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La musica in Cristina Campo e di Guido Guerrini
Vittoria e Guido Guerrini 

 

Vittoria Guerrini è conosciuta come Cristina Campo, ma è bene ritornare al suo vero nome per scoprire quanto la musica abbia avuto un ruolo importante nella sua vita e nella sua poetica, specialmente la musica religiosa in genere e liturgica in particolare. Del resto è comprensibile che nella sua esigenza di meditazione la musica abbia contribuito profondamente allo scavo interiore che Vittoria Guerrini praticò per tutta la sua vita, riallacciandosi alla “poetica dell’attenzione” desunta originariamente da Simone Weil. La sua passione per la musica deriva dall’ambiente familiare, il padre Guido Guerrini fu infatti un valente compositore, didatta e organizzatore musicale. Nato a Faenza nel 1890, si diplomò in violino al Liceo musicale di Bologna, dove, dal 1920 al ’24, ricoprì la cattedra di Armonia, per passare poi al Conservatorio di Parma dove insegnò Composizione. Nel 1928 venne nominato direttore del Conservatorio di Firenze, qui, dal 1931 al 1933, collaborò con  Vittorio Gui alla fondazione del Maggio Musicale Fiorentino; a quegli anni risalgono anche importanti esecuzioni, come quella della Missa pro defunti, per soli, coro e orchestra. Dal 1947 al ’49 diresse il Conservatorio di Bologna e, infine, quello di Roma, incarico che mantenne fino al 1960. A Roma fondò il Collegio di musica al Foro Italico e l’Associazione Giovanile Musicale (l’AGIMUS che tanta importanza avrà fino ad anni recenti). A Roma morì nel 1965.

Guido Guerrini fu autore di manuali, come il Trattato di armonia (stampato a Bologna nel 1922), fu saggista, interessandosi alla vita e all’opera di Ferruccio Busoni (che fu uno dei suoi insegnanti durante gli studi svolti presso il Liceo bolognese), ma scrisse anche su Vivaldi e Verdi (di Vivaldi, come di altri compositori, quali Corelli, Carissimi, Sammartini, Boccherini, Locatelli, Cimarosa e altri, realizzò revisioni e trascrizioni). Come compositore fu molto prolifico e toccò pressoché tutti i generi, dalla musica per film a quella per Banda, dalla musica teatrale a quella sinfonica, dalla musica da camera a quella religiosa, quest’ultima pare la migliore, e dobbiamo almeno ricordare: la giovanile Messa in onore della Madonna per coro a due voci, archi e organo (1917), Il pianto della Madonna per soli, coro virile e organo (1931), Il lamento di Job per basso, archi, pianoforte e tam-tam (1938), La città beata, Cantata da camera per basso, coro femminile e orchestra da camera (1942), La città perduta, Cantata biblica per mezzosoprano, basso, coro organo o armonium (1943), Missa tertia per coro a tre voci e organo (1944) e ancora il Venite in æternum a due voci uguali, l’Ave Maria ancora a due voci uguali e altro, sono brani che meriterebbero di essere eseguiti regolarmente, per la nitidezza della scrittura e per l’espressività ispirata che, spesso, si rifà all’amato Canto Gregoriano[1]. Nella sua produzione religiosa, che appartiene prevalentemente al periodo di mezzo, anni Trenta e Quaranta, si nota una predilezione per il culto mariano e per argomenti biblici; espressivamente ha un carattere schietto, vi si percepisce l’autenticità dell’ispirazione, che sgorga spontanea e sincera, ma ben controllata da forme robuste e da un solido progetto compositivo, il quale si basa su stilemi tardo romantici, su un tessuto armonico sostanzialmente diatonico e su una melanconica melodia.

L’ispirazione purissima, il tratto espressivo semplice e genuino, il rifiuto dei tecnicismi e l’amore per una forma limpida e chiara, per un’eleganza formale che sia specchio di una grazia interiore, sono caratteri che passano da Guerrini a sua figlia Vittoria, la quale non solo vive la musica come un aspetto essenziale della vita domestica ma riprende da quest’arte ineffabile, dove lo spazio diventa stra-ordinario e il tempo diventa tempo interiore, dov’è assoluto il fascino del mistero, del comunicare attraverso i suoni ciò che è inspiegabile con concetti e parole. Musica e religione, musica e rito hanno dunque qualcosa che le unisce in profondità. È seguendo questo percorso che Vittoria si avvicina alla musica e fa della musica un riferimento imprescindibile della sua vita e della sua attività di scrittrice e di organizzatrice. Fra l’altro pare avesse l’orecchio assoluto.

Nel paragrafo intitolato Con lievi mani, dal libro Gli imperdonabili, Vittoria Guerrini fa riferimento a un termine retorico, molto utilizzato in ambito musicale, la sprezzatura,[2] che per lei «È un ritmo morale, è la musica di una grazia interiore; è il tempo nel quale si manifesta la compiuta libertà di un destino».[3] La sprezzatura dunque, come il canto per i neo-platonici, non è un atteggiamento tecnico ma morale: lo stile è inseparabile dal comportamento di chi lo realizza, l’e(ste)tica si contrae in etica. La frase si avvicina alla parola liturgica che richiede di essere cantata, per perdere la sua pesante concretezza ed elevarsi alla gioia del puro spirito.

La bellezza non è una mera questione di simmetrie, ma riguarda l’anima, se questa è pura la bellezza risplenderà di una verità interiore, altrimenti sarà una bellezza vuota ed esteriore (quella vacua che l’inciviltà dei consumi ci propina quotidianamente).

Nel libro citato Vittoria Guerrini fa riferimento al rigore della scrittura di Bach, quale salutare esercizio alla sorveglianza del proprio sé, quasi disciplina cistercense; contemporaneamente cita anche Chopin e le danze, quale forme stilizzate di una «Bellezza affilata […] messaggera dell’ineffabile».[4]

Il rito religioso diviene per lei un’esperienza catartica, un rito che esalta i sensi col canto e con le immagini, con i gesti del celebrante che acquista quasi un significato teatrale, un rito che porta all’estasi, fuori dallo spazio quotidiano della realtà bruta, come il significato etimologico della parola Leitourgia che significa “servizio del tempio” che è in sé una forma artistica del mistero divino: Papa Paolo VI, in una comunicazione Alla pontificia commissione di arte sacra (1969), ribadirà che «La Liturgia, nell’impiego dei molti segni sensibili dimostra la sua vocazione artistica». I gesti del sacerdote sono solenni e trepidanti, hanno il compito di sottolineare l’unità e la grandezza del mistero del Signore che è in noi. L’arte e la musica contribuiscono a creare il clima espressivo idoneo alla preghiera, svolgendo un ruolo di mediazione fra il mondo sensibile e quello dello spirito, una funzione simile alla scala di Giacobbe che discende e sale, portando il divino all’uomo e innalzando il mondo terrestre a Dio. Vittoria Guerrini fu sempre affascinata dal compito che la musica ha all’interno della Liturgia, subendone il fascino arcaico e fu per il suo amore per la ritualità antica che preferì rivolgersi alla Chiesa ortodossa.

Cristina Campo è stata una agguerrita e tenace protagonista della vita liturgica all’indomani della svolta operata dal Vaticano II, nel senso di difendere con ogni mezzo la liturgia nata con il Concilio di Trento. […] La Campo fondò un’associazione chiamata “Una voce”, per la difesa a oltranza della liturgia tridentina e chiamando attorno a sé un gruppo di estimatori di quell’antico rito. […] Volle intitolare la sezione romana di “Una voce” a suo padre, appassionato di Canto Gregoriano e che prima di morire aveva progettato di far registrare l’intero Anno liturgico dai benedettini di Sant’Anselmo a Roma[5]

La stessa Campo cercherà d’istituire una scuola di Canto Gregoriano e si recherà, con dei volontari, a visitare le abbazie dove ancora si cantava in latino, registrando i canti e distribuendo fra gli amici dischi dei cori dei monasteri di Solesmes e Beuron, dove ancora s’intonano l’Introito, il Graduale, il Responsorio. Fra gli ammiratori dell’antica Liturgia vi era, proprio a Firenze, Tito Casini che fu autore di un violento scritto contro la nuova liturgia (intitolato La tunica stracciata, Firenze 1967). L’amore per il rito arcaico porterà Vittoria Guerrini a sostenere Mons. Lefèbvre, in un errore di valutazione che, per comprenderlo correttamente, va inquadrato nel clima polemico che seguì il Concilio Vaticano II, poi i movimenti culturali legati al ’68 e quindi i turbolenti anni Settanta. In ogni caso occorre riconoscere alla Campo il suo amore, vero e sincero, per la Chiesa, animato da un fuoco interiore per la bellezza dell’antico culto. Non a caso fu amica di Marius Schneider, l’importante studioso di antropologia musicale che aveva, in comune con Vittoria Guerrini, gli interessi per i riti, per le icone, per il simbolismo arcaico, per la spiritualità primitiva.

In conclusione occorre citare pure l’esperienza che Vittoria Guerrini fece con il suo compagno, Elémire Zolla, quando questi, nel 1969, fondò la rivista «Coscienza religiosa» (che fu stampata per 4 anni). Quell’esperienza allontanò, sia nella vita privata sia nel lavoro, Vittoria dal suo compagno, sempre più preso da un’ideologia che avvicinava al satanismo ogni conoscenza religiosa progressista. Vittoria abbraccerà il rito bizantino slavo e si circonderà di un gruppo di esperti di icone, come Mons. Cesario D’Amato, di studiosi di musica sacra, come padre Benedetto Lenzetti, e di cultori della religione ortodossa.

La musica fu dunque per Vittoria Guerrini un simbolo di spiritualità e di perfezione che corrispondeva perfettamente al suo temperamento lirico e poetico. Ciò che non percepì, nella sua infatuazione per l’estetica del rito ortodosso, furono i cambiamenti che invece il Concilio Vaticano II mise in atto per meglio relazionarsi alla vita e all’etica moderna. Anche la musica non poteva rimanere ferma alla perenne riproposizione del Canto Gregoriano (o per altri versi allo stile di Palestrina) ma doveva, pena la sua esclusione dalle dinamiche della storia, coordinarsi con ciò che stava avvenendo nel mondo dell’arte e della società, senza nulla perdere in profondità del sentire, manifestandosi con quella sincerità e veridicità che sono proprie dell’autentica musica religiosa, ma con mezzi, forme e sentimenti dell’uomo contemporaneo.


[1] La gran parte delle composizioni religiose furono stampate dalla rivista «Laus Decora» di Como, dal 1954 in avanti. Da notare che la nitidezza della scrittura (musicale) passerà alla figlia, dotata di un linguaggio (letterario) cristallino; anche la sincerità dell’ispirazione accomuna padre e figlia.
[2] Il termine fu utilizzato, fra la fine del 1500 e l’inizio del secolo successivo, nel momento in cui prese forma il primo Melodramma, per indicare un particolare modo di cantare, fraseggiando melodicamente il testo.
[3] Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adephi, Milano p. 100.
[4] Idem, p. 105.
[5] Carmelo Mezzasalma, Tra due sponde: la musica sacra a Firenze e oltre, in Firenze e la musica italiana del secondo Novecento, a cura di Renzo Cresti ed Eleonora Negri, LoGisma, Firenze 2004, 188-191.



Da Cristina Campo, la vita dell'interiorità redenta, Edizioni Feeria, Panzano in Chianti 2012.


 



Renzo Cresti - sito ufficiale