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Musica e sport
Il caro amico Sergio Pannocchia, oltre a essere il direttore infaticabile della Rivista "Il Grandevetro", era anche un appassionato di calcio (è stato anche allenatore, suo cugino Renzo Olivieri è personaggio importate nel mondo dei mister, e assessore allo sport del Comune di Santa Croce sull'Arno), dedicò, nel 1998, un numero de "Il grandevetro" a Gianni Brera, recentemente scomparso e di cui Pannocchia fu amico. Su quel numero unico, scrissi un articolo che venne intitolato In cauda venenum, parole e musica.

C'è una data ufficila eche sancisce la nascita del rapporto fra musica e sport, il 776 a. C., anno dei primi giochi a Olimpia nell'antica Grecia. In quelle occasioni dei cori eseguivano dei canti in onore ai vincitori dei vari giochi atletici, si chiamano Epinici e diverranno famosi quelli intonati a Delfi e ad Atene. Le antiche olimpiade rappresentano il primo momento di una rapporto che mai verrà interrotto e che diverrà molto popolare.

Con la danza il rapporto è evidente, essa può avere delle caratteritiche decisamente atletiche. Con la musica il rapporto non è fisico, ma si basa su elementi strutturali che potremmo definire gli aspetti del gioco ovvero occupazione dello spazio e costruzione del gioco nel tempo. Musica e gioco hanno affinità profonde, sottolineate più volte, per esempio da Kant e da Stravinkij. Si tratta di aspetti elementari, sette note o calci a un pallone, e altrettanto semplici regole di gioco, che poi vengono intepretate e variate all'infinito nelle tecniche più disparate. E' proprio questo aspetto ludico e astratto del gioco che rende la musica una sorta di 'linguaggio' universale. In fondo, la musica e il gioco sono la metafora dell'eterno ritorno del sempre uguale (le note, le regole, i calci e il pallone) nel sempre differente (i ritmi e le melodie, lo schema di gioco).

Più ci si allontana dalla semplicità del gioco e più la musica diventa specialistica, complessa, non più legata all'immediatezza della cultura antropologica: nella contrapposizione fra natura e cultura, indubbiamente è la musica pop ad avere le caratteristiche d'immdiatezza comunicativa, proprio perché basata su leggere varianti espressive di un semplice modello formale già conosciuto da tutti. Lo stesso discorso vale per il calcio che, pur nelle sue varie letture tattiche, rimane legato a moduli immutabili che chiunque riesce a interpretare, almeno in una prima lettura (ch'è poi quella che contsa per instaurare un rapporto fra cultura, evitando il gioco ermeneutico della complessità).

Nel secolo scorso c'è stato un periodo, anni Dieci e anni Venti, in cui molti compositori si dedicarono a scrivere brani in cui la musica descriveva momenti sportivi. Il grande autore francese Arthur Honneger scisse Pista di pattinaggio e Rugby, mentre il moravo Bohuslav Martinu compose Metà partita; in generale la relazione con lo sport s'inquadrava nel nuovo dinamismo della vita moderna, nella sempre più massiccia urbanizzazione e massificazione (elementi che il Futurismo aveva analizzato). Però, più la massificazione diventava generalizzata e alienante e più i musicisti e gli intellettuali si ritiravano dagli aspetti che la modernità stava esaltando, sport compreso.

Ancora oggi la cosidetta alta cultura guarda con invidioso sospetto il successo planetario dello sport e del calcio in particolare. L'hight kultur continua a perpetuare la metafora adorniana del messagio nella bottiglia. Soprattutto il calcio e il rock, che sempre più si sono affermati come le uniche e vere 'lingue' universali all'interno della globalizzazione, vengono indicati come responsabili del processo di imbastardimento della massa, la quale però non può essere ancora vista come l'annullamento della coscienza critica, ma come la nostra stessa condizione di uomini globalizzati, mercificati, massificati senza scampo. La società di oggi ha bisogno di una langue comune bassa, il che non vuol dire stupida, per entrare in una comunità multiculturale e multiraziale sempre più allargata.

Poche sono le letture intelligenti dello sport, a parte il riconosciuto valore di formazione fisica, forse il solo Pasolini ha scritto pagine poetiche sul calcio. Anche dai compositori, soprattutto da quelli provenienti dalla cosidetta musica colta, lo sport e il calcio viene visto con sufficienza. Le canzoni da stadio sono state lasciate alla musica leggera, in un eterno adattamento di pochi motivi alle varie situazioni. Il fenomeno, fra l'aberrante e il ridicolo, del calcio parlato in televisione, altro non è che la riproposta delle chiacchiere da bar, si passa così dal linguaggio universale del calcio gicato a un dialetto marginale. Fra il gioco e le parole non c'è rapporto, come dice Adorno a proposito di Achille e di Omero, "uno ha la vita e l'altro la descrive".

Le parole allo sport non sono sovrapponibili, in quanto le parole rimangono tali, tautologicamente, come la critica rispetto alla musica. E' un segnale di stanchezza: la nostra società è ridiventata bizantina, l'uomo in pantofole si fa guardone.

Lo sport s'impone, quanto il rock e la musica elementare, come linguaggio universale (e d'immaginario collettivo) proprio in quanto gioco, fisico, esente da intellettualismi e vive, come gli animali, fra l'erba e il cielo.

La vita va vissuta, la musica musicata, il calcio calciato, forse ne scriviamo perché non sappiano vivere, cantare, giocare.





Renzo Cresti - sito ufficiale