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Attualità di Stravinskij
Attualità di Stravinskij



Stravinskij nostro contemporaneo


L’attualità di Stravinskij è indiscutibile, la sua musica ha saputo farsi amare dal grande pubblico e dalla critica (1) ed è diventata punto di riferimento per le ultime generazioni di compositori di tutto il mondo. Non è più l’epoca dei musicisti da lavagna (come diceva Cocteau) e dei messaggi nella bottiglia, dobbiamo sostituire l’idealistica metafora di Adorno con una quotidiana operatività che, grazie a una segnaletica chiara ed esplicita (che non vuol dire accondiscendente ai gusti del pubblico) sappia farsi viatico di collegamento fra Opera e Mondo (Heidegger). Per parlare in termini di musicologia tradizionale, la contrapposizione fra Schönberg e Stravinskij, così come l’ha impostata Adorno, non ha oggi senso, va semmai vista come una contra-posizione, ovvero come occupazione di spazi operativi diversi. Di questi spazi quello che si è dimostrato più aperto e trasversale è senz’altro quello stravinskiano, meno monolitico, non solo tecnicamente, ma anche culturalmente ed espressivamente, sa aprirsi a ventaglio e cogliere fermenti diversi, in una disponibilità anche verso quella frugalità della vita di tutti i giorni, spesso disprezzata dall’idealismo. Nel far convivere il problema rigoroso della forma con le varie esigenze di ascolti mutevoli (razionalistici, psicologici, intuitivi, ludici etc.) sta uno dei maggiori problemi della musica contemporanea, già affrontato e felicemente risolto – con gli strumenti della sua epoca – da Stravinskij che, proprio per questo, può considerarsi un musicista attualissimo (2).

Lo stile musicale e ancor più l’atteggiamento mentale di Stravinskij, aperto e curioso, si inseriscono a pieno titolo in quel molteplice ch’è il tratto saliente della cultura (musicale) degli ultimi decenni. In un certo senso Stravinskij anticipa lo stile post-moderno, nell’utilizzazione pragmatica degli elementi storici, senza però banalizzarli, al contrario Stravinskij sa mantenere e trasmettere quella magia, quel senso rituale e del sacro che la vera musica comunica.

Non c'è dubbio che il musicista dell'inizio del III millennio sia un artista nomade, un apolide che ha superato il gravoso senso di responsabilità nei confronti della Storia e dello Stile, la prima sostituita con la geografia e il secondo con l'occasionismo: tutto è possibile, ciò che conta è la felicità della disposizione, tutti i materiali vengono costantemente rimodellati e ricombinati, senza divieti. Oggi sembra non esistere alcuna possibilità del "nuovo", ma solo un rimescolamento. Il musicista è un artigiano manipolatore, proprio come lo fu Stravinskij, padre della post-modernità.

Non ingannino le dichiarazioni di oggettivismo, quando Stravinskij dice che "considera la musica impotente a esprimere alcunché" (3), non intende negare la capacità di suscitare un coinvolgimento emotivo, ma prende le distanze da un ascolto passivo, abbandonato ai sogni, una presa di distanza necessaria per riscoprire un modo più virile per "amare la musica in sé e per sé", amare quindi la musica e non le proprie fantasie, come "una droga, un doping". E’ anche una rivolta alla retorica ottocentesca (quella del genio, dell’ispirazione, dei sentimenti passionali, dello psicologismo esasperato, delle anime belle….), era necessario prendere le distanze da una forma di comunicatività troppo umana, come quella degli espressionisti. Ma non è un voler paralizzare le funzioni emotive, anestetizzare i significati, è, molto più semplicemente, un riportare la musica, dopo il sublime romantico, su piani che le sono più consoni, forse anche più tradizionali, come quelli legati alla tipologia del classico.

