home
Nicola Farnesi, La vocalità e la teatralità di Franco Calabrese

LA VOCALITA’ E LA TEATRALITA’ DI CALABRESE

di Nicola Farnesi



Nelle testimonianze audio-video dei vari cd lasciati come eredità artistica di Calabrese o nei filmati che lo ritraggono su Youtube, è possibile delineare i tratti della sua eccelsa arte. La prima cosa che si nota ascoltando la voce di Calabrese è il suo bellissimo timbro da vero basso cantante. Oggigiorno bassi autentici ce ne sono ben pochi, sono pressoché bassi-baritoni; Calabrese invece, pur interpretando superlativamente anche ruoli più baritonali (vedi Conte delle Nozze di Figaro di Mozart), mantiene il colore tipico del basso in tutta la sua gamma vocale, dalle note più gravi a quelle più acute. La voce è quindi sempre ben timbrata e proiettata, anche nei recitativi dove a volte la voce può “stimbrarsi”. In Calabrese non avviene mai, anzi, vi è un’enfatizzazione della parola con un’intelligenza non comune. Ogni frase dunque è ben dizionata e diversa da quella che la precede o la segue a seconda del significato, pur mantenendo il colore tipico del basso. Si riscontra quindi quella ormai in disuso pratica del “Recitar cantando”, termine coniato da Caccini e adoperato da tutti i più grandi cantanti-interpreti.

Calabrese dunque raccoglie l’eredità lasciata dai suoi grandi colleghi che lo hanno preceduto (Pinza e Pasero in particolare) e la affianca ad una teatralità, gestualità e mimica unica ed estremamente efficace. L’attore Calabrese era infatti richiestissimo dai più grandi registi d’opera di allora come Strehler e De Filippo tanto che erano intenzionati a scritturarlo anche per spettacoli di prosa. Questo dato è significativamente importante perché fino alla fine del secondo conflitto mondiale, la recitazione nel teatro d’opera era molto trascurata per favorire il canto. L’interprete dunque si “limitava” a piccole movenze di rito e al canto solamente. Con l’introduzione di registi importarti provenienti dal teatro di prosa e dal cinema come Strehler, Zeffirelli, Visconti, De Filippo etc. la recitazione acquista valore, contribuendo allo stesso modo con il canto, ad una più efficace riuscita dello spettacolo. Analizzando infatti i filmati di Calabrese, notiamo quanto egli sia attore sì con la voce, sì come i gesti e la mimica facciale. A seconda del personaggio interpretato, i movimenti e i modi di porgere cambiano rendendo più credibile il tutto.
 
Analizziamo per esempio il personaggio del conte Robinson del Matrimonio segreto portato in scena da Calabrese per l’inaugurazione della Piccola Scala nel 1955 e successivamente registrato per gli studi Rai. Notiamo qui quanto Calabrese sia efficace nel rendere al meglio i tratti di questo personaggio attraverso la postura sempre composta ma elastica allo stesso tempo, la maschera facciale in continua mutazione a seconda del contesto e delle situazioni, le movenze tipiche di quel periodo. Da non trascurare, anzi, da rilevare quanto egli rende il personaggio attraverso il canto: Calabrese infatti interpreta questo personaggio con estrema intelligenza, analizzandolo nei minimi particolari e intendendo esso come si deve, ovvero come anticipazione dei grandi ruoli di basso cantante del teatro rossiniano (Dandini in primis; basti confrontare le rispettive arie di entrata). Interessante anche notare come il Nostro affronta il duetto delle voci gravi posto in apertura del secondo atto, che costituisce il modello dell’opera italiana a venire. Con disinvoltura infatti fronteggia ampie frasi con salti d’ottava (“ora vedete che bricconata/ora cedete che uom bilioso”), fitti sillabati (“qua risparmio di bell’oro/va l’amico ruminando”), incisi ostinatamente ripetuti (“m’ostinerò”), sino alla chiusa in cui le voci si inseguono riproponendo l’una i melismi dell’altra.

Franco Calabrese è stato quindi un numero uno, una prima scelta per direttori d’orchestra e registi, in particolare per il genere buffo che prevede tutte le qualità precedentemente elencate ma non solo poiché ha dimostrato i valori della sua arte anche in opere di genere serio. Infatti, diversi titoli operistici “seri” di repertorio portano nelle rappresentazioni teatrali e nelle incisioni il suo nome. Come per esempio la Tosca di Puccini registrata nel 1953 con un cast stellare e irripetibile che presenta nomi come la Callas, Di Stefano, Gobbi e la direzione di De Sabata. Lo stesso titolo Pucciniano lo troviamo sotto forma di concerto in filmato audio-video sulla piattaforma Youtube. Nel 1970 infatti, al teatro del Giglio di Lucca si tiene un concerto per omaggiare i Lucchesi nel mondo. Tra i cantanti invitati a partecipare vi sono Bergonzi, Kabaivanska e Calabrese. Si esegue fra le altre cose il terzo atto della Tosca di Puccini dove il nostro interpreta il ruolo del carceriere. Anche qui notiamo per prima cosa la bellezza della voce di Calabrese, caratterizzata come già appuntato, da un colore brunito tipico del basso presente in tutta la gamma vocale. Si riscontra poi la compostezza fisica e la sicurezza vocale del cantante che non oscilla mai grazie a una perfetta tecnica di respirazione che non prevede, come vediamo, alzate di spalle e altri vezzi molto comuni. Notiamo poi, in ultima istanza, la capacità di Calabrese di utilizzare una mezza voce nel dire la parola “scrivete” che non si stimbra e non diventa falsetto ma rimane appoggiata e sostenuta dal diaframma.
 

http://www.renzocresti.com/dettagli.php?quale=11&quale_dettaglio=32









Renzo Cresti - sito ufficiale