professionale a cui si accostava periodicamente un'orchestra studentesca, e a volte si producevano lavori insieme.
Questa operazione mi dà la possibilità di studiare sul campo gli arrangiamenti, sperimentare impasti sonori curiosi e ibridi e al tempo stesso non è infrequente che si crei dialogo fra i due gruppi (nel 2013/14 ad esempio sono riuscito a formare una specie di orchestra vera e propria in cui suonavano gli archi della Scuola di Musica Sinfonia – alcuni di loro anche parte del Laboratorio), OTEME, e altri aggiunti; con questo organico ho prodotto BÜROTIFULCRAZY, un'opera radiofonica per la Deutschlandradio Kultur); tutto ciò alla stessa maniera di come nel 1997 realizzammo La città nascosta unendo i tre gruppi Panta Rai, Saxophonia e Il teatro del Faro, dando così origine alla Vaga Orchestra).
Parallelamente ho anche un ensemble variabile di allievi delle classi di solfeggio, con cui abbiamo realizzato ad esempio Clapping music di Steve reich, In C di Terry Riley, e nel 2015 il mio brano per voci, penne e leggii, The composers’ sessions.
Dunque, per rispondere alla tua domanda, sì, l'insegnamento si interseca con il mio lavoro di compositore e cerco il più possibile di non tenerlo separato dalla creazione artistica.
 
8.            Quali i lavori in corso?
Sono ancora da molto tempo (forse 2 anni) su di un progetto di radio-western, qualcosa come un film di cow-boys, ma senza immagini, finalizzato all'ascolto radiofonico. È una commissione per la SWR di Baden-Baden, per la quale ho realizzato in passato Amore mio (2012), Dialoghi (2009), Shelters and traps (2008) e Il tempo cambia II (2003). Vado lentamente perché nel mezzo entrano altri progetti a cui per svariate ragioni a volte devo dare la priorità. E poi perché questi lavori per la radio mi richiedono molta energia. Di questa nuova opera in pratica firmo il soggetto, la sceneggiatura, faccio la produzione, gli arrangiamenti... insomma è una marea di lavoro.
Sto anche pensando ad un nuovo lavoro per OTEME, per un successivo cd da pubblicarsi fra un paio di anni.
Ci sono inoltre in corso diverse collaborazioni. Una, recente, con Claudio Milano, grande cantante, compositore e performer a cui ho dato i miei arrangiamenti nel suo ultimo CD UKIYOE per la Snowdonia Records, una collaborazione di OTEME con i Maisie, gruppo siciliano residente a Busto Arsizio, altre incursioni in mondi altrui, in arrivo.
 
 
 
 http://stefanogiannotti.com/
 





Renzo Cresti - sito ufficiale