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Lo sguardo, il suono e il segreto
La Rivista "Il Grandevetro", sulla quale ho scritto per più di vent'anni, dal 1986 al 2006, dedicò un interessante numero allo sguardo, sul quale venne pubblicato questo mio contributo. Da Renzo Cresti, Fra le note, Rivista "Il Grandevetro" n. 71, Santa Croce sull'arno ottobre 2005.



Lo sguardo e il suono, il tempo estatico e il mistero

Lo sguardo ha molto a che fare con la musica e con la danza e il teatro e ovviamente la pittura e la scultura, in quanto sono arti che si rifanno a quell'innefabile comunicazione non verbale che tocca aspetti stra-ordinari, eccentrici rispetto alla concretezza semantica e concettuale della parola. L'arte dei suoni è stra-vagante, oltrepassa la piattezza del rumore quotidiano, scava dentro all'essere dell'uomo e al suo esserci, guarda dietro al significato usuale delle cose, spesso illuminandole di un senso nuovo, più profondo e dinamico.

Lo sguardo è una riduzione rispetto alla lingua delle parole, ma proprio questa riduzione consente un'apertura ulteriore, un'amplificazione degli aspetti emotivi. Sguardi e musica appartengono a quel particolare linguaggio degli innamorati, quando un nonnulla si carica di un senso profondo, quando un "ti amo" vuol dire tutto e viene ripetuto all'infinito. Lo sguardo e il suono mostrano l'essenziale. Lo sguardo inaugura il tempo dell'amore che si costituisce quando si instaura la relazione con l'amato, un tempo estatico, dove il linguaggio viene trasceso e diventa un'espressione rivelativa. Rivelazione del Sè originario, ma pure del collettivo che in quel Sè è annidato e dalle vibrazioni di energia che quel Sè raccoglie.

Lo sguardo, come la musica, esprime un tempo puro che oltrepassa il tempo reale, realizzando un quid che redime dal tempo ordinario. Il tempo estatico dello sguardo è sacro, com'è sacro il suono, perché è tempo assoluto, dimora nelle prossimità del misticismo che ha parentela con mistero. Solo lo sguardo interiorizzato, come il suono, ci porta nelle prossimità di quel mistero che ciascuno è per se stesso, mistero che nessuna parola può raggiungere perché la profondità della nostra psiche è linguisticamente impraticabile. Potremmo dire che lo sguardo è il luogo del mistero, irraggiungibile per il linguaggio verbale che deve fermarsi sulla soglia dell'inesprimibile, da ui l'importanza, sostanziale, del silenzio.

Lo sguardo e i suoni ci portano a casa, nella prossimità del noi con il noi stesso, ma la prossimità non è il centro perché questo è un nocciolo duro non-conoscibile, è lo scarto fra il noi-vero e ciò che ne sappiamo: è il pozzo senza fine, è l'infinito ch'è in noi. Un infinito leopardiano, quello che intimoriva Pascal quando diceva: "gettato nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e che non mi conoscono". Se dunque l'universo non ci conosce, il nostro infinito, il noi-vero, è gratuito. Non serve molto ragionare intorno a questa verità perché è irriducibile al linguaggio, possiamo solo evocarla o vederla rispecchiata nello sguardo o comunicata attraverso il suono.

Ogni sguardo nasconde un segreto che va svelato e, contemporaneamente, tenuto celato. Anche le opere d'arte racchiudono dei segreti che vengono svelati di volta in volta, di epoca in epoca, in un disvelamento continuo che mentre svela anche ricopre. Il segreto è un pathema, un limite per il discorso. Lo sguardo e l'arte hanno qualcosa di magico che ci permette di approdare in terre del tutto particolari, dove con-vivono pulsione e istinto, eccitazione e depressione, mente e cuore, viscere e intelletto, corpo e spirito, acqua e fuoco, aria e terra, luce e tenebre, realtà e fantasia, popolo e individualità, maschile e femminile, esperienza del margine e fluttuazione di ogni confine.

Oggi si fa un gran parlare di comunicazione che però è dispersa nel mare magnum dell'entropia, siamo dentro l'occhio del ciclone, ci passano accanto immagini, suoni, parole e (f)atti, ma nulla ci tocca veramente; il rapporto comunicativo diventa impalpabile e sermpre meno proviamo sentimenti autentici. Più è grande l'entropia e più aumenta la nostra solitudine.

Lo sguardo come il suono non si riferiscono a un ragionamento, a un discorso, non sono narrazione perché hanno modi e tempi particolari che rimandano a un processo in verticale, come avviene, per esempio, nel 'linguaggio' delle leggende e dei miti. L'indicibile diventa dicibile grazie allo sguardo che esprime un di più, un di meglio, un altro modo, esprime quell'affondo di cui parla Adorno, quello che scrive Rilke: "ciò ch'è semplice, quel che, plasmato, di padre in figlio vive."

Da un suono nasce la vita ed è dallo sguardo che prende forma la creatura, quel divinum quid che solo l'ingenium dello sguardo o del puro suono può esprimere. Nel silenzio espressivo dello sguardo nasce Eros, che merge dall'occhio in un istante di grazia. In un momento felice e feroce dallo sguardo sporge il senso profondo del vivere, l'erranza e il pathos, il sorriso e la gioia, il dolore e la morte che, come la musica ci ha insegnato, con Eros va a braccetto.






Renzo Cresti - sito ufficiale