Stravinskij, togliendo al suono i facili sentimentalismi da rotocalco, rida’ al suono una nuova dignità, spogliandolo non solo dalla poetica romantica, ma anche da teorie positivistiche, da ogni ideologia e sociologismo; così il suono, finalmente nudo, "naturale", secondo quanto dice Schneider, torna a esprimere le proprie ragioni: "io compongo a contatto diretto con la materia sonora" (4). E’ questo "contatto diretto" con la dimensione del suono che conduce a una forma naturale, quasi estemporanea, che descrive l’essere (musicale) tale e quale è, l’essere che ha luogo, che nel suo trasformarsi diventa ciò che è. I suoni si dis-pongono realizzando il proprio aver luogo, il loro essere così, come avviene nell’improvvisazione: "mi sentii spinto a improvvisare e mi abbandonavo a questa attività" (5).

Stravinskij non è quel cinico speculatore descritto dai suoi denigratori, tutti fortemente emuli dell’ideologia adorniana (6), anzi può essere addirittura descritto, se si assume una prospettiva diversa e più classica, come l’artista "sentimentale", così come lo definì Schiller (7): "il vero poeta sentimentale è colui che ha la pura innocenza del bambino, la sua ingenuità nel modo d pensare". Nel modo di smontare e (ri)costruire i materiali musicali, Stravinskij pare procedere proprio come il bambino nei suoi giochi e il gioco, si sa, è metafora di vita. Come il bimbo, Stravinskij ha la capacità di possedere le cose. "E’ nel libero gioco che l’opera s rivela e si giustifica" dichiara il Maestro (8).

Nietzsche dice ch’è proprio nel puro giocare, senza funzioni e scopi, al di là delle proprie regole e delle finalità interne, che s’incontra il destino. E Stravinskij è un Maestro nei caleidoscopici giochi sonori il quale, senza mai cadere nella poetica della contaminatio e del pastiche, sa rispecchiare il continuo flusso vitale che, come una spirale, sempre gira intorno a elementi storici, nell’eterno ritorno del sempre uguale nel differente.

Stravinskij è un fagocitatore par excellence, ma in lui gli elementi che vengono ripresi si caratterizzano non per la somiglianza al modello, ma per la diversità, è la lontananza che interessa, la maniera nuova del trattamento, fatta di corrosiva ironia (sull’importanza dell’ironia nell’arte s’è scritto molto, purtroppo è rarissima nel serioso e sussiegoso panorama della musica contemporanea). In un certo senso, la lontananza assume la funzione dei vuoti nell’architettura. Non è sul modello formale, preso a pretesto, che si deve concentrare l’attenzione, ma sulla ricchezza di suono. Va evitato il rigor mortis della filologia musicale, che troppo spesso ha fornito la falsa immagine di una musica stravinskiana "fredda" e "tecnicistica". Il Maestro russo è molto attento all’organizzazione formale, ma si lascia prendere anche dal fortuito che, inatteso, incontra nel costruire e stimola la "fantasia" e il "capriccio" (9). Le forme storiche, che Stravinskij prende come punto di riferimento o di partenza, vanno intese non in maniera accademica, ma dinamica e in divenire: "la tradizione è cosa ben diversa da un’abitudine /…/ una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente" (10).

E’ il tempo musicale, assolutamente nuovo, che rende la musica di Stravinskij differente dalle forme tradizionali e straordinariamente attuale, un tempo non uniforme e cronometrico, ma che supera o contrasta lo svolgimento lineare, astraendolo. Spostando e sovrapponendo tempi e ritmi, decentrando le parti tematiche e melodiche, sommando tonalità diverse o tonalità e modalità, Stravinskij forma una temporalità musicale instabile, in quanto priva di punti di riferimenti certi, creando, di volta in volta, un ordine spazio/temporale originale.

L’insegnamento ritmico di Stravinskij è basato sui mutevoli accenti, sul metro desueto e sciolto (a volte di origine greco-orientale), l’ictus sta in sede eccentrica, mentre gli abbellimenti multipli tendono a rendersi autonomi: "il proprium di quest’arte è tendente non già a rinvigorire un ritmo salvandolo dall’ovvia scansione, quanto a rapprenderlo, a raggelarlo in fissità immote. Stravinskij inaugura, o almeno riprende dopo secoli, nell’ambito del tardo pensiero tonale, le formule magiche, gli abracadabra che impietrano" (11).

Stravinskij si avvicina alla musica non solo per curiosità intellettuale, ma per esigenze pratiche: gli interessa sapere come è fatta la musica e come si procede per farla. Le doti superbe del giovane Stravinskij sono dimostrate già nella Sinfonia in MI bemolle dove la tecnica armonica del tempo è padroneggiata mirabilmente. Successivamente sarà l’ambiente francese a indirizzarlo verso nuove acquisizioni, dopo Fuochi d’artificio che varrà Stravinskij il primo colpo fortunato della sua vita, quello di attirare l’attenzione di Sergei Diaghilew, conosciuto nei circoli d'avanguardia della Russia d'inizio secolo, dove il coreografo era già noto anche per aver fondato, nel 1898, la Rivista "Il mondo dell'arte". Ne L’uccello di fuoco (1910) è ancora evidente l'influenza orchestrale di Rimskij-Korsakov, col quale Stravinskij aveva studiato privatamente cinque anni, ma si individuano alcune caratteristiche tecniche che diverranno proprie allo stile stravinskiano: come l’accodo di nona di dominante sul quale gravitano anche gradi cromatici e ornamentazioni, e come il mantenere la scrittura armonica su un doppio binario, infatti le parti realistiche della storia del balletto ricorrono alla musica popolare di stampo diatonico, mentre le parti fantastiche utilizzano il cromatismo. Allo stesso metodo fatto di livelli contrastanti Stravinskij fa ricorso pure in Petrouchka (1911) in quanto le scene della fiera sono diatoniche con numerosi inserimenti di canti popolari russi, mentre la musica dei burattini è bitonale, le cui fondamentali stanno in rapporto di quarta eccedente; dall’unica cellula armonica dell’accordo naturale di nona vengono generati due nuovi nuclei, capaci, a loro volta, di vari sviluppi e impieghi (la stessa simultaneità maggiore-minore è ascrivibile all’alterazione dell’accordo di nona).

Ai ricchi aggregati armonici, che potremmo definire politonali e polimodali, della Sagra della primavera (1913) sono collegabili anche le estese zone melodiche. L'irregolarità ritmica è accentuata, con ripetizioni o esclusioni di certe parti interne alle frasi che spezzano la simmetria e giungono a notevole complessità, anche per la sovrapposizione di ritmi. La scrittura gira spesso attorno a poli tonali-modali, anche se tali poli vengono sottoposti a un allargamento che genera forti tensioni, in virtù di appoggiature non risolte, di accordi dissonanti o disposti su piani separati. Le linee melodiche o polifoniche sono generalmente basate su un diatonismo primitivo (su modi difettivi di cinque suoni). Molta attenzione è posta all’articolazione: fra il legato morbido e lo staccato secco, Stravinskij impiega tutta una serie di modi di attacco che conferiscono una tendenza dinamica a tutta la composizione (12). In questa prima fase fa uso della grande orchestra, poi, da Le Rossignol del 1916 in avanti, comincia a trattare gli strumenti singolarmente o in piccoli gruppi, in modo concertante, con il risultato di ottenere timbri puri e un tessuto orchestrale trasparente e leggero, come nella Histoire du soldat, dove si pone l'obiettivo di una tensione armonica anche con poche parti a disposizione.

Negli anni Dieci, nel panorama musicale europeo dominano il post-impressionismo e il post-wagnerismo, così le nuove sonorità dei balletti di Stravinskij fanno scandalo, ma sono destinate a durare poco, infatti nel 1919 la proposta di Diaghilew di scrivere un balletto basato sulla musica di Pergolesi (Pulcinella) orienta Stravinskij verso una sonorità e uno stile che saranno definiti "neo-classici" e che rimarranno costanti fino a La carriera di un libertino (1951). In Pulcinella le melodie sono tratte in modo rispettoso da Pergolesi, mentre la dimensione armonica si basa sulla polidiatonicità, creando zone ibride fra accordi, con note estranee e ostinati che forniscono una particolare spigolatura al blocco sonoro; ovviamente anche i procedimenti ritmici sono del tutto estranei allo stile settecentesco: asimmetria metrica, accenti spostati, sincopi ecc. Nel brusco accostamento, nella diversità fra il modello e il linguaggio di Stravinskij si pone la modernità di questa prassi che mai si inchina a uno schema, ma lo vivifica nei trattamenti a cui viene sottoposto, i filtri sono assolutamente inventivi e dinamici.

Nel travestimento dello stile classico, Stravinskij giunge a una stilizzazione davvero sorprendente, nell'oratorio Oedipus rex (1927) è come se il linguaggio della tradizione classica venisse schedato e filtrato attraverso una serie di elisioni e di deformazioni. E' questa la fase compositiva presa di mira dallo schieramento filo austro-tedesco, una fase ricca di affascinanti balletti come Il bacio della fata (1928), Giochi di carte (1936) e Orpheus (1947), di opere dal tratto personalissimo come Mavra (1922) e Persephone (1934), nonché di una ricca serie di Concerti, per pianoforte (1929), per violino (1931) o per clarinetto (1945) e di Sinfonie (1907-38-42).

Nello stesso periodo vedono la luce anche brani d'ispirazione religiosa; Stravinskij aveva abbandonato la fede ortodossa in gioventù, ma negli anni Venti ritorna alla religione d'origine e nel 1926 compone il testo slavo del Pater noster, seguono altre composizioni come il Credo (1933), l'Ave Maria (1934) e quindi la Messa (1944-48): in queste opere scompaiano sia l'irruenza del ritmo sia l'astrattezza del puro gioco, vi è invece una serena quiete diatonica, un uso delle modalità gregoriane rivolte alla drammatica invocazione, alla fervida preghiera, a una dolorosa interrogazione. Anche nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando Stravinskij rimedita sulla dodecafonia, vengono scritti brani religiosi come Canticum (1955), Threni (1958) e Sermoni (1961).

Come a Picasso, anche a Stravinskij vengono individuati vari stili, al di là delle classificazioni che sono troppo schematiche per costituire un serio discorso critico, va comunque notato che, dopo il periodo neo-classico, Stravinskij si sposta ancora e il suggerimento verso la nuova scrittura gli viene, in continuità con quanto aveva fatto fino ad allora, dallo stile pre-armonico, cioè dallo storico contrappunto quattro-cinquecentesco e dalla tecnica contrappuntista in sé, come procedimento tecnico speculativo. La Cantata del 1952 mostra come il Maestro voglia assimilare la polifonia antica alla decantazione della scienza armonica. Quando, in questa neo-polifonia stravinskiana, fa la sua comparsa la serie è inevitabile che la scrittura assuma tratti weberniani. Con la sua "conversione", Stravinskij non fa che affermare la liceità del relativismo contrappuntistico, già impiegato in campo diatonico, assegnando ai 12 suoni uguale importanza e relegando nelle zone meno evidenti le attrazioni tonali. La composizione di più stretta osservanza seriale è The flood (1961-62), dove la struttura è molto densa, risultante da un gioco stretto di intervalli, l'integrale cromatico è dato da un sommasi di quinte, le quali generano, nelle sette note inferiori, la scala di RE bemolle maggiore e nelle sette note superiori la scale di RE maggiore (la coppia di note Fa diesis-Sol bemolle e DO diesis-Re bemolle è comune alle due scale). Queste due strutture diatoniche si strutturano come piani mobili, sui quali si costruisce tutto il pezzo. E' questo un modo assai tipico di Stravinskij di avvicinarsi alla dodecafonia, che, se da una parte richiama Webern, dall'altra è anche affine a certi procedimenti di Berg, con ingegnosi richiami tonali e con una cantabilità pronunciata, esente però dai forti connotati espressivi (13).

E' indubbio che il suo spostamento negli Stati Uniti, avvenuto nel 1939, abbia giovato a Stravinskij nel chiudere il periodo neo-classico e nell'affrontare, da lontano quindi in maniera più distaccata, la problematica della serialità. Le prime composizioni americane sono ancora legate alla rivitazione personale del classicismo che si conclude nel 1951 con The Rake's progress, mentre con brani quali Settimino (1953), Tre canti da William Shakespeare (1953), In memoriam Dylan Thomas (1954), Canticum sacrum (1955) e altri brani d'ispirazione sacra, Stravinskij si mantiene in un'orbita d'impronta seriale, come nelle due ultime composizioni strumentali di grande respiro Movements (1959) per pianoforte e orchestra e Variazioni orchestrali (1964), dove il discorso musicale è denso e in continuo movimento e trasformazione, con una contrazione del tempo che rende ogni attimo sonoro profondamente ricco e caleidoscopico. Ancora una volta, quindi, Stravinskij da' prova della sua straordinaria duttilità a maneggiare tecniche disparate e, soprattutto, a ripresentarle in maniera assolutamente originale, tanto da lasciare in eredità non solo indimenticabili capolavori amatissimi da pubblico e critica, ma anche alle ultime generazioni di compositori un modo straordinariamente abile e libero di affrontare la materia sonora, fatto di mille sollecitazioni e di forza centripeta a un tempo, indicando la possibilità di conciliare curiosità e rigore.

Histoire du soldat

“L’idea dell’Histoire du soldat mi venne nella primavera del 1917, ma non potei svilupparla a quel tempo, poiché ero ancora occupato con Les noces /…/ scoprii il mio soggetto in un racconto di Afanas’ev, nella storia che mi colpì il soldato raggira il diavolo /…/ l’espediente del narratore fu adottato per soddisfare il bisogno di avere una specie di intermediario in due direzioni, cioè qualcuno che fosse un illusionista-interprete in mezzo agli stessi personaggi e nello stesso tempo un commentatore tra il palcoscenico e il pubblico /…/ le ristrettezze economiche previste per l’allestimento dell’Histoire mi costrinsero a usare un gruppo ristretto di strumenti, ma questa restrizione non fu una limitazione. La scelta degli strumenti fu influenzata dalla scoperta del jazz, il gruppo strumentale è infatti simile a quello della jazz band /…/ la prima idea tematica per l’Histoire fu la melodia di tromba-trombone all’inizio della Marcia /…/ la prima rappresentazione avvenne in un piccolo teatro vittoriano di Losanna /…/ le scene erano state disegnate ed eseguite da René Auberjonois /…/ la direzione dell’allestimento scenico della prima rappresentazione fu opera di Georges e Ljudmila Pitoëff” (14). Il libretto in francese fu steso da Rumuz, poi tradotto in inglese da Newmarch, Flanders e Black. Benché la storia abbia un’origine russa, si decise di non localizzarla per darle un respiro internazionale. La prima esecuzione avvenne al Té?tre Municipal di Losanna, il 28 settembre del 1918. Gli anni di guerra appena trascorsi portarono a identificare il soldato della storia nei soldati che avevano combattuto durante la prima guerra mondiale, anche se questa interpretazione non fu voluta dal Maestro, il quale voleva dare alla storia un significato universale, sulla falsariga dell’eterno motivo faustiano dell’uomo che rinuncia alla sua anima, in cambio di denari e di poteri straordinari.

La storia è quella di un soldato che vende il suo violino al diavolo e ne ricava in cambio un libro che risponde a tutte le domande, soddisfacendo i desideri. Al soldato pare trascorrere tre giorni col diavolo, ma in realtà sono tre anni, così quando torna al suo paese la madre e la fidanzata non lo riconoscono, allora il soldato cerca consolazione nella ricchezza, la quale però non lo fa felice. Straccia il libro e ricomincia una vita di avventura, durante la quale apprende che la figlia del re è malata e chi riuscirà a guarirla l’avrà in sposa. Andando a corte incontra il diavolo, i due si mettono a giocare a carte, il soldato perde tutti i suoi soldi ma riacquista il violino. Col suono di questo strumento guarisce la principessa e la sposa. Il diavolo giura di vendicarsi non appena il soldato varcherà i confini del regno. Un giorno, vinto dalla nostalgia del suo paese, il soldato tenta il viaggio verso il luogo natio, ma il diavolo se lo porta via.

La musica procede a incastri nell’azione, stando a volte un po’ in sottofondo, ma quando però la vicenda raggiunge il suo culmine drammatico, la musica esce in primo piano e ad essa è affidato il compito di descrivere l’azione. Il jazz, a cui accenna Stravinskij a proposito dell’organico, compare in un Ragtime, un modo per allontanarsi dalla “scuola russa” e per intraprendere ritmi e sonorità nuove. Oltre al Ragtime si ascoltano altre danze, come il Tango e il Valzer, intercalate da richiami a suoni che ricordano la fanfara. Altri riferimenti sono al Corale e al Preludio bachiano, ma tutti gli elementi vengono ridotti a un minimo comun denominatore, uniformati stilisticamente e resi perfettamente omogenei fra loro. La maggior parte del lavoro è basato su materiale diatonico, mentre il tema della Marcia del soldato è cromatico. L’organico strumentale prevede che siano rappresentati gli strumenti più significativi dal basso all’acuto, aggiungendo un gruppo di percussioni.

Il lavoro è diviso in due parti, entrambe iniziano con il tema della Marcia del soldato. Il finale è affidato alla percussione, come se questa riducesse al silenzio gli altri strumenti, solo il violino le resiste, lottando contro di essa, “in una specie di doloroso duetto. Alla fine anche il violino soccombe e la percussione continua sola fino alla fine. E’ come se Stravinskij avesse bruciato a poco a poco tutti gli elementi della sua musica, finendo con il metterne a nudo il vero scheletro: il ritmo” (15). Ma nonostante il dinamismo ritmico e l’articolazione fraseologica, la musica, soprattutto nella conclusione, risulta raggelata, volendo descrivere l’inesorabile destino dell’uomo, come nel finale delle Noces, “solitario e senz’anima”.



NOTE

  1. Ben due dischi hanno vinto, nel 2000, i Major Grammy Awards negli Stati Uniti: il premio per il "Classical Album" con Firebird, The Rite of Spring e Perséphone, diretti da M. T. Thomas; e il premio "Opera Album" con The Rake’s progress, diretto da J. E. Gardiner.
  2. Per queste tematiche Cfr. R. Cresti, Enciclopedia italiana de Compositori Contemporanei, III, voll., 10 CD, Pagano, Napoli 1999-2000. Cfr. inoltre R. Cresti Igor Stravinskij, attualità del Maestro russo a 30 anni dalla morte, sul sito internet www.orfeonellarete.it file “archivio”.
  3. I. Stravinskij, Cronache della mia vita, Feltrinelli, Milano 1979, pag. 52. E’ importante ricordare che questa autobiografia è stata stilata nel 1935.
  4. I. Stravinskij, Cronache della mia vita, op. cit., pag. 9.
  5. I. Stravinskij, Cronache della mia vita, op. cit. pp. 8 e 9.
  6. Cfr. Th. W. Adorno, Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino 1959.
  7. Cfr. F. Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, SE, Milano, 1986.
  8. I. Stravinskij, Poetica della musica, Curci, Milano, pag. 44.
  9. I. Stravinskij, Poetica della musica, op. cit. pp. 48 e 49.
  10. I. Stravinskij, Poetica della musica, op. cit. pag. 51.
  11. M. Bortolotto, Fase seconda, Einaudi, Torino 1969, pag. 29.
  12. Cfr. R. Vlad, L'architettura di un capolavoro, in Nuova Rivista Musicale Italiana, Gennaio-Marzo 1999.
  13. Cfr. R. Cresti, Ipertesto di storia della musica, Feeria, Panzano in Chianti 2004.
  14. R. Craft, Colloqui con Stravinskij, Einaudi, Torino 1977.
  15. R. Vlad, Stravinskij, Einaudi, Torino 1973.


A Rossella Spinosa








